Costruire comunità: un altro Trentino è possibile (2001)

“Dopo cinquant’anni di autonomia il Trentino vive il suo momento di più diffuso benessere individuale e al tempo stesso di maggior smarrimento politico e sociale.

Vogliamo che si torni ad amare la politica, strumento essenziale di trasformazione e di partecipazione civile.”

 

 

Nella seconda metà dell’anno 2000 dopo una serie di incontri, ispirati e animati da Walter Micheli e Vincenzo Passerini, si arrivava alla stesura del manifesto costitutivo del movimento trentino “Costruire comunità” che, dopo aver raccolto l’adesione di un significativo numero di persone impegnate nel mondo sociale, culturale, economico, politico, nel febbraio 2001 lanciava pubblicamente la proposta del movimento sottoscritta dal primo nucleo di significative adesioni.

 

Di seguito pubblichiamo:

– il manifesto con cui Costruire comunità si propone alla comunità trentina e l’elenco del primo gruppo di aderenti (alla data del 7 febbraio 2001) allegato al manifesto;

– le relazioni e gli interventi all’Assemblea dell’8 dicembre 2002: la relazione introduttiva di Vincenzo Passerini; gli interventi di Nicola Salvati, Piergiorgio Cattani, Mara Maffei, Vincenzo Calì, Sandro Schmid, Alberto Ianes, Flavio Santini, Silvia Sandri, Luigi Casanova, Edoardo Benuzzi, Gianni Palma, Michelangelo Marchesi, Paolo Tonelli, Violetta Plotegher, Elisabetta Vindimian; il documento conclusivo presentato da Walter Micheli.

 

 

Il manifesto

Costruire comunità: l’itinerario possibile

 

Dopo cinquant’anni di autonomia il Trentino vive il suo momento di più diffuso benessere individuale e al tempo stesso di maggior smarrimento politico e sociale.

Vogliamo qui proporre a tutti i cittadini che come noi credono nella battaglia politica come frutto di civile antagonismo, di forti passioni e di chiare proposte, argomenti capaci di vincere scetticismi, di evitare abbandoni, di motivare, invece, nuovi e coraggiosi impegni.

Vogliamo che si torni ad amare la politica, strumento essenziale di trasformazione e di partecipazione civile.

Vogliamo che tutti si sentano partecipi della costruzione del destino comune, che nessuno si senta escluso, che il desiderio, inespresso o deluso, di tanti giovani adulti di rendersi utili alla comunità sia pienamente valorizzato e trovi un luogo dove realizzarsi in amicizia e libertà.

Sentiamo il dovere di farlo per non disperdere tanti risultati acquisiti, tante ragioni ideali investite per avere un Trentino riscattato dalla miseria, con un territorio sicuro, orgoglioso delle proprie tradizioni civili. Ma con grandi orizzonti che non chiudono alle Alpi le frontiere del mondo.

Per avere insieme e con le nostre esperienze personali vissuto, studiato, meditato e qualcosa capito della storia trentina, europea, del mondo, vogliamo dare il nostro contributo perché la linfa di una politica partecipata e generosa torni a circolare nelle arterie della società trentina.

Oggi questa linfa non circola più perché troppa politica è pensata e praticata in nome di piccoli e grandi egoismi.

Per questo, come segno di speranza e di raccordo possibile tra tutte le realtà della vita civile che nelle città e nelle valli sono impegnate a far progredire il Trentino senza farne terra di conquista di gruppi e di corporazioni, di mille interessi particolari a scapito di quelli comunitari, proponiamo di intraprendere assieme un itinerario nei luoghi più significativi del Trentino per affermare la necessità di una cittadinanza responsabile nei confronti dell’uomo e della natura.

Per fare questo abbiamo bisogno di una stella polare.

Possiamo trovarla in questi cinque temi che riteniamo decisivi per l’orgoglioso riscatto della nostra comunità e per ridare alla politica quella tensione ideale e progettuale smarritasi nella palude di una governabilità senza anima.

Ritrovare il gusto della democrazia come partecipazione di molti, non come decisione di pochi.

Affermare il valore del limite per uno sviluppo sostenibile e per impedire una crescita distruttiva.

Costruire la comunità regionale non chiudersi in quella provinciale.

Stare dalla parte dei deboli e degli esclusi.

Tutelare le nuove minoranze.

 

Il testo integrale del manifesto lo trovi qui. Manifesto

L’ elenco degli aderenti alla data del 7 febbraio 2001 lo trovi qui. Aderenti

 

 

 

 

Assemblea di Costruire Comunità

Trento, 8 dicembre 2002

Un altro Trentino è possibile.

Vogliamo costruirlo

 

 

L’opuscolo (pubblicato nel dicembre 2002) che contiene le relazioni e gli interventi all’assemblea di Costruire Comunità dell’8 dicembre 2002 e che vengono qui integralmente riproposti.

 

Relazione introduttiva di

Vincenzo Passerini

 

Un cordiale benvenuto a tutte e a tutti voi. Agli aderenti, ai simpatizzanti, agli ospiti, ai curiosi, ai rappresentanti delle altre forze politiche.

Vi ringrazio per la vostra presenza, e ringrazio coloro che hanno lavorato materialmente per preparare questo incontro: da Maria Grazia Volpi Tomasoni a Gianni Palma, da Alberto Ianes all’ingegner Salvati, da Caudio Molinari a Piergiorgio Cattani e papà per lo Statuto; e altri che dimentico.

Il nostro incontro cade in un momento in cui la pace mondiale è gravemente minacciata.

E noi non possiamo iniziare senza parlare degli annunci di guerra, perché quando arriva la guerra tutte le gerarchie dei problemi che ci preoccupano vengono rovesciate e le nostre questioni diventano piccole di fronte a questa tragedia.

 

No alla guerra all’Iraq

Si sta preparando un’altra guerra dell’Occidente all’Oriente, la quarta di questi ultimi tare anni, dopo quelle in Kosovo e Serbia, quella in Afghanistan, e quella più lunga, della Russia alla Cecenia.

Si sta preparando la guerra all’Iraq, e gli Stati Uniti sembrano decisi a farla, malgrado i tentativi dell’Onu di evitarla, malgrado il freno dell’Europa, malgrado il no di Germania e Francia.

Il governo di Bush vuole la guerra, vuole imporre la logica di chi comanda. Questo è sempre più un mondo dove a decidere, su questioni decisive per l’umanità sono in pochi, sempre più pochi, a livello mondiale come a livello locale.

Non possiamo iniziare senza gridare forte il nostro no alla guerra all’Iraq.

All’indomani del tragico attentato terroristico alle torri di New York, promuovemmo, come Costruire Comunità, un affollato, incontro per condannare il terrorismo e la guerra.

La guerra non può essere la risposta al terrorismo.

Così come non possiamo accettare la teoria della guerra preventiva, perché l’art. 11 della nostra Costituzione esclude la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.

Il Parlamento italiano ha invece deciso di inviare gli alpini in Afghanistan. Scelta sbagliata, che condanniamo. Purtroppo sulla guerra il centrosinistra si è mostrato in questi anni debole e contraddittorio, scarsamente convinto, a volte compartecipe.

Però, contro la crescente facilità della guerra, contro l’arrendevolezza della politica ai voleri di chi comanda il mondo è anche cresciuta la mobilitazione della gente. Sempre più persone manifestano pubblicamente, con forza, la loro contrarietà alla guerra. La guerra è una questione centrale per le scelte del centrosinistra, non marginale.

 

Ricordo di Caponnetto e difesa dei valori della Costituzione

Ma il nostro incontro non può cominciare senza che io ricordi con commozione e gratitudine una personalità scomparsa in questi giorni e che oggi viene sepolta a Firenze.

Voglio ricordare Antonino Caponnetto, magistrato, padre del pool antimafia di Falcone e Borsellino, testimone di impegno civile in difesa dei valori della nostra Costituzione.

L’ho incontrato l’ultima volta nel luglio scorso a Monteveglio dove quella amministrazione comunale gli consegnò la cittadinanza onoraria.

Ospite d’onore fu Francesco Saverio Borrelli che pronunciò un forte discorso sui valori di legalità e democrazia calpestati anche da leggi recenti nel nostro paese.

Monteveglio è il luogo dove Giuseppe Dossetti, resistente, poi tra i padri della Costituzione, infine monaco, creò la sua comunità monastica. Caponnetto aveva partecipato in prima fila tra il ‘94 e il ‘95 ai Comitati per la difesa della Costituzione che erano nati in Italia proprio per iniziativa di Dossetti. Aveva ripreso con tenacia e passione il suo impegno civile dopo la disperazione che lo aveva piegato all’indomani delle stragi in cui morirono Falcone e Borsellino.

La giustizia, l’autonomia della magistratura dal potere politico. Ecco un altro grande tema sul quale la nostra battaglia non può venir meno, e sul quale invece la sinistra ha mostrato, come sulla guerra, contraddizioni, cedimenti, complicità in questi anni.

Come è possibile che nel pieno dello scontro sulla legge Cirami e all‘indomani della sentenza Andreotti che ha visto un coro generale, da destra a sinistra, di assolutori, come è possibile che il segretario dei Ds, Fassino, lanci proposte di riforma della giustizia che raccolgono il plauso di Forza Italia?

Sulla questione della legalità questo paese si è sfasciato, e può essere ricostruito solo recuperando in pieno il valore della legalità e dell’indipendenza della magistratura.

La questione della giustizia, come quella della guerra, deve essere al centro della nostra battaglia e della battaglia dell’intero centrosinistra.

 

Due anni intensi: quaranta incontri pubblici

Due anni fa partiva l’itinerario di Costruire Comunità lanciato col manifesto di fondazione del 7 febbraio 2001.

Due anni intensi che ci hanno visto vivacemente presenti sulle grandi questioni locali, nazionali, internazionali.

Abbiamo promosso una quarantina di incontri e dibattiti.

Ne ricordo i temi e i titoli: convivenza regionale e questione regionale – ambiente e territorio, Joannesburg, traffico, aria, acqua, urbanistica, biodiversità, foreste – inceneritore, nuova politica dei rifiuti e nuovi stili di vita, con incontri pubblici, documenti, prese di posizione – emigrazione e immigrazione – cultura comunitaria e Adriano Olivetti – cultura comunitaria e nuovi fermenti dal Sud del mondo, con Dussel, e poi con Adriano Paoli – terrorismo e guerra e impegno per la pace – proposta di legge sul nuovo servizio civile – persona, giustizia, diritti sociali, lavoro, imprese ed economia nella globalizzazione, con Allegretti e altri – etica della politica e conflitti di interesse, con Arena e altri – informazione, televisione, libertà, con le iniziative nelle librerie – riforma elettorale, democrazia, partecipazione, potere diffuso, con il nostro documento, e il dibattito pubblico sulla riforma elettorale provinciale, contro il turno unico, contro la progressiva concentrazione del potere in mano di pochi anche nella nostra provincia.

E poi prese di posizione, documenti, interventi, partecipazione ad incontri e manifestazioni.

 

Tutto si lega: il locale, il nazionale, l’internazionale

Di fatto siamo stati un soggetto politico attivo, un punto di riferimento chiaro, incisivo, coerente sulle grandi questioni – locali, nazionali e internazionali – cercando sempre di far capire che tutto si lega: che parlare in un certo modo di America Latina o di Sud del mondo implicava parlare in un certo modo di inceneritore e rifiuti, che parlare di Johannesburg voleva dire parlare di val Jumela, che parlare di democrazia e partecipazione voleva dire ribadire il nostro no al turno unico voluto dalla sinistra e dalla destra, voleva dire riproporre con forza la questione della democrazia nel Comuni svilita da un riformismo disastroso che pure ha visto certa sinistra in prima fila nell’accentuare il sistema maggioritario e i poteri dei governi (tutti noi ricordiamo i sindaci di sinistra in prima fila nel chiedere più poteri alle giunte e ai sindaci, prima che qualcuno di loro finisse all’opposizione e provasse le gioie e i tormenti di quella nuova collocazione), che parlare di emigrazione era lo stesso di immigrazione, che i conflitti di interesse di Berlusconi toccano da vicino, seppur con le debite proporzioni, i conflitti di interesse in casa nostra, che la difesa della giustizia e dell’autonomia della magistratura andava fatta anche in casa nostra dove erano i nostri del centrosinistra ad accusare la magistratura.

 

Abbiamo fatto quello che l’Ulivo doveva fare e non ha fatto

Ma è solo un bilancio, questo, un resoconto doveroso, una constatazione compiaciuta del lavoro fatto o non è anche la presa d’atto che c’è un vuoto nel centrosinistra di parole necessarie, di iniziative necessarie, di atti necessari che Costruire Comunità ha colmato?

Abbiamo fatto quello che i partiti non fanno più.

Quello che l’Ulivo doveva fare e non ha fatto.

In termini di iniziative.

In termini di scelte chiare e forti.

In termini di atti politici coerenti.

Attendevamo delle risposte, delle reazioni alle nostre sollecitazioni, alle nostre battaglie. Certo che ci sono state delle risposte: di difesa e di chiusura, e spesso di segno esattamente opposto a quello da noi indicato.

Nelle parole e nei fatti: dall’inceneritore al turno unico per le elezioni, dalla politica ambientale disprezzata e mortificata (vedi l’asservimento del Comitato provinciale della V.I.A., la Valutazione di Impatto Ambientale) ai progetti di aeroporto, dagli attacchi alla giustizia al disprezzo della questione morale, dalla progressiva e inquietante concentrazione di potere alla ridicolizzazione dell’Ulivo e di un progetto forte e coerente del centrosinistra; fino alle contraddizioni e ai silenzi sulle guerre.

Mi pare che le delusioni della sinistra e degli ulivisti alla relazione di Dellai al congresso di ieri della Margherita siano sorprendenti. Sono quattro anni che la sinistra ingoia delusioni. Sono quattro anni che Dellai non pronuncia la parola Ulivo.

 

Quali scelte di fondo differenziano il centrosinistra dal centrodestra?

Sul piano delle scelte concrete e delle grandi battaglie sui principi di fondo che ci stanno a cuore dobbiamo registrare che in questi due anni tutto questo nostro impegno non è riuscito a far cambiare rotta al centrosinistra e alla sinistra.

C’è stato anche chi ha voluto dire, addirittura, che noi saremmo fuori del centrosinistra.

Mi domando cosa è allora il centrosinistra, mi domando su quali scelte di fondo si differenzia dal centrodestra, mi domando se non ci sia il vuoto dietro tante parole e tante etichette politiche.

Cosa è la parola sinistra e centrosinistra se non si identifica nelle grandi battaglie su: democrazia come potere diffuso e non come potere di pochi o di uno solo; ambiente e responsabilità gravissime verso la distruzione di natura, risorse, per un nuovo equilibrio; giustizia sociale e diritti del lavoro compromessi da selvaggi nuovi meccanismi economici imposti da un capitalismo che sembra diventato la nuova religione dogmatica universale; un altro modello di sviluppo che dia giustizia ai popoli affamati e dimenticati; la pace come valore primario.

Cosa è la sinistra se non crede più in questo?

 

Smarrita la rotta

La realtà è che il centrosinistra ha smarrito la rotta. Che la sinistra ha smarrito la rotta. Che non crede più. Semplicemente così: non crede, non ha fede. Crede invece che tutto è contrattabile, negoziabile.

E la fede forte in alcuni principi di fondo è allora sostituita da parole ambigue che consentono di muoversi con la massima, diciamo, flessibilità.

Basta vedere come viene usata la parola riformista. Un contenitore dove ci sta dentro tutto e il contrario di tutto, dal “Foglio” di Ferrara a quello di D’Alema.

Tutti sono riformisti, anche Berlusconi che vuole il presidenzialismo, anche quelli che vogliono spazzare via le regole a tutela dell’ambiente sono riformisti, anche quelli che vogliono zittire con nuove leggi la magistratura sono riformisti, anche i grandi sacerdoti del mercato globale che impongono al mondo le loro nuove regole sono riformisti.

Le parole ormai sono vuote. Meglio, sono ambigue.

Paurosamente vuote. O piene di altri significati reali.

 

Dobbiamo ridare significato al fare politica

O torniamo a scegliere e a non tradire i principi di fondo che stanno alla base del fare politica, o la politica muore nel gioco di parole che è semplicemente inganno.

Costruire Comunità è chiamata a farsi carico di questo compito di ridare significato vero al fare politica.

Se questo è vero sui contenuti, lo è anche sul piano dei soggetti politici.

Le risposte che sono state date in questi mesi e in questi anni sono deludenti. A livello locale e a livello nazionale.

L‘Ulivo viene rispolverato ormai solo alle elezioni, e qui da noi ormai nemmeno lì.

 

Hanno licenziato Prodi e svuotato l’Ulivo

In tanti avevamo creduto che quello dell’Ulivo fosse il progetto per costruire una nuova cultura politica che fondesse le culture politiche del passato in qualcosa di radicalmente nuovo.

Quel processo è stato fermato col licenziamento di Prodi.

Potrà risorgere se qualcuno continuerà a creare spazi di politica attiva dove le varie culture si incontrano sui contenuti di fondo, sulla pace e la giustizia internazionale, sulle politiche ambientali e sull’istruzione, sul lavoro e sullo stato sociale, sulla questione morale e sulla democrazia come partecipazione di molti e non come decisione di pochi.

Le persone si ritrovano sui contenuti di fondo: sono i soggetti politici che sono rimasti totalmente inadeguati, vecchi, in ritardo.

La Margherita vola verso la Casa dei trentini, progetto politico finora senza contenuti.

I Ds puntano all’orgoglio di partito, che dura lo spazio di un mattino.

Quanto alla “sinistra conciliare”, al di là dell’impegno generoso di qualcuno, assomiglia più a una pallida riedizione del|’accordo politico Ds-Rete-Solidarietà, nato nelle elezioni del ‘98, che doveva avviare la costituzione di un nuovo soggetto politico e che è stato liquidato dai Ds nel loro congresso di Lavis.

Tutte risposte di chiusura o totalmente inadeguate.

 

I partiti non rispondono alla domanda di dibattito e partecipazione

Ma lo vogliamo capire che noi siamo soltanto la punta di un iceberg?

Che esprimiamo una domanda diffusissima non solo di battaglie sui grandi principi, che i partiti oggi non fanno più, ma anche di uno spazio di incontro, di dibattito e di partecipazione che i partiti non offrono più?

Allontanamento diffuso dai partiti. Delusione.

Anche su questo piano Costruire Comunità deve cominciare a scrivere una pagina totalmente nuova prendendo atto che i contenitori politici esistenti sono totalmente inadeguati ad esprimere i bisogni e le speranze politiche di tante persone che si riconoscono nel centrosinistra: laici e cattolici, sinistra storica e nuovi movimenti, socialisti, ambientalisti e ulivisti, donne, giovani dei movimenti.

Dobbiamo allora batterci perché il centrosinistra ritrovi la rotta.

Non più soltanto, visti i risultati, attraverso l’animazione del dibattito, il lavoro culturale, le prese di posizione, gli stimoli, le sollecitazioni, le critiche.

Quello che abbiamo fatto finora è stato importante, necessario, ma ha dimostrato anche che si può continuare per anni a fare queste cose senza che il sistema politico modifichi in nulla il proprio comportamento. Diranno bravi, interessante, presenza di stimolo, e continueranno a fare quello che hanno fatto e quello che non hanno fatto.

 

Dobbiamo scendere in campo

Allora dobbiamo scendere in campo.

Costruire Comunità deve prendere serenamente atto di questo stato di cose, deve scendere in campo in vista delle prossime elezioni regionali per portare avanti anche nella contesa elettorale quei grandi principi, quei grandi orientamenti di fondo che il centrosinistra ha smarrito.

E per cominciare a scrivere una nuova storia come soggetto politico in grado di rispondere al vuoto di partecipazione e di dibattito lasciato dai partiti.

Tanto più, credo, ci sia bisogno di questa presenza di Costruire Comunità dopo la riforma elettorale.

Il turno unico tende a creare il pensiero unico.

Vorrebbe emarginare il dissenso.

Annullare le differenze.

Chiudere spazi di espressione di un altro modo di vedere le cose.

Imprigionare la rappresentanza.

L’aria rischia di diventare irrespirabile in questo Trentino che dopo aver consegnato i Comuni a brutte copie dei podestà, vuole fare lo stesso con la Provincia.

Non è questa la nostra idea di democrazia. Non è questa la nostra idea di autonomia, che nasce, ma guarda tu! sulla tutela delle minoranze e ora si innamora di sistemi che liquidano le minoranze come fastidi.

Invece sono il sale della democrazia, come sono il sale (costituzionale! Accordo Degasperi-Gruber!) dell’autonomia.

Anche per questo Costruire Comunità, ritengo, debba scendere in campo il prossimo anno. Per dire no al pensiero unico che uccide democrazia e autonomia.

 

Un confronto aperto

Dobbiamo presentare un programma attorno ai grandi principi che ci stanno cuore e su quello confrontarci con tutto il centrosinistra MA ANCHE CON TUTTE LE ESPRESSIONI DELLA SOCIETÀ TRENTINA, organizzate e non: da Rifondazione a Dellai, dai Ds ai Comunisti italiani, da Di Pietro allo Sdi, da Gasperotti agli autonomisti, dai Verdi a tutti gli altri potenziali soggetti del centrosinistra. E dai movimenti ai sindacati alle categorie economiche.

Ci confrontiamo con tutti sui grandi contenuti che disegnano il Trentino del futuro, ma anche quello del mondo in cui viviamo: democrazia ed ambiente, sviluppo economico e istruzione, pace e giustizia internazionale, questione morale e questione sociale, del lavoro, dell’immigrazione, dei diritti delle donne, dei soggetti deboli ed emarginati; riforma della Regione, riforma dei Comuni e riforma dello Stato.

Perché ci sta a cuore la nostra terra e il mondo, perché vogliamo che il nostro progetto vinca, abbia larghi consensi, sia persuasivo nel più ampio fronte di forze politiche e di società civile.

Alla fine di questo confronto a TUTTO CAMPO potremo tirare le altre conclusioni.

Noi crediamo in una politica che muove la realtà.

Non che si adegua ad essa.

Non rinunciamo a questa idea della politica.

Non ci adeguiamo alla politica che si adegua alle domande degli interessi più forti.

Io so che in tanti, che in tanti dei presenti c’è questo fortissimo bisogno di ritrovare questa politica.

Io sento quanto dentro ciascuno di coloro che sono in questa sala è fortissimo questo desiderio di impegno fino ad oggi mortificato o inespresso. Sento in tanti questo bisogno quasi fisico di uno spazio libero e nuovo dove investire speranze ed energie, dove potersi battere per un Trentino migliore, per un mondo migliore.

L’ho visto in questi mesi sul volto di tanti che sono venuti pazientemente la sera a costruire piano piano questo nostro progetto. In tanti, incontrati per strada, o nelle valli, nei luoghi di lavoro, nelle parrocchie, nelle piazze, sui pullman per andare alle manifestazioni.

 

Per ritrovare la gioia dell’impegno

Le persone vogliono tornare a fare politica con gusto, con passione, con entusiasmo. Sono stanche di mortificazioni. Non vogliono rassegnarsi ad essere spettatrici e spettatori, ad andare a votare per forza, a non andare a votare.

Vogliono essere prese in considerazione, vogliono uno spazio politico per dare e per ricevere, per contare e per cambiare, per combattere ed incidere nella realtà.

Su obbiettivi chiari, decisivi, per i quali vale la pena spendere una parte della propria vita.

C’è un bisogno di liberazione delle enormi potenzialità dentro ciascuno.

C’è un bisogno di uscire dalla glaciazione della politica e ritrovare la gioia di un impegno, l’entusiasmo per un progetto.

C’è fame di tutto questo.

Il problema, allora, è ben altro che quello soltanto di fare una lista. È quello di ricostruire spazi veri per l’impegno politico delle persone.

Questa è la sfida, credo, per Costruire Comunità.

 

Abbiamo idee e responsabilità

Di candidature se ne parlerà a suo tempo. Ogni cosa a suo tempo. Prima il progetto, poi le persone chiamate a concretizzarlo.

Vedete, c’è una ambizione maggiore di quella di fare il consigliere provinciale.

Ed è quella di non farlo.

Ma c’è una ambizione maggiore sia di quella di fare il consigliere, che di quella di non farlo.

Ed è quella di avere un progetto politico. Di credere in qualche cosa. Di voler realizzare un’idea di Trentino e di mondo. Di voler preservare la comunità da certi mali, di voler creare le condizioni per certi beni.

Perché stiamo male a vedere certe cose. Perché soffriamo nel vedere che non riusciamo a realizzarne altre. Perché sentiamo che abbiamo idee e responsabilità, che altri, tanti altri, sentono le stesse cose.

Per questo vale la pena che Costruire Comunità prenda definitivamente il volo.

 

 

Interventi in Assemblea

 

Nicola Salvati – Piergiorgio Cattani – Mara Maffei – Vincenzo Calì – Sandro Schmid – Alberto Ianes – Flavio Santini – Silvia Sandri – Luigi Casanova – Edoardo Benuzzi – Gianni Palma – Michelangelo Marchesi – Paolo Tonelli – Violetta Plotegher – Elisabetta Vindimian

 

Intervento del presidente dell’Assemblea

Nicola Salvati

Nel delicato passaggio fra la prima e la seconda repubblica, di fronte ad una realtà di squallore politico e diffusa malversazione delle pubbliche risorse, in tutta Italia si è avvertito un forte richiamo nella coscienza dei cittadini: un appello ad impegnarsi per tentare una ricostruzione ed una moralizzazione della politica.

È proprio a quell’epoca esaltante e di grande fermento civile che mi richiamo per darvi il benvenuto a questo incontro della base di Costruire Comunità.

A me piace vedere come la gente sia ora nuovamente in fermento, con la voglia di ritrovarsi nelle piazze e di riappropriarsi del proprio destino e di difendere quel fragile patrimonio di libertà e democrazia che ci hanno trasmesso i Fondatori della nostra giovane Repubblica.

Mi piace immaginare che anche voi avvertiate la necessità di impegnarvi per garantire che l’alleanza dell’Ulivo ritorni al governo nazionale ed al governo locale.

Provo una grande nostalgia per quel passaggio storico che ha segnato la nascita dell’Ulivo ed ha saputo dar vita ad uno dei migliori governi nazionali: il governo Prodi.

Mi piace ricordare quella entusiastica partecipazione politica che ci ha impegnato a cercare testimonianza porta a porta e che ci ha portato ad un travolgente successo.

Dopo d’allora si è ritornati progressivamente ad un movimento sempre più leggero che ha liberato la strada, in Italia, ad un governo di destra che ha come principale obiettivo quello di salvaguardare gli interessi personali di chi vi fa parte.

Già due anni fa si era avvertita la necessità di recuperare lo spirito partecipativo che aveva motivato la nascita dell’Ulivo, chiamando a raccolta la gente trentina che ancora si riconosceva nella matrice ideale che accumuna cattolici, laici e progressisti e che vuole resistere al prevalere della politica intesa solo come gestione del potere. e occasione di visibilità personale.

Ecco perché, forse, il nome avrebbe potuto essere non Costruire Comunità,  ma Ricostruire Comunità.

Lo scopo del movimento è stato sin dall’inizio quello di far riemergere la cultura politica, ridare la rotta a quelli che, eletti nelle file dell’Ulivo, pareva avessero smarrito la strada.

Per cercare insomma di infondere un po’ di coraggio e di indipendenza di pensiero a questi nostri rappresentanti che, balbettando, si andavano chiudendo in un piccolo guscio, evitando ogni responsabilità, in attesa di salire solo sul carro del vincitore per assicurarsi così il rinnovo del mandato ed il conseguente generoso appannaggio.

Costruire Comunità nasce quindi dal disagio degli elettori dell’Ulivo che avvertono la necessita di richiamare i loro rappresentanti ad un comportamento più consono e coerente alle aspettative dei loro elettori o, in alternativa, a farsi da parte.

È bene forse ricordare che la delega conferita dagli elettori nelle mani dei propri rappresentanti non è una delega in bianco. È una delega che impone il rispetto degli impegni assunti ed una coerenza comportamentale che, a mio sommesso avviso, non paiono oggi completamente rispettati.

Costruire Comunità ha percepito fin dall’inizio il crescente distacco tra la base e gli eletti, la disaffezione crescente al voto ed ha lanciato appelli e allarmi.

Ora intende impegnarsi con i propri eletti ed elettori a fornire una propria testimonianza, un proprio modello d‘operare: attento, dignitoso, morale, solidale, direi, nel senso migliore del termine, “montanaro”…

Noi qui presenti e gli amici che ci seguono siamo pronti ad impegnarci, ognuno con le proprie risorse, ognuno con le proprie testimonianze di vita, per garantire che il prossimo governo della provincia di Trento sia costituito da un’alleanza dell’Ulivo consapevole di rappresentare l’ultimo baluardo per la salvaguardia dell’Autonomia della propria comunità, prima che si sfaldi in una deriva individualista e corporativa sempre più spinta avente nel dio denaro e nelle esibizioni esteriori l’unico faro.

Salveremo l’Autonomia solo se sapremo ritrovare i valori sui quali essa è nata, se sapremo farla tornare ad essere motivo di orgoglio per la gente Trentina e se sapremo portarla ad esempio alla regioni vicine, che a distanza di 40 anni, si avviano a ripetere le nostre esperienze.

Dopo i discutibili compromessi ambientali, l’esibizione dell’esteriorità, il consenso barattato a suon di contributi, che ci ha fatto perdere l’anima e l’orgoglio, forse è venuto il momento di incamminarci su una nuova strada sul cui orizzonte si staglino per guida le nostre belle montagne che, con la loro incomparabile bellezza, forza. severità ci suggeriscono di ritornare alle nostre origini, ai valori fondanti della nostra cultura montanara.

Possiamo pensare allora a Costruire Comunità come un movimento di “montanari” che si interrogano sempre, prima di fare delle scelte, a cosa lasciare ai loro figli, che sia bello come le nostre montagne, un movimento dove regna un clima di totale fiducia come tra i componenti di una cordata, dove il singolo si sente forte e sicuro nella fiducia del proprio compagno, un movimento che si prefigge di raggiungere la meta solo grazie alla preparazione dei propri uomini senza mai lanciarsi in azioni spericolate.

Voglio lasciarvi con quest’immagine e con la speranza che ognuno di voi si unisca in cordata per raggiungere la vetta indicata da Costruire Comunità, un nuovo governo dell’Ulivo per i Trentini.

 

Un’immagine dell’assemblea di Costruire Comunità.

 

Sintesi dell’intervento di Piergiorgio Cattani

Da tempo l’Ulivo Trentino non esiste più. Da tempo la Margherita agisce in maniera sempre più autonoma e svincolata dalla coalizione:

a Roma costruisce un gruppo con Giulio Andreotti, con Gianni Agnelli, e gli amici di d’Antoni;

un suo senatore, eletto anche con i nostri voti, ha votato per la devolution di Bossi;

ora la Margherita qui in Trentino darà vita alla Casa dei trentini con tanto di “manifesto dell’identità” e propone la nascita di una “nuova coalizione” dai risvolti politici – programmatici poco chiari, ma che in complesso ha già stabilito chi sarà il suo candidato presidente del Trentino.

Da tempo la sinistra annaspa, applaude, si scandalizza, vota contrario in Giunta, ma infine getta la spugna e diventa orpello sempre più inutile di una coalizione che non ha contribuito a costruire e nella quale viene solo sopportata.

Da troppo tempo chi ha creduto nell’Ulivo, ovvero nella possibilità di costruire una nuova cultura politica dall’incontro delle tradizioni cattolica, socialista, socialdemocratica ed ambientalista è ridicolizzato, umiliato, marginalizzato.

Eppure tante persone credono ancora in questa possibilità.

Penso che Costruire Comunità sia nata per questo, per far sì che l’Ulivo Trentino sia una coalizione, anziché un pentapartito come si presenta ora.

Oggi Costruire Comunità deve dare voce a queste persone, lavorando senza indugio come soggetto politico a tutti gli effetti.

Costruire Comunità è l’incontro delle diverse culture di centrosinistra e non è la sinistra massimalista come qualcuno ha voluto dipingerla.

In secondo luogo Costruire Comunità con i movimenti dei partiti che ci stanno deve elaborare un programma minimo per proporre un polo Trentino della solidarietà e della sostenibilità.

In terzo luogo porre questi punti programmatici a confronto con le priorità della Casa dei trentini, di quella che sarà la nuova coalizione Dellai.

Se si troverà un accordo, il candidato Presidente potrà essere Dellai, altrimenti avremo la forza di trovarne un altro.

 

Intervento di Mara Maffei

La Pianificazione Territoriale sembra in Trentino una torta S. Honoré offerta ad un bulimico dopocena — sai che ne è goloso, che la divorerà e che ne starà male; però me l’ha chiesta lui…

La Pianificazione Territoriale è invece una questione di gente e non di rendite fondiarie, come i modelli di sviluppo sono storie di persone e non bilanci societari.

Quando il territorio viene usato per stimolare appetiti e mercificare bramosia, grettezza, personalismi – la pianificazione diventa la paletta che taglia e serve la torta.

Questa torta sono le nostre montagne, i paesi, le città – come pure i soldi da noi versati per avere servizi che poi ci vengono negati.

Questa torta, queste terre pullulano di gente che ci lavora e vive. Lo spopolamento, soprattutto giovanile e intellettuale, è un fenomeno indotto anche da questa politica di mercificazione, svalutazione di sé ed espulsione dei non allineati.

Convinciamoci che le nostre montagne valgono, il loro legno vale, l’acqua vale, la nostra terra vale; le nostre genti esistono, sono lì, le vediamo, le conosciamo: fanno i malghesi, le casalinghe, i carpentieri, i maestri di scuola e i maestri di sci, gestiscono alberghi e rifugi, segherie e siti web, vanno all’asilo e frequentano l’università.

In questa nostra società così complessa e piena di scatole vuote, riconosciamo le ricchezze, i possibili punti di incontro fra innovazione e tradizione, l’equilibrio in cui ricchezza e benessere servano ad unire, a rendere coesi e non solo a toglierci serenità.

La luce che scorre nei secoli e nei millenni ha plasmato innumerevoli forme di vita perfettamente adattate a questo ambiente naturale ad alta complessità.

La nostra identità è racchiusa lì dentro.

Non esporsi a difendere tutto ciò significa negare noi stessi, la nostra storia, il nostro sentire più profondo. Non avere la dignità di compiere uno sforzo adesso significa disperdere i brandelli rimasti di una civiltà nella babele dei linguaggi totalizzanti, mitizzanti, globali. E noi siamo l’inverso, siamo specifici.

Dobbiamo smetterla di paragonarci ai parametri economico-industriali della pianura, o ne verremo inghiottiti, masticati e sputati in un grumo di fango e lacrime come peraltro sta già avvenendo.

Il mito germanico delle selvane – ovvero riannodiamo il senso della sacralità della vita che alberga in ognuno di noi.

Nella mitologia germanica la figura simbolica della selvana, donna selvaggia dei boschi e delle rupi, che si ciba di latte delle camosce e vive dentro le cavità del terreno, rappresenta la parte profonda di ognuno di noi, uomini e donne, quella parte in contatto vitale con gli istinti primordiali.

Per mantenerci in relazione con queste profondità interne ad ognuno di noi, il mito della selvana pone una condizione: l’umiltà di scendere a chiedere a questa parte profonda e non razionale cosa sente se questo atto di umiltà viene agito, la selvana, nella sua simbologia, ci regala gomitoli di filato che non finiranno mai e brocche di latte sempre colme ovvero manterremo intatta quella sensazione di fede nella vita che ci permetterà di continuare il nostro percorso anche quando saremo in difficoltà.

La ricchezza – la nostra ricchezza é doppia: é fatta di specificità e contemporaneamente biodiversità.

La Rendena come la Val Jumela, tutte le nostre valli, NON SONO OGGI NELLA SITUAZIONE IN CUI ERA MADONNA DI CAMPIGLIO NEGLI ANN1 ’70, in cui tutto era lecito, pur di non contrastare un boom economico, modello di quantità, che ha provocato sprechi enormi di ogni sorta.

Pur di riproporre i residui di quel modello di sviluppo, è stato soffocato il dialogo.

Una terra senza dialogo è una terra morta, perche è la dialettica che ci spinge al miglioramento attraverso la critica e che ci sostiene attraverso il consenso. La richiesta di univocità di consenso è un primo sintomo di assenza di dialettica vitale che asfissia un percorso partecipato e democratico, dovunque esso decida di andare.

Qui siamo davanti ad un ancoraggio aggrappato agli anni ‘70, all’illusione del denaro veloce, della speculazione ad ogni costo, che macina le persone.

Sottrarsi a questa opera di resistenza significa lasciarsi trascinare da questo ambaradan in un atto irresponsabile e immaturo.

Non manca nulla al Trentino per diventare laboratorio di interdisciplinarietà, in cui si esplorino senza timori le zone fra una disciplina e l’altra e le loro relazioni, irrobustendo le maglie di una rete di economia integrata che già esiste ma deve essere pronta a parare e respingere i colpi di chi, onnivoro, vorrebbe cibarsene.

Non si tratta di accusare, non puntiamo il dito contro chi ha sbagliato, si tratta di occuparsi della gente comune, quella che rimane intrappolata in questa realtà di contrasti e disarmonie, fonte di incomprensioni, disperazioni, inutilità e follie, esaltazioni mediatiche e totali indifferenze.

Costruire Comunità, compiuto l’atto di umiltà di scendere nelle viscere ad ascoltare la propria selvana, non può tirarsi indietro – non si tratta di vincere o perdere, non è una questione di strategie – si tratta di credere che un modello diverso sia possibile e che ciò possa diventare anche un percorso creativo ed affascinante. dove peraltro, e qui parlo da tecnico, non partiamo senza riferimenti: esistono già esempi interessanti da indagare, sentieri tracciati da altri che ci potranno aiutare.

 

Intervento di Vincenzo Calì

Premessa:

la mancata vittoria elettorale della coalizione ulivista nel 1998 ha impedito l’elaborazione di un programma comune condiviso fra la sinistra e la Margherita (coalizione sotto il costante ricatto delle varie meteore autonomiste);

l’esperimento del cartello elettorale DS-Rete-Solidarieta è andato esaurendosi mancando il confronto con un più ampio schieramento ulivista;

la diaspora socialista ha contribuito ad indebolire il centro sinistra trentino.

In questo quadro, mi chiedo come agirebbe politicamente nel Trentino di oggi un uomo come Piero Agostini, un “socialista senza tessera di partito”, un “uomo buono” come ha voluto definirlo Renato Ballardini in occasione della presentazione del volume che rievoca i tragici 20 mesi di occupazione nazista della Regione.

E la domanda potrebbe valere per molti dei nostri migliori ormai scomparsi, da Aldo Gorfer a Livia Battisti, a un maestro della non violenza come Valentino Chiocchetti, a uomini di cuore e d’intelletto come Beppino Disertori, Vittorio Gozzer, Quirino Bezzi, i fratelli Betta.

Guardandosi attorno, vedrebbero un insieme di partiti che hanno perso la loro spinta ideale, tanti giovani alla ricerca di punti di riferimento, una terra ricca di risorse, potenzialità ed esperienze di solidarietà, costretta a segnare il passo perché guidata da un’oligarchia ormai impermeabile alle più elementari regole di democrazia e partecipazione.

Già per la mia generazione l’esperienza è stata quella di un agire di movimenti collettivi che, non trovando uno sbocco politico, finirono per essere risucchiati nella spirale della violenza.

Anche oggi si ripropone, in un contesto ancor più mondializzato di allora, l’esigenza di fare sintesi, di portare le spinte ideali che hanno mosso da un decennio in qua tante donne e tanti uomini ad uno sbocco operativo, politicamente efficace, pena il riflusso verso radicalizzazioni e disimpegni, sempre in agguato a fronte di cocenti delusioni.

È con il passo lento del montanaro che un piccolo gruppo di volontari, quelli di “Società aperta” guidati da Walter Micheli, e a cui si sono aggiunti strada facendo tanti sinceri democratici delusi dal|’inaridirsi dell’Ulivo, hanno portato alla nascita di Costruire Comunità, il nuovo soggetto politico che può e deve dare risposta agli interrogativi del presente, che si pongono con urgenza nel laboratorio alpino in cui viviamo: coniugare libertà, responsabilità, giustizia e solidarietà.

Lo Statuto che ci apprestiamo a varare ha in sé le risposte; perché non rimangano sulla carta è necessario un ampio coinvolgimento, un’adesione convinta di quanti, pur provenendo da diverse esperienze, concordano sul fatto che il documento “ Cuore e ragioni” si è posto come limite invalicabile al nostro agire, a fronte di una politica fatta di abilità, equilibrismi e personalismi, di tutti gli “ismi” della politica politicante.

Ci hanno già dato e ci daranno dei presuntuosi, degli avventuristi, dei portatori d’acqua all’affermazione della destra, in altre parole, degli affossatori dell’Ulivo.

A queste accuse devono rispondere con serenità quanti fra noi, meno giovani, nulla hanno lasciato d’intentato per dar forza al|l’Ulivo, per far prevalere le ragioni che uniscono agli interessi che dividono e che per il Trentino hanno nutrito in cuore per anni un progetto politico democratico, di grande apertura al Sudtirolo, all’Italia e al mondo intero: perché non esistono scorciatoie, né fughe in avanti di cartelli elettorali, rispetto alla nascita di un soggetto politico che abbia nel proprio codice generico i valori che il nostro statuto richiama e che faccia appello alle forze nuove della società.

Da lì nasceranno alleanze, mediazioni sui programmi e strategia elettorali; è questo l’unico modo per far vivere l’Ulivo, come insieme di proposte programmatiche in sintonia con i principi indicati nel nostro manifesto costitutivo, ed evitare così il più esiziale degli esiti nel confronto elettorale del prossimo anno: una vittoria di Pirro, in un mare di astensioni, di una alleanza di maniera, con una maggioranza risicata, pura sommatoria di interessi, e destinata a sfaldarsi di fronte alle sfide che il futuro ci riserva.

Riflettano attentamente i sinceri riformisti e autonomisti che stanno cercando la via migliore per far valere le proprie ragioni: accettino il confronto. Si uniscano a noi nella difficile impresa di dare al Trentino un soggetto politico degno delle sue migliori tradizioni.

 

Intervento di Sandro Schmid

Per 8.100 famiglie operaie della Fiat non sarà un buon Natale. E non lo sarà per molte migliaia di famiglie di lavoratori che vivono nell’indotto della Fiat. Le lettere di prelicenziamento sono partite. Non c’è nemmeno l’intesa sulla cassa integrazione a rotazione.

In compenso c’è la vergogna di un Presidente del Consiglio che consiglia gli operai della FIAT di lavorare in nero.

La solidarietà ai lavoratori della FIAT va data nel sostenere una lotta che non sarà né facile, né breve. L’inflazione galoppa più di quello che le statistiche ufficiali vogliono farci credere.

La nuova povertà anche di famiglie operaie monoreddito si allarga.

I giovani entrano nel mercato del lavoro in una situazione di lunga precarietà che impedisce di guardare con serenità al futuro.

La situazione finanziaria peggiora e aumenta il debito pubblico, l’economia è a pezzi in quasi tutti i settori.

Il Governo Berlusconi anziché fronteggiare la crisi, ha dedicato il suo tempo ad ossequiare i disegni di guerra di Bush. A mandare allo sbaraglio i nostri alpini in Afghanistan, a preparasi a fare da puntello a quella guerra in Irak che puzza di petrolio.

I lavori parlamentari sono stati impegnati per leggi a proprio uso e consumo. Come la legge Cirami più nota come legge salva Previti e Berlusconi.

Devolution in cambio della riforma della giustizia e del presidenzialismo forte. È l’ultimo patto scellerato fra Bossi e Berlusconi.

L’equivoco è che la devolution non è federalismo. La polizia regionale è confusa e preoccupante. Non si intravede nessun elemento di solidarietà. La divaricazione fra nord e sud sarà più evidente ed alimenterà la vocazione separatista della Lega.

Federalismo non significa trasferimento del potere centralistico dello Stato ad un nuovo livello di centralismo burocratico delle Regioni (non preparate e con un imprevedibile allargamento della spesa).

Federalismo significa partire dal territorio, dai Comuni, dalle Comunità degli Enti locali, le Province . Quello che doveva essere fatto nella riforma istituzionale della Provincia e che la sinistra al Governo non ha saputo trasformare in ragione forte del patto di coalizione. Riforma impedita da chi, in previsione dei nuovi poteri forti del Presidente, non intende certo trasferire competenze al territorio.

Politicamente scandaloso il voto a favore della devolution del senatore Michelini, Betta non ha votato, ma non si è dissociato dal collega. Leggo che la SVP annuncia in questo senso anche il voto di Detomas (tutti eletti con i voti dell’Ulivo) e ora in dissenso con la posizione parlamentare dell’Ulivo.

Non è casuale, perché questo permette di chiarire meglio l’equivoco della Casa dei Trentini e di cosa si intende per partito territoriale.

Essere autonomisti e riformisti significa avere fermi e chiari due punti di programma: la riforma della Regione; la riforma della Provincia solidale e federale rispetto ai Comuni. Due punti che cinque anni di legislatura di centro sinistra non hanno saputo o voluto affrontare . Non ci si è nemmeno provato. Non si sa nemmeno quale Regione si voglia veramente. Costruire Comunità lo ha detto e proposto. Meglio se la presidente della Regione (DS) avesse dato le dimissioni perché impedita nella riforma sui contenuti della Regione che per gli scandali di malgoverno.

La Casa dei Trentini appare come un’alleanza fra i poteri forti.

Fra quelli della Provincia, o meglio fra quelli del suo prossimo Governatore, e gli interessi forti del territorio (che meglio si traducono in consenso elettorale).

Autonomia territoriale significa una cosa del tutto opposta. Una Provincia riformata autorevole e leggera. Perché deve garantire, oltre alle competenze non trasferibili, una rete di solidarietà fra i Comuni e le valli e una forte capacità di indirizzo e di coordinamento dello sviluppo provinciale. Mentre sulla base del principio di sussidiarietà, le funzioni e le competenze vanno ai Comuni incentivando la loro aggregazione di collaborazione in veri e propri patti di territorio.

Perché la sinistra non ha fatto di questo un punto centrale della sua iniziativa e del rapporto con i Sindaci?

Amare il Trentino e la sua Autonomia significa guardare al futuro di chi verrà dopo di noi, quello delle nuove generazioni. Significa dire quale Trentino si vuole nella sua terza fase dello sviluppo.

In previsione di disponibilità finanziarie meno opulente, si vuole davvero rompere con la pratica dei contributi a pioggia per garantirsi i consensi elettorali?

Si vuole fare un programma di priorità con i valori anche espressi dai nuovi movimenti della società, che hanno mobilitato milioni di giovani, lavoratori e cittadini?

Un progetto per garantire la dignità, la non precarietà e la formazione permanente del lavoro?

La pari dignità e l’integrazione sociale dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie?

Il diritto alla casa per i nostri giovani con meno possibilità e per le famiglie dei lavoratori stranieri che con il loro lavoro, spesso il più ingrato, contribuiscono al nostro benessere?

Una rete di protezione sociale per la nuova povertà e solitudine di tante persone e di tanti anziani che soffrono anche in Trentino?

La priorità delle risorse al sistema della sanità pubblica che deve avere al suo centro la persona umana e non i vincoli di una grande macchina di burocrazia amministrativa?

La ricerca e l’Università come volano dello sviluppo in ogni settore della nostra economia?

La qualificazione della scuola pubblica ed i mezzi necessari per garantire davvero l’autonomia scolastica?

Se si vuole davvero lasciare ai nostri figli e alle generazioni future un Trentino migliore, alla cultura dei valori va intrecciata quella dello sviluppo. Non basta dire che siamo tutti per lo sviluppo sostenibile. Il sindaco Pacher dice che la sostenibilità è un concetto opinabile a seconda dei punti di vista. Ha ragione. Ecco perché devono essere stabiliti con chiarezza le linee dello sviluppo duraturo ed ecosostenibile e definire i paletti oltre i quali non si può andare.

Sentivo affermare solennemente dal Sottosegretario di turno di questo Governo che oltre alla Valdastico ci vogliono nuove autostrade di attraversamento alpino e che la Convenzione delle Alpi doveva essere assolutamente modificata.

Con Dellai e Grisenti si vuole confrontare fino in fondo la politica delle grandi infrastrutture e della mobilita?

È possibile un patto dell’Euregio e con Verona davvero incentrato sull’intermodalita dei trasporti dalla strada alla ferrovia come progetto alternativo alla Valdastico?! Realizzare una vera ferrovia della Valsugana alternativa al traffico su gomma, con un filtro-intermodale a Bassano.

Un reticolo di ferrovie alpine fra i centri turistici di Rovereto e Riva e per le località turistiche di montagna e progetti certi per il prolungamento della Trento-Malé oltre il Passo Tonale?

Una metropolitana sul|l’asta dell’Adige anziché premere per la terza corsia e la continua cementificazione del fondovalle, con buona pace per Grisenti che considera il cemento un elemento della natura?

La val Jumela è stata una sconfitta alla quale non ci si può rassegnare né per il merito né per il metodo di chi vuol dimostrare che quando si promette per i voti le cose si mantengono.

L’aeroporto di Trento è quello di Verona o si continua anche in barba al referendum a volerne uno nuovo a Mattarello?

L’interporto di Trento deve essere la struttura di servizio per il vicentino o di carattere regionale e in stretto coordinamento con la funzione dei quadrante Europa di Verona?

Si vuole davvero puntare a fare della qualità e dell’eccellenza una rete riguardo ogni aspetto della attività della nostra Autonomia?

La promozione culturale da quella del Buonconsiglio, al nuovo Mart, a quella delle tradizioni e del patrimonio artistico diffuso su tutto il territorio si devono sposare con un’offerta turistica nuova.

Meno quantità e più qualità. Salvaguardia della tipicità dei prodotti della montagna, di un’agricoltura sempre più naturale e di prodotti che siano in grado di coniugare la eccellenza con la salubrità. Di un turismo dolce che sia in grado di essere alimentato per tutto l’anno. Di modelli consumistici diversi.

Il Trentino potrebbe essere un territorio modello, laboratorio di località turistiche, paesi, quartieri cittadini, alimentati da energia rinnovabile.

Di una politica di smaltimento dei rifiuti fondata sull’intervento preventivo, la raccolta differenziata, le tecnologie alternative al mega inceneritore che con un camino di 100 metri sul fondovalle non sarà certo un bel biglietto da visita.

Ho fatto solo alcuni esempi. Perché il dramma della politica trentina è quello dei mille giochi tattici, dei detto, non detto, dell’ingegneria elettorale, delle alleanze fra gruppi e persone che non portano da nessuna parte.

Io credo che i cittadini trentini siano stufi di questi giochi e vogliano invece sapere i contenuti della politica, le proposte, i progetti.

Che differenza ci sarebbe fra un Dellai o un Malossini se entrambi vogliono la nuova autostrada della Valdastico?

La Margherita non mette al suo centro la scelta dell’Ulivo.

Al suo centro mette sé stessa. Poi una ancora confusa Casa dei Trentini e ancora dopo l’alleanza con i D.S. “riformisti e territoriali” e che non devono aver paura della competizione a sinistra, partiti o movimenti che siano.

Ho cercato di dare un contributo su alcuni temi che ritengo fondamentali per un confronto programmatico.

Costruire Comunità deve continuare a dare voce a quel patrimonio politico culturale che era alla base dell’Ulivo originario.

Il confronto con tutte le forze politiche del centro sinistra, della sinistra e dei movimenti deve essere fatto sui contenuti e solo su questi si dovranno trarre le conclusioni in ordine alle alleanze e agli schieramenti elettorali.

 

Intervento di Alberto Ianes

Mi sembra interessante condividere alcune impressioni, alcuni aspetti che ho imparato stando con Costruire Comunità in questi mesi. Magari potranno sembrare banali, ma li ritengo importanti perché penso possano stare alla base di un modo serio di fare politica oggi.

Un primo aspetto che credo sia importante è quello di avere un‘idea, una concezione di società, una visione del mondo e del tipo di sviluppo che si desidera per il Trentino. Mi è stato insegnato però che l’idea sola non basta, non è sufficiente. Bisogna, infatti, essere disposti a portarla avanti fino in fondo, a perseguirla con tenacia, senza tentennamenti.

Da qui il secondo aspetto: l’autenticità, ossia la necessità di essere autentici, trasparenti, chiari per rendere l’idea riconoscibile anche all’esterno, e perché all’esterno poi possano verificare quanto di questa idea si è realizzato; cioè fino a dove e quanto si sia rimasti fedeli, nel percorso che si è fatto, all’idea originale. O quanto di autenticità si sia persa per strada, sia venuta meno.

A questo punto se le diverse idee che si portano avanti con autenticità sono congruenti fra loro allora si ha anche il percorso coerente. E qui, se si vuole, il terzo aspetto. Poi ce ne sono altri, come la questione morale.

È evidente che nei luoghi delle istituzioni fare politica significa anche mediazione e compromesso. Ma anche la mediazione non scade se si ha chiara la direzione, la barra, la via, la strada da perseguire, il disegno complessivo.

Quindi, credo non ci sia spazio per i tiepidi, per gli ambigui, per i balbettanti per i “ma” e i “se”, perché per fortuna questi, almeno ad una parte della società civile, forse iniziano a dare fastidio.

E quindi viene da chiedersi se oggi, qui in Trentino, ci sia qualcuno che rappresenti certe istanze. Certi valori, appunto, certe idee, ed è disposto a farci sopra una battaglia in modo autentico, seguendo un percorso coerente.

Quindi sorge spontanea la domanda se le idee che sono inserite nel manifesto costitutivo, di Costruire Comunità, siano oggi adeguatamente rappresentate.

Pensiamo, oggi, che la democrazia in Trentino sia intesa come partecipazione di molti anziché come decisione di pochi?

La legge elettorale appena votata va nella direzione in cui noi vorremmo? Non ho molta esperienza, ma i Consigli comunali dei nostri comuni sono un esempio di partecipazione? È adeguato lo spazio offerto alle minoranze? O iniziano a configurarsi delle piccole oligarchie?

Si può considerare sostenibile il modello di sviluppo che oggi viene portato avanti in Trentino? È lo sviluppo della misura? Del senso e della percezione del limite?

Pensiamo forse che sia solo colpa del clima che cambia se qualche settimana fa il paese di Bocenago è stato invaso da una frana, Vermiglio è rimasta isolata, la Valsugana bloccata, le strade sono franate a Dambel e a Faver?

Le frane hanno portato via qualche auto, questa volta, e la prossima? Perché frana la terra?

Non è forse il case di mettere in discussione un modello di pianificazione e programmazione che magari appare in un certo modo sui documenti e poi va in direzione contraria?

E ancora ci chiediamo: i PRG dei nostri comuni si propongono di dare finalmente una fisionomia dal volto umano a molti quartieri degradati dalle edificazioni massicce del passato?

I PRG dei nostri comuni si propongono solo di corrispondere agli interessi dei piccoli o grandi potentati oppure, nel ridisegnare il territorio, tengono anche conto della necessità di luoghi pubblici capaci di stimolare nuove occasioni di incontro tra la popolazione, e fra i giovani, e momenti di dialogo con gli amici stranieri che spesso sono scarsamente integrati?

Si sta facendo qualche cosa, oggi, in Trentino per stare dalla parte dei deboli e degli esclusi? Si potrebbe fare di più?

Pensiamo che sia state un bene, il fatto che sia stato abolito il servizio civile obbligatorio? Pensiamo forse di esserci liberati da una scocciatura per i giovani? Oppure pensiamo che, sì, in fondo, l’obbligatorietà potrebbe essere considerata eccessiva ai giorni nostri, ma crediamo che sia comunque un bene che non solo i giovani, ma un numero crescente di persone, giovani. adulti, anziani, facciano la loro parte per assolvere e adempiere ai doveri di solidarietà sociale sanciti dalla nostra costituzione? Se questo fosse il presupposto pensiamo allora che sarebbe un bene se si iniziasse a formulare modalità organizzative nuove, magari incentivando (non economicamente) più le persone che i mezzi, che a volte appaiono eccessivamente costosi.

E infine le nuove minoranze, quelle di oggi, cioè le persone immigrate sono adeguatamente tutelate? Al di là della Bossi Fini, oggi, il Trentino è in grado di offrire loro dignità?

Forse battaglie come quelle portate avanti da Vincenzo Passerini possono aiutare a dare loro un centimetro di dignità in più. Quella dignità che invece gli viene negata nel paese di origine a causa delle perverse politiche liberiste, delle multinazionali e degli interessi petroliferi che sono oggi – come ci ha ribadito pochi giorni fa Gino Strada – responsabili delle guerre.

Questi sono solo alcuni interrogativi che mi pongo, forse banali e volutamente retorici. Credo che questi interrogativi non abbiano trovato risposte soddisfacenti.

Per questo sono convinto che oggi non sia possibile, non sia opportuno, chiedere a Costruire Comunità di farsi da parte.

E men che meno si possa costringere Costruire Comunità ad essere relegata a puro ruolo di pungolo, certamente dignitoso, ma francamente credo inefficace.

Credo, invece, che Costruire Comunità abbia una responsabilità in più. Quella di dare rappresentanza a delle idee che oggi non sono adeguatamente rappresentate, o non sono autenticamente portate avanti. Perché rimangono solo dei proclami, oppure un’adesione ideale, ma che poi si perdono nelle plaghe degli interessi, delle poltrone, delle convenienze.

Per questo ritengo che Costruire Comunità non sia chiamata nemmeno a sedersi al tavolo della trattativa, se questo volesse dire entrare in una mera logica delle candidature, se volesse dire rientrare esclusivamente in una logica spartitoria, della conta.

Ci potrebbe essere chiesto di accordarci? Ma sulla base di cosa ci è chiesto di accordarci? Sulle idee da condividere o su qualcosa d’altro?

È evidente che se non c’è altro scopo preordinato rispetto a quello del bene del Trentino, così inteso, sono il primo a dire che l’Ulivo vero non si scorda mai! Per questo chiedo a Costruire Comunità di tenere aperta, ancora una volta, la porta. Ma questa apertura non può che attendere solo idee e autenticità. Rilanciamo, dunque, un nuovo appello per ricostruire il vero UIivo!

Nel frattempo. però, noi che facciamo parte della sinistra tradizionale, del cattolicesimo, del popolarismo, delle parrocchie, dei no global, dell’ambientalismo vero e, più semplicemente, della società civile che non vuole avere etichette o marchi… insomma noi tutti che oggi siamo Costruire Comunità, dalle storie così diverse, ma, penso, così concordi sulla direzione da seguire e trasversali pur nella diversità della nostra storia, quale altra strada possiamo percorrere se pensiamo che le nostre istanze, che la nostra idea di Trentino non siano adeguatamente rappresentate?

Credo che dovremmo percorrere la strada delle idee, dell’autenticità nel portarle avanti dentro un percorso elettorale coerente.

 

Intervento di Flavio Santini

Ci sono momenti in cui si tace, perché si pensa che le proprie idee siano tutto sommato scontate. E ci sono momenti in cui invece si interviene, perché ci si accorge che quelle idee, benché semplici, non sono capite o, peggio, vengono volutamente travisate. E comunque c’è un momento in cui si deve scegliere.

Io credo che, per decidere al meglio come proseguire il nostro cammino, sia innanzitutto necessario individuare con chiarezza (e comunicare efficacemente) le nostre coordinate in termini di spazio e di tempo. Qual è la nostra collocazione, il nostro spazio? E che momento è questo?

Per quanto riguarda il primo aspetto, sappiamo benissimo che qualcuno (ovviamente le altre forze politiche, ma anche qualche giornalista…) ha già cercato di collocarci precisamente alla sinistra del partito comunista cinese degli anni migliori. E vediamo in questi giorni che è stato emesso il bando per la ricerca dei “riformisti”.

Bene: si sappia che chi cerca autentici riformisti li troverà anche in Costruire Comunità. Non a caso l’unico che è arrivato a dimettersi perché le riforme non si facevano ha parlato poco fa in questa sala; ed il più serio tentativo di riforma della Regione l’ha presentato Costruire Comunità.

In realtà temo che stiano cercando solo qualcuno che stia buono alla loro sinistra, seduto, anzi meglio supino. Forse si vuole qualcuno che taccia sui veri problemi. E purtroppo la coda, al bando per la ricerca dei “riformisti”, è già lunga.

A me sembra invece che noi ci troviamo (e non a caso, ma in virtù dei nostri obiettivi, ben sintetizzati nel Manifesto costitutivo) in un luogo centrale e strategico per il futuro delle nostre comunità, del Trentino.

Al crocevia tra l’esigenza di governare in modo capace e competente fenomeni di grande rilevanza (il progressivo deficit di democrazia e partecipazione, i drammatici squilibri internazionali, l’immigrazione crescente, l’insostenibilità di una certa crescita che non è sviluppo, ecc.) e le istanze forti di chi più ha bisogno e non ha voce.

Di sviluppo, di pace, di tutela dei diritti fondamentali che i nuovi importanti movimenti new global, social forum, girotondi, ecc. perlomeno portano in evidenza.

Se c’è un gesto significativo dell’incontro tra questi due tipi di esigenze (tra la politica e i veri problemi), è – per me/per noi – la dichiarazione fatta da Romano Prodi in occasione del recente social forum di Firenze: “dobbiamo sforzarci di capire e di farci carico delle istanze di questi giovani”.

Ma ancora, siamo al crocevia tra l’esigenza di valorizzare la cultura delle nostre comunità, che viene da lontano, senza integralismi e con la massima apertura, e la propensione dinamica verso un progresso autentico, che sia davvero progresso.

Questo è il luogo dove ci collochiamo. Siamo proprio qui, ben piantati e, fino a prova contraria, in piedi.

Per quanto riguarda il momento in cui ci troviamo, la dimensione del tempo, mi sembra che oggi più che mai in Trentino ci sia bisogno di forze politiche (e di leader se è vero che un certo sistema elettorale è stato approvato) capaci di darsi obiettivi grandi, adeguati alle problematiche da affrontare, capaci di disegnare il futuro, e su quegli obiettivi coinvolgere le realtà economiche, sociali, e i cittadini. Non, invece, di forze politiche e leader appiattiti sulla realtà di fatto, succubi troppo spesso delle lobby, delle pressioni interessate, delle promesse elettorali.

Per questo mi sembra che sia bene dare a questa impresa che si chiama Costruire Comunità una organizzazione più solida, democratica e aperta ad ulteriori contributi (con l’approvazione dello statuto), e lanciare subito con vigore la campagna adesioni in tutto il Trentino.

E nel contempo, a quasi 10 mesi dalle elezioni, chiarezza e coerenza vogliono che traduciamo le linee generali del Manifesto costitutivo in un programma da presentare agli elettori e che decidiamo che quelle istanze andranno rappresentate con una lista elettorale e saranno portate avanti perché entrino nei programmi di governo o, se non è possibile, perché comunque trovino voce.

 

Intervento di Silvia Sandri: professione cittadino

Vale forse la pena di tentare di capire il potere, anche per il legittimo desiderio di poterlo un giorno forse praticare, guardandolo dalla parte forse più difficile, quella che sta sotto. Quella parte che non è informata, che non legge o legge poco e se si informa non capisce o capisce che comunque da certe decisioni sarà sempre estranea, emarginata. Erediteranno, forse un giorno, i miti la terra?

Si è teorizzato sul rischio del vivere quotidiano perché nel tempo sono venute meno sicurezze consolidate, perché la convivenza sociale, non è più granitica ed il legame sociale è sempre più esposto a grande precarietà.

La politica che ci viene proposta è quella tradizionalmente “mondana” in cui il successo dell’azione politica viene misurato in primo luogo dall‘impatto e dalla capacità che questa azione ha di trasformare in modo visibile le cose, i mezzi, gli strumenti e quanto questa azione riesce a difendere o semplicemente ad accrescere e semplificare il dominio di alcuni su altri. È allora che il cittadino che abbia una fede o no, “proprio per essere politicamente coerente con se stesso e soprattutto ‘fedele’, deve assolutamente rigettare come tentazione, ma anche come cinica idiozia il progetto politico che si presenta in tale maniera”.

È richiesto oggi, allora alle persone un surplus di attenzione e di impegno. Una società civile, matura, garantita da un tessuto civile autenticamente democratico si fonda sull’azione di molti cittadini che volontariamente si fanno espressione e promotori di un mondo più coeso e solidale, più comprensibile e quindi meno ostile, in cui la fiducia di costruire orientamenti comuni sia il punto di partenza per la promozione di quelle dimensioni di gratuità, di cittadinanza, democrazia, partecipazione e garanzia dei diritti fondamentali della persona.

Si è operata una pericolosa dicotomia fra ciò che è pubblico e ciò che è il privato, fra la dimensione politica e le pratiche sociali, fra la razionalità economica e i modi di vita ed anche nei modi di ripensare gli istituti della partecipazione e soprattutto il ruolo che si è disposti a riconoscere alla società civile.

Da una parte il pubblico considerato come luogo privilegiato dello scambio dell’azione politica, della costruzione del consenso e del riconoscimento sociale che opera secondo le leggi ferree del mercato, della competitività, con meccanismi di inclusione ed esclusione ai quali sembra difficile porre rimedio o costruire alternative.

Dall’altro lato le singole persone cercano sempre più, in dimensione privata o di piccoli gruppi, di costruirsi un modo alternativo e le loro scelte vengono considerate non argomentabili, arbitrarie o legate a motivazioni di buona volontà o a interessi dei singoli, prive, comunque, o incapaci di assumere rilevanza politica.

Una partecipazione dunque monca in cui la società civile sembra spesso elemosinare riconoscimenti umilianti.

Eppure negli ultimi anni un’area della società formata da movimenti spontanei motivati e qualificati (tra i quali appunto anche Costruire Comunità) sta a dimostrare la disponibilità a mobilitarsi contro le aggressioni di una maggioranza nei confronti della magistratura o dell’ambiente o di qualità complessiva della vita, ma anche contro le incertezze della sinistra. Tendenze che vanno interpretate, capite evitando di passare da una politica lontana dalla società ad una eccessivamente legata ai movimenti.

Azioni volontarie dei cittadini che operano in una posizione privilegiata nel denunciare, nel tentare di ricucire le schizofreniche separazioni del pubblico e del privato e di adoperarsi a tutti i livelli perché l’intera società civile ottenga il riconoscimento del proprio effettivo peso anche come soggetto politico.

Non si tratta di ottenere maggiore rappresentanza, dato che gli stessi meccanismi sono messi in discussione, o di cercare una visibilità che sia funzionale al potere politico (per ottenere qualche cosa), è in gioco un ben più radicale e ampio riconoscimento; una tutela del protagonismo sociopolitico di una società civile che si dimostra sempre più consapevole e capace di produrre nuove pratiche sociali, nel contempo critiche e riflessive, una silenziosa promotrice di cambiamento sociale e nuove modalità di partecipazione.

Una richiesta di partecipazione che dovrebbe privilegiare innanzitutto i luoghi di appartenenza, i paesi e le città.

La partecipazione alla vita politica; deve ridiventare un fatto quotidiano, normale, ordinario.

Le istituzioni, non sono solo il modo di eleggerle, sono soprattutto il modo di starci dentro, di frequentarle, di abitarle.

Una politica quindi dal volto umano: il nostro volto e non quello astratto e distante di una istituzione che non ci appartiene.

Un diritto ad “abitare” le città i paesi, le istituzioni in cui l’azione volontaria diventa pratica di cittadinanza orientata a garantire i diritti fondamentali di ogni persona (soprattutto di quanti sono troppo deboli per difendersi e proprio per questo spinti verso zone di esclusione assolutamente intollerabili) e ad aggredire le cause delle disuguaglianze economiche, culturali, sociali e politiche o i gap di partecipazione, i deficit di democrazia che connotano i piccoli territori di appartenenza locali ma anche purtroppo del mondo.

Un volontariato civile che è sempre più chiamato in causa a proporre denunciare, sottoporre le questioni del normale vivere civile dentro la società. Gratuito, che testimonia attraverso l’esperienza le condizioni per la realizzazione di quella “libertà positiva” su cui si fonda la nostra cultura occidentale.

Significa cogliere in tutta la complessità e poliedricità la dimensione delle reazioni personali e sociali “costitutive” della persona e restituendo identità e un’immagine dell’uomo nella sua interezza.

Ci ricorda che sono il legame sociale e l’interazione consensuale a fondare le reali e concrete possibilità di vita di ciascuno.

Condizioni che non possono sussistere soltanto a partire dalla pratica del “negoziato” intesa come calcolo del dare e dell’avere negli scambi sociali o nelle obbligazioni reciproche.

Ci ricorda (Bourdieu e Popper) che il dissenso può essere il momento più altro della vita politica, quello in cui si dice no e non sì, la necessità del dissenso e della formulazione di idee diverse.

Ciò richiede un accesso alle informazioni, alla conoscenza reale delle situazioni, dei problemi o delle questioni in gioco.

In una discussione pubblica non ci si va per confrontarsi astrattamente sul bene pubblico, ma si portano interessi, preferenze, comprese le proprie credenze e fedeltà non sempre razionali, tutto questo viene messo a confronto nella discussione con altre con la conseguenza che possono essere modificate in tutto o in parte e gli interessi eventuali possono essere interpretati diversamente grazie al contributo di argomenti diversi.

Un cittadino consapevole, responsabile e attento, dunque, che sappia e voglia assumere il compito di una presenza attiva nella comunità, nei contesti che ritiene più opportuni, magari in Costruire Comunità.

Ackerman e Fishkin propongono un’interessante iniziativa di cui si potrebbe forse farsi carico. I “deliberative pollings” e addirittura il “deliberative day”. Un processo attraverso cui approfondire argomenti di interesse acquisendo informazioni non solo dai canali tradizionali, ma anche con discussioni, dibattiti, approfondimenti.

Discussioni in gruppi dove si danno informazioni preparate da esperti, si ascoltano relazioni, si confrontano opinioni di specialisti e di politici di parti diverse. Si raccolgono le opinioni dei partecipanti e si valuta quanto possano influire sulle decisioni.

Una funzione di continua informazione per arricchire e muovere la discussione anche politica. Dovrebbero poter essere ben accolti anche da quei politici che non temono il confronto degli argomenti e la verifica degli slogans, l’approfondimento delle difficoltà e dei modi per superarle.

In questi due anni è stato in parte il lavoro fatto da Costruire Comunità, è la strada o una propedeutica su cui orientare, in ultima analisi, quanti, giovani soprattutto, vorranno orientarsi verso l’attività politica.

 

Intervento di Luigi Casanova: “Per sconfiggere la cultura del silenzio”

Costruire Comunità è divenuta un riferimento politico e culturale che si pone al servizio dei cittadini. Approfitto quindi della vostra attenzione per mettervi al corrente della immediata ripresa della azione politica in difesa dell’integrità di Val Jumela.

Lo sappiamo, Val Jumela non è solo un insieme di valori naturalistici che dobbiamo difendere: è anche il simbolo di una azione ambientalista più vasta che ci porta a difendere tutto il territorio provinciale (sì, perché noi siamo il vero e proprio riferimento politico del territorio): con l’attenzione rivolta verso Val Jumela intendiamo anche impedire altri collegamenti previsti nella prossima variante al Piano Urbanistico Provinciale: Pinzolo-Campiglio, San Martino-Passo Rolle attraverso Val Boneta, Val della Mite, le aree sciistiche di Folgaria, i boschi del Tesino.

Oggi la politica si mostra sempre più infastidita dalle opinioni, dalle critiche, dai suggerimenti: è un mondo politico che oggi sta imponendo la cultura del silenzio, l’omologazione del pensiero appiattendolo ai bisogni del potere.

Ma attraverso il silenzio non si costruisce democrazia e partecipazione, il silenzio diviene la base del servilismo, della rassegnazione, quindi humus delle dittature.

Orami è evidente: anche in Trentino il dissenso è impedito.

Chi dissente, chi ricerca altri percorsi partecipativi, esterni al solo momento elettorale, viene emarginato.

Ce lo dicono e ricordano con preoccupante continuità, con veemenza, troppi assessori: non si può, non si deve criticare la politica di questa giunta: chi lo fa si autoesclude dai percorsi politici del centrosinistra.

Lo si legge nei comuni dove le minoranze sono umiliate dall’arroganza di sindaci e di assessori. Ce lo dicono le improvvisate Agende 21 o i patti territoriali, quasi ovunque trasformati in strumenti tesi a superare vincoli legislativi o ad imporre infrastrutture pesanti: i bisogni sociali vengono invece trascurati.

È necessario opporsi a questi percorsi e ritornare alla politica dei cittadini.

Perché questo avvenga si deve superare l’UIivo autoreferenziale dei partiti e costruire nuovi soggetti, più aperti, mobili, capaci di accogliere diversità, atteggiamenti, proposte, capaci di disegnare altra società, la società della solidarietà, la società della sobrietà, la società che rifiuta la guerra, ogni guerra, la società che costruisce politiche di prevenzione, di dialogo.

È necessario anche interrogarsi sul mondo del lavoro. Ampi settori della sinistra ritengono questa specificità della nostra vita momento politico marginale.

La CGIL con la manifestazione di Roma del 23 mano 2002, con la raccolta di oltre 5 milioni di firme a sostegno dei diritti del mondo del lavoro, ha dimostrato che il sentire comune è ben diverso, fortunatamente.

E noi, siamo proprio certi che nel Trentino le priorità siano i megainceneritori, i nuovi collegamenti sciistici, le nuove bretelle stradali, autostrade e aeroporti?

O non è invece opportuno chiedersi perché i nostri laureati siano costretti ad emigrare fuori provincia per trovare lavoro dignitoso, perché gli spazi della ricerca, della sperimentazione si sono chiusi, perché non si costruisce occupazione di alto profilo?

Non è forse necessario chiedersi con forza come si lavori oggi in Provincia, nel turismo come nel commercio, nella sanità pubblica e privata, nelle case di riposo e nell’artigianato, nelle cave di porfido?

E se questi lavori rispondano alle necessità di una vita qualitativamente migliore? Domanda che va rivolta non solo al lavoro dipendente, ma proposta con attenzione anche agli imprenditori e alla quale va fornita una riposta ed un progetto.

Il nuovo Ulivo trentino è chiamato ad offrire risposte a questi passaggi. Anche ad altri qui non accennati.

Il nuovo Ulivo trentino deve parlare chiaro alla popolazione e qui si parla con i progetti, con gli obiettivi concreti, con chiari SI ed altrettanti motivati NO.

Si dovrebbero mettere al bando le scomposte scomuniche in quanto è solo dentro percorsi di chiarezza che si costruisce l’alternativa culturale e politica alla destra, al potere dei principi, all’avanzare delle culture di separazione.

In vista delle elezioni del 2003 Costruire Comunità si impegna a tracciare questo solco.

Noi tutti ci aspettiamo una semina diffusa, aperta, capace di scommesse alte che superino l’aridità e la banalità letta in altre assise politiche appena terminate.

Costruire Comunità ha il compito di rafforzare e arricchire l’Ulivo trentino.

È auspicabile che altri soggetti, perché arroccati a difendere spazi istituzionali, o perché disturbati e impermalositi, oggi incapaci di accogliere i fermenti della società, non soffochino un percorso tanto impegnativo che in tanti ci stiamo per assumere con senso di responsabilità.

Un ultimo accenno: chi si sta impegnando sugli argomenti oggi viene tacciato di integralismo: spero vi sia la capacità di distinguere fra integralismo e richiesta di coerenza e di trasparenza.

 

Intervento di Edoardo Benuzzi: PARTE, non CONTROPARTE dell’Ulivo

Non sono d’accordo con la relazione di Passerini e non sono d‘accordo con la sua proposta conclusiva, con quel “scendere in campo” che traduco in “presentarsi direttamente alle elezioni”.

Non sono d’accordo perché la relazione è “schematica”, cioè mette in fila tutti i nomi della politica sotto lo stesso segno, questo preconcetto non rende conto della complessità delle situazioni e dei problemi, della “nebulosità” che permea molti aspetti della realtà politica.

La relazione è anche un po’ “manichea”, perchè divide troppo tra buoni e cattivi. Per questi ultimi, tutti in un fascio, si ipotizza per alcuni che abbiano perduto la “fede” e per altri che abbiano “t|radito” i programmi sui quali avrebbero ricevuto mandato.

Termini di questo genere – sono giudizi morali, non politici – fanno arrabbiare gli interlocutori, hanno fatto incazzare Pezzotta, segretario della Cisl, quando sono stati usati nei suoi confronti, a torto, dalla Cgil di Cofferati. E si vede la fatica che fanno ora, che ce n’è un bisogno estremo, a ritrovate l’unità – i sindacati – sul problema della Fiat.

Il “taglio” inquisitorio della relazione contraddice la riaffermata collocazione nell’Ulivo trentino di Costruire Comunità, è difficile interloquire, cioè avere interlocutori quelli stessi che si pretende di esaminare, anzi giudicare.

E poi non è vero che tutto il mondo sia intriso di una patina di negatività, qualche cosa si è pur mossa in questi mesi, per es. c’è una “sinistra conciliare” che persegue la trasversalità e il superamento delle rispettive “case” di provenienza per confrontarsi con il “Trentino della qualità”; c’è Solidarietà che conclude la sua assemblea congressuale pronta a sciogliersi a tutto campo, gli stessi DS parlano di “lista civica”: insomma, un qualche segnale questi partiti ingessati, “che non contano più nulla” secondo Passerini, lo hanno dato.

È vero che la partecipazione trova difficoltà, mentre la democrazia rappresentativa, quella delegata, quella a cui si punta con le elezioni peraltro, tende ad essere sempre più schematica e meno partecipativa, sempre più ossificata e anche elitaria, dove la mediazione si fa più secca e più dura.

È quindi fondamentale irrobustire la partecipazione, la democrazia dal basso, la democrazia diretta – questo è un grande merito di Costruire Comunità – e però è vero che anche questa democrazia ha l’obbligo di porsi il problema del “governo”, della mediazione, delle soluzioni concordate.

Una Val Giumela non la imputi solo alla giunta “cattiva”, peraltro non tutta uguale, ma anche ai “montanari” della Val di Fassa, ed anche all’incapacità di inserirla nella piattaforma di “un altro mondo è possibile”.

In ogni caso, se Costruire Comunità vuole realmente confrontarsi con gli altri – e lo deve fare per costruire comunità politica e non rottura – deve chiedere un tavolo di riflessione comune, cioè un tavolo di discussione (vuol dire: stabilire assieme l’agenda politica, l’ordine dei problemi, fare l’istruttoria dei problemi stessi e indicarne soluzioni condivise) e non un tavolo di trattativa.

Si è evocato il governo Prodi come età dell’oro dell’Ulivo, sappiamo come è andata a finire quando si è aperta la stagione “contrattuale”, quella del “più uno” , come sulla riduzione dell’orario di lavoro.

Costruire Comunità deve confrontarsi con le forze politiche dell’Ulivo Trentino come PARTE, non come CONTROPARTE.

 

Intervento di Gianni Palma

Appartengo a quella generazione che aveva messo l’impegno politico al centro della propria vita. Poi tutto questo finì in vario modo. È storia nota. Dal massimalismo, poi, per me ed altri seguì il disimpegno.

Si andava a votare ogni tanto. Chi faceva politica ci diceva che ci avrebbero pensato loro. D’altra parte i grandi valori della democrazia sembravano al sicuro.

Seguirono vari importanti eventi, dalla caduta del Muro di Berlino alla tangentopoli italiana, la dissoluzione di alcuni partiti politici, e tante altre cose ancora; ma una mattina ci siamo svegliati ed abbiamo cominciato a vedere dei grandi poster 6 per 3 sui muri, da dove qualcuno ci diceva che avrebbe risolto tutti i nostri problemi: anche lui cominciava a pensare per noi.

Da allora come è successo a molti è scattata l’indignazione, poi qualcuno ha iniziato a fare un patto con se stesso: bisognava ricominciare ad impegnarsi in prima persona.

No a qualunque delega era il nuovo imperativo!

Non daremo più a nessuno deleghe in bianco. Vogliamo fare politica in prima persona, o quanto meno controllare da vicino chi fa politica.

Oggi noi vogliamo costruire insieme, con i movimenti e con i partiti del centrosinistra, l’alternativa a questa destra arrogante, a questa anomalia italiana, a questa nuova dittatura della maggioranza.

Ma non prendiamo lezioni politiche da nessuno. Specie da chi in cinque anni di governo non è riuscito a fare uno straccio di legge sul conflitto d’interesse e sulla tivù.

Con il risultato di un paese con un sistema d’informazione sequestrato da una persona e con il sistema informativo più importante, la televisione, controllata da una parte politica.

Questa situazione devastante fa sì che la competizione elettorale in Italia, ed anche nel Trentino non è più democratica, visto che il 50% del consenso elettorale si forma guardando la tivù.

Con buona pace di tutta la sinistra che ha sempre sottovalutato il problema dell’informazione.

L’indicazione per noi tutti è quella di tornare ad impegnarci direttamente, di cercare le alleanze per fermare questa destra italiana estremista ed antidemocratica.

Anche qui in Trentino dobbiamo sapere che è importante bloccare la destra.

Le prossime elezioni provinciali avranno una valenza nazionale, sarà il momento di unire le forze e superare, nei limiti del possibile, divisioni politiche: tutto ciò significa anche che non dobbiamo perdere la buona abitudine di avere governi di centrosinistra, senza che questo diventi un ricatto per digerire tutto.

Se non saremo uniti, perché ci saranno impedimenti politici gravi, dovremo valutarne bene le conseguenze.

L’lDENTlTÀ

Costruire Comunità nasce nel febbraio del 2001 per dare risposte concrete non solo a chi era deluso dal governo provinciale di Centrosinistra, ma soprattutto per rispondere alle nuove domande di partecipazione alla vita democratica di sempre maggiori gruppi di cittadini che non si rassegnavano ad essere spettatori di una gestione politica limitata e vincolata dagli interessi di gruppi e singole persone, senza una visione ampia e strategica che giustificasse le vaste opportunità dell’Autonomia trentina.

Costruire Comunità ha avuto il pregio di sottolineare il disagio, stimolando in positivo, da subito, il dibattito attraverso una intensa attività costruttiva che la connota e la differenzia dagli altri club politici nuovi e vecchi, fioriti in tempi preelettorali.

Il risultato sono:

4 assemblee generali;

40 incontri, dai temi della pace a quelli ambientali, da quelli istituzionali a quelli più politici e riflessivi;

una mailing list di oltre 2000 iscritti;

un sito sempre aggiornato.

Ma il pregio più grande di Costruire Comunità è stato quello di essersi sintonizzato, con un certo anticipo, con quelle sensibilità e quella voglia di tornare a far politica che sono il tratto positivo di questa stagione politica, e che hanno portato in piazza milioni di italiani, e senza i quali l’opposizione si starebbe ancora interrogando sul perché della sconfitta.

A Geneva, ad Assisi, a Roma con Cofferati, a Roma ancora con Moretti, a Firenze con i new global Costruire Comunità c’era; c’era con i tanti Trentini che i questi due anni hanno sempre risposto con coraggio e decisione all’appello di esserci per dire di no a questo governo di destra, ed ai vecchi e nuovi signori della guerra e per dire tanti sì ad un mondo diverso e possibile.

Costruire Comunità c’è con i cento movimenti che oggi arricchiscono la partecipazione in Italia e che sono la base dei nuovi soggetti politici da costruire insieme.

Costruire Comunità è stata presente nel Trentino con alcuni personaggi come Passerini e Micheli ed altri ancora, che hanno contribuito, non solo a vivacizzare il dibattito politico, inserendo elementi di riflessione positiva, ma hanno realizzato vere e proprie battaglie politiche, come quella delle vergognose code degli extracomunitari in questura, o sull’inceneritore.

In questo modo, nei fatti, Costruire Comunità si è costruita una sua identità originale che ha radici sicure nella migliore tradizione socialista liberale e cattolica italiana ed europea, è strettamente legata ai problemi del territorio trentino, nasce nel Trentino, passa per una grande attenzione e conoscenza dei temi ambientali e dell’autonomia, parola senza significato se non viene riempita di contenuti, ma è aperta alle nuove sensibilità del mondo giovanile e vuole essere un luogo di costruzione ed unità fra soggetti diversi.

Noi non vogliamo rinunciare alla nostra identità.

Anzi oggi dobbiamo verificarci, conoscere qual è il grado di adesione della gente al nostro percorso.

Dobbiamo e vogliamo contarci.

Dobbiamo verificare se la strada percorsa è giusta.

Quindi dobbiamo essere presenti al prossimo confronto elettorale con il nostro simbolo e nostri rappresentanti.

 

IL TRENTINO CHE SOGNIAMO

Vogliamo un Trentino che sappia costruire il futuro a partire dalla sua originalità, che trasformi le sue differenze in ricchezza per tutti, che sappia mettere al centro delle sue risorse il suo patrimonio più grande, che è quello ambientale.

Che sappia trovare la sua strada per innovare, conscio che la bellezza del suo territorio è lo specchio della sua fragilità, e che lo sviluppo dovrà scoprire nuovi percorsi che non sono certo quelli:

dell’asfalto;

degli impianti a fune;

e delle cementificazioni.

Vogliamo sognare che un altro Trentino è possibile.

Un Trentino allargato alla Regione e che si sappia muovere tra Stato, Euroregione ed Europa.

Trentino che sappia accogliere gli extracomunitari ed i comunitari come persone, come nuovi trentini, senza paura, senza odio o disprezzo.

Un Trentino terra di pace, che stimoli il dialogo mettendo a disposizione risorse e spazi.

Un Trentino competitivo, che pensi al futuro valorizzando le specificità presenti, stimolando lo sviluppo economico delle proprie nicchie competitive.

Un Trentino solidale, attento ai deboli ed alle nuove emarginazioni.

Un Trentino che torni ad essere laboratorio per creare nuove opportunità per i più giovani.

Un Trentino che quando costruisce una Casa, semmai, costruisce prima le case di abitazione che mancano e poi case per fare politica.

Sinceramente ne abbiamo già abbastanza della cosiddetta Casa delle Libertà per sopportare un clone trentino, almeno come marchio politico; siamo stanchi delle pagine gialle applicate alla politica: dalla casa degli italiani della Scavolini alla casa del pneumatico, della piuma, del legno, dello scaffale, del motore elettrico, della calza.

Se si vuole costruire un partito territoriale lo si chiami con il suo nome: Partito territoriale Trentino o Partito del Trentino. Poi si potrà discutere anche dei suoi programmi.

Come si vede è un Trentino che oggi non c’è, è per questo che bisogna costruirlo!

La nuova legge elettorale a turno unico spinge verso le coalizioni.

Noi una coalizione ce l’abbiamo già: è l’Ulivo.

Se l’Ulivo ci sarà, noi saremo nell’Ulivo.

Se l’Ulivo non ci sarà, noi ci saremo lo stesso con tutti coloro che vorranno percorrere lo stesso itinerario.

 

Intervento di Michelangelo Marchesi

In queste ultime settimane ho raccolto da più persone l’auspicio che il percorso di Costruire Comunità possa non solo proseguire, ma anche dar corpo ad un movimento capace di portare nella politica trentina elementi di novità, di fedeltà a valori e programmi, di superamento delle logiche partitiche. Un soggetto politico agile e partecipato in grado di far rivivere a molti elettori delusi del centrosinistra la passione e l’entusiasmo del primo Ulivo, quello di Prodi e dell’esperienza troppo presto liquidata dei comitati.

Qualche voce, in molti casi più vicina a partiti e soggetti politici organizzati, si è invece espressa in termini più prudenti: “si rischia di dividere il centrosinistra”, “Costruire Comunità danneggia la sinistra!”.

Ma il centrosinistra e la sinistra stessa sono già divisi dall’incapacità di lavorare insieme e di condividere effettivamente programmi e scelte di governo, non sanno più interpretare quanto di nuovo la società civile, con vivacità e forza, esprime.

L’altro richiamo ricorrente è quello di far fronte comune per impedire la vittoria della destra anche in ambito provinciale.

È fuor di dubbio che quanti animano e condividono l’esperienza di Costruire Comunità sono antitetici rispetto ai valori ed ai programmi della destra berlusconiana e che, anche alla luce dell’azione devastante di questo governo, vogliono contrastarne il successo in Trentino.

Ma battere la destra non potrà più essere la strumentale parola d’ordine per blindare il centrosinistra, facendo accettare all’elettorato programmi ambigui e candidature impresentabili, come già successo in occasione delle elezioni politiche del 2001.

Battere la destra non sarà più per molti elettori argomento sufficiente per concedere il proprio voto al centrosinistra. È solo per il successo di un centrosinistra condiviso e partecipato, sostenuto da programmi trasparenti e credibili, che molti sono disposti ad impegnarsi ancora.

Di fronte a questa esigenza di rinnovamento non arrivano segnali di apertura.

Di Ulivo non si parla praticamente più, avanza un ambiguo progetto di Casa dei Trentini del quale neppure il congresso della Margherita ha permesso di comprendere i reali contenuti, si auspica un soggetto della sinistra più accomodante che sappia prendere le distanze dalle posizioni più radicali, si disattendono i programmi sui quali era stata costruita l’alleanza del centrosinistra, si mortifica la partecipazione riservando decisioni e azione politica solo ad una ristretta nomenklatura.

“Non credo – ha detto Marta Dalmaso al congresso della Margherita – che tutto vada sacrificato sull’altare della governabilità”; ad una governabilità, mi vien poi da aggiungere, che non sa o non vuole recepire le istanze di sviluppo sostenibile, di tutela ambientale, di solidarietà sociale, di legalità e giustizia, di pace alle quali invece non dobbiamo rinunciare.

I numerosi appelli che sono risuonati in questi ultimi tempi alla costruzione di nuovi soggetti politici della sinistra o di improvvisati contenitori elettorali non convincono. Preoccupano il deficit di progettualità, l’incapacità di misurarsi concretamente sui contenuti, la fin troppo evidente finalizzazione elettorale di tali proposte.

Ancora un volta si preferisce dar vita ad effimeri contenitori che rischiano di esprimere solo fragilità e povertà di prospettive.

Per quasi due anni Costruire Comunità, praticamente unico soggetto nella palude della politica trentina, ha ragionato di contenuti, ha elaborato proposte, ha promosso decine di incontri pubblici, ha permesso a molte persone di riscoprire il gusto della partecipazione.

A questo punto, quindi, Costruire Comunità non può sottrarsi all’impegno di rappresentare direttamente, se necessario anche presentandosi con una propria lista alle elezioni provinciali, quelle istanze che oggi non trovano voce nel centrosinistra trentino.

Ma l’obiettivo da perseguire non deve essere né un nuovo partito (nel momento in cui percepiamo e denunciamo 1’inadeguatezza dei partiti politici strutturati ad interpretare in modo dinamico ed efficace i fermenti più vivi della società civile), né una semplice proposta elettorale (avventura di basso profilo, utile solo a soddisfare modeste ambizioni personali).

Ciò di cui c’è bisogno è piuttosto un progetto politico, innovativo nel metodo e nei programmi, che costringa il centrosinistra trentino ad aprirsi e ad accettare un serio confronto sulle scelte da attuare per il futuro della nostra autonomia e sul modello di sviluppo da adottare per la nostra provincia.

 

Intervento di Paolo Tonelli

Ho ascoltato con attenzione l’intervento di Edoardo Benuzzi quando, criticando la relazione di Passerini, ci imputa di non essere sufficientemente attenti al problema del governo.

Direi che questa critica è vecchia come il mondo all’interno della politica italiana e vada sostanzialmente respinta.

Io credo che nessuno in questa stanza sia votato all’eterna opposizione, che tutti siano profondamente convinti che i nostri valori e in nostri conseguenti elementi programmatici sono “da governo” e che quindi il problema non sia quello dell’essere votati o meno all’opposizione, ma sia quello dei contenuti e dei modi della politica.

Non mi spaventano assolutamente gli elementi necessari di mediazione che ai vari livelli bisogna saper fare, così come risulta evidente che dovrà fare compromessi più elevati chi ha responsabilità alte e dovrà fare compromessi e mediazioni più basse chi non ha responsabilità così alte.

Questa articolazione, e anche questa differenza, non deve assolutamente spaventare se è guidata da programmi condivisi ma anche e soprattutto se è guidata da “modi” condivisi. I “modi” della politica sono altrettanto importanti dei contenuti e spesse volte lo sono ancora di più.

E i modi sono non solo gli atteggiamenti (la capacita di ascolto, l’essere convinti che l’altro è portatore comunque di idee positive) ma sono anche i luoghi ed i metodi nei quali e con i quali si prendono le decisioni collettive e quindi si differenziano anche in modo condiviso i livelli degli eventuali compromessi.

Nel discorso degli atteggiamenti si ascrive anche “l’ira” di Bondi che è uscito da questa stanza furibondo per le affermazioni che qui sono state fatte.

Anche questa “ira” purtroppo è vecchia come il mondo. Molti di noi che hanno attraversato il loro lavoro politico sempre impegnati nella ricerca eretica, nei percorsi curiosi, ecc… hanno vissuto per tantissimi anni sulla loro pelle questa ira.

È l’arrabbiatura degli egemoni. Di coloro che sono convinti (non si sa bene tra l’altro investiti da quale autorità o da quale forza) che il loro disprezzo è critica e la critica mossa da altri è disprezzo.

Quindi io raccolgo positivamente ed al contrario l‘intervento di Remo Andreolli. A me sembra che le parole dette da Andreolli vadano valorizzate e vadano trasformate in un percorso possibile, chiaro, senza fraintendimenti, onesto.

Personalmente mi dichiaro assolutamente disponibile a cercare da subito quei luoghi cui accennavo sopra affinché sia possibile ricostruire un percorso di programma e di modi – ripeto – che sia foriero di utilità per la politica trentina e che possa anche porsi il problema delle modalità con le quali affronteremo le prossime elezioni provinciali del 2003.

Le elezioni provinciali non devono a mio parere però essere l’unico obiettivo.

L’obiettivo che abbiamo di fronte, alto, è la cultura.

È la cultura politica di cui si sente una enorme assenza e che sta uccidendo piano piano quello che per tantissimi anni è stato il positivo laboratorio trentino.

Un’altra cosa volevo aggiungere prima di chiudere il mio intervento ed è riferita alla nostra natura, alla natura di Costruire Comunità. Penso di avere il pedigree per fare questa critica, io che ho lungamente militato nella sinistra.

E appunto il mio discorso è riferito al fatto che sento troppo parlare di sinistra qui dentro.

Penso che Costruire Comunità sia e voglia esser qualche cosa che va al di là della storia della sinistra e dei suoi percorsi.

Costruire Comunità è un incontro fra culture diverse, fra persone che ritenevano erroneamente di essere divise dal “muro” e che alla sua caduta hanno potuto incontrarsi.

Oggi questo incontro è il valore più grande di Costruire Comunità e va custodito, alimentato con amore e con convinzione.

Va tenuto presente come elemento primario in ogni nostra “comunicazione”.

Sono convinto che soltanto così sapremo essere all’altezza dell’esigenza fondamentale che emerge dalla realtà e che si riassume in necessità di maggior cultura.

 

Intervento di Violetta Plotegher

Sentendo gli ultimi interventi di Paolo Tonelli e di Michelangelo Marchesi, che condivido, trovo che ben poco io posso aggiungere.

Costruire Comunità è oggi un movimento di cultura politica, traversale e tutto interno al centro-sinistra trentino, di cui interpreta i fermenti positivi ed il bisogno di un cambiamento di rotta, non per spirito di contrapposizione, ma per ricucire idealità e realismo, per non adagiarsi soltanto sul fare ciò che oggi è possibile, ma per pensare l’esistente in ragione di un futuro.

Per questo oggi si approva lo statuto associativo che prelude ad un periodo di condivisione e di elaborazione programmatica e propositiva di quello che è il manifesto di Costruire Comunità.

Qui c’è quel centro-sinistra che ritrova I’entusiasmo e l’orgoglio di tradurre in concretezza i principi, un tempo condivisi, e che avevano motivato il sorgere dei Comitati dell’Ulivo, che avevano fatto riappassionare alla politica tanta gente, al di là delle appartenenze politiche e degli interessi di partito.

Principi, metodi di confronto e di collaborazione, elaborazione di proposte frutto di intelligenza collettiva, che sembravano persi per strada, che oggi in particolare sembrano soffocati dalle dinamiche di schieramento preelettorale.

L’augurio e la speranza è che Costruire Comunità non segua lo stesso destino, fondando il senso politico della sua presenza ben oltre il tempo in cui le strategie preelettorali ci costringono.

La speranza e il sogno di portare la politica dentro i partiti, anche per farli implodere se sono, come sembrano, contenitori vuoti.

E far riesplodere la politica come atto di responsabilità collettiva, come dimensione di democrazia partecipata, come controllo di chi interpreta il mandato elettorale in termini di potere personale.

Servono luoghi di discussione e di elaborazione, di condivisione e di conoscenza, autopromossi e autofinanziati, liberi e aperti alla partecipazione, in contatto diretto con la gente e con i suoi problemi quotidiani.

Per questo oggi assumiamo la soggettività giuridica in forma di Associazione e questo è un passo necessario per attribuirci democraticamente anche una responsabilità rispetto allo scenario politico esistente, e naturalmente per “esistere” dal punto di vista economico e organizzativo, superando una lunga stagione, estremamente ricca dal punto di vista propositivo, ma che rischia di essere presentata come frutto di alcune voci anziché testimoniare la forza del contributo di tanti.

Questo mio breve intervento vuole suggerire inoltre, poiché anche il linguaggio che adottiamo non è indifferente, due piccole ma significative modifiche allo statuto che approveremo.

La prima modifica riguarda la necessità di utilizzare, a partire dal comma 4 dell’art. 3 al posto della parola “uomini”, la parola “persone”, e comunque scriviamo sempre “donne e uomini”, “cittadine e cittadini”, poiché questo non è inutile , ha un significato preciso, vuol dire comprendere che né la Politica né il linguaggio sono neutri.

La seconda modifica che suggerisco, sempre nello stesso passaggio, è l’aggiunta, dopo “l’attenzione per l’ambiente vitale”, inteso come ambiente naturale da proteggere, anche il termine ambiente “relazionale”.

Noi siamo esseri viventi che indubbiamente dipendono per il loro benessere dalla “nicchia ecologica” in cui sono inseriti, sia essa l’ambiente naturale di una valle o il quartiere della città, ma non meno importante, giacché siamo esseri che vivono di relazioni, è la possibilità di avere una qualità esperenziale di interazioni e di legame con gli altri.

Significa che nell’agenda politica occorre inserire fra le priorità, oltre a parole forti a protezione della vita e in prevenzione dei danni biofisici che si profilano all’orizzonte, anche la promozione del benessere relazionale.

Significa orientare le scelte politiche non solo in ragione di uno sviluppo che si misura col PIL, ma, fatte proprie le garanzie dei bisogni concreti per tutti (cibo, casa, lavoro, salute, istruzione) orientare le scelte politiche in ogni settore (dell’economia, della cultura, dell’urbanistica, della scuola, della sanità) con una attenzione globale alla persona, il che vuol dire appunto considerare anche il suo ambiente affettivo, relazionale e sociale.

Significa semplicemente che nella sanità e nell’assistenza non basta occuparsi di “prestazioni”, o dell’efficienza monetizzata dei servizi, della cura in sé, ma del “modo di prendersi cura” delle persone; che nella scuola non serve il modello efficentista delle nozioni-informazioni utili al mercato (le tristemente famose tre “i“) ma occorre coltivare anche la crescita dell’intelligenza emotiva e del senso di appartenenza alla comunità dei ragazzi; che in urbanistica i criteri non possono essere solo quelli della Valutazione d’Impatto Ambientale, devono essere anche quelli della valutazione di impatto sociale, delle grandi come delle piccole opere.

Significa che una politica del lavoro deve riguardare i tempi del lavoro in ordine ai tempi della vita familiare e sociale e non viceversa, che i bilanci dei nostri Comuni non possono essere solo quelli del rendiconto economico ma devono anche essere dei “bilanci sociali”, in grado di valutare con opportuni indicatori che cosa comportano nel tempo gli investimenti fatti sulla qualità della vita, termine abusato e ridotto spesso ad un riscontro di quantità di beni da avere e non di beni “da essere”, di “ben-essere”, appunto.

Mi sembra che lavoro ce ne sia tanto da fare, ma soprattutto sento e so che l’entusiasmo non manca. Lasciatemi dire che è necessario avere anche delle speranze di cambiamento e non solo realismo, forse è bene avere più speranze che certezze, poiché le certezze sono rigide e non aperte agli imprevisti e al confronto rispettoso con gli altri, mentre nelle aspirazioni, nei sogni, abita già il futuro in cui si crede.

 

Intervento di Elisabetta Vindimian

Sono fra i firmatari del documento di Costruire Comunità ma, rispetto alla maggior parte degli interventi precedenti mi sento una “Bastian contraria”.

Credo nei valori di Costruire Comunità ma non credo che questi valori ci siano solo in chi sta in Costruire Comunità.

Siamo tutti un po’ delusi per quello che vorremmo e che non vediamo realizzato nell’attuale governo provinciale ma in questo momento mi trovo a dire NO ad un nuovo gruppo politico.

Noi purtroppo non rappresentiamo la società civile ma solo una parte minoritaria di essa. Proseguendo da soli i modelli ideali che ci siamo posti rimarranno solo modelli e non troveranno alcuna realizzazione.

Fra i principi ispiratori di Costruire Comunità c’era la volontà di UNIRE. Pinter la scorsa settimana ribadiva l’importanza di essere uniti per rappresentare un peso critico del 20%. Solo in tanti, insieme, avremo più peso critico per essere meno delusi, per dare più fastidio, per essere molto più pericolosi nei confronti di chi rappresenta interessi forti contrari al nostro pensiero.

In questo pomeriggio si sono esaltate solo le negatività di quanto fatto dal governo trentino.

Ritengo giusto che vengano segnalati anche i fattori positivi, i limiti che sono stati posti, i “mali” che si sono evitati.

Se stiamo insieme possiamo LIMITARE di più, altrimenti rimarremo una minoranza seppur di qualità!

Mi dispiace se Costruire Comunità diventerà gruppo politico, se diventerà “partito” perché si perderà un’ottima occasione di incontro, di confronto e di PUNGOLO per la classe politica!

 

Un nuovo Trentino è possibile.Vogliamo costruirlo

Documento conclusivo presentato da

Walter Micheli

e approvato all’unanimità dall’assemblea con due astensioni

 

L’assemblea di Costruire Comunità riconferma le ragioni culturali, politiche e programmatiche contenute nel manifesto fondativo che avviò quasi due anni fa l’itinerario del movimento e le valutazioni espresse nel documento votato il 22 giugno scorso con l’appello alle forze dell‘Ulivo perché, nella concreta azione politica, ritrovassero le ragioni ideali che in Italia e nel Trentino hanno coinvolto tante persone per contrastare e battere le forze e i progetti della destra.

Di quest’impegno e tensione ideale in questi mesi c’è stata una straordinaria testimonianza con la mobilitazione di cittadini che in tante città italiane hanno manifestato per la pace, il lavoro, la giustizia, i diritti, esprimendo una vastissima rappresentanza sociale al necessario, possibile cambiamento.

Dai partiti del centro-sinistra e dell’Ulivo sono venute risposte inadeguate, reticenze, silenzi, assenze.

Questo impegno di larghi settori della società civile ha coinvolto in modo forte e diffuso anche il Trentino.

Ma anche qui le forze politiche che si richiamano all’Ulivo, hanno sconsideratamente sprecato anni, mesi importanti che dovevano essere utilizzati per realizzare, e non solo annunciare, i progetti di riforma: della Regione, dei poteri locali, della gestione del territorio per realizzare in concreto un ripensamento generale sui concetti di sviluppo sostenibile, di misura e di prudenza nell’uso delle risorse.

Si è avuto timore a rivendicare priorità ad una legge che affrontasse il tema dei diritti delle nuove minoranze, anche quando il rapporto sull’immigrazione 2002 ci conferma che i nuovi venuti sono essenziali alla tenuta sociale ed economica della nostra società.

Atti deliberativi come quelli degli impianti in Val Jumela o sul mega inceneritore hanno anzi contraddetto in modo clamoroso una politica coerente con gli indirizzi che dovevano essere patrimonio comune del centrosinistra e che erano e sono esplicitamente sostenuti da migliaia di cittadini del Trentino.

Questi atti si sono voluti assumere piegando e mortificando la struttura pubblica, con danni enormi all’attendibilità delle istituzioni.

Non è in questa maniera che si sconfigge la destra, la sua cultura, la sua politica.

Un altro Trentino è possibile. Vogliamo costruirlo insieme con quanti ritengono che la politica non sia solo un’esercitazione di formule e di riti, di scatole vuote, ma concreta azione di governo partecipato, di democrazia diffusa.

Le culture e i partiti che hanno fatto nel secolo scorso la storia del Trentino e i cui valori abbiamo richiamato e tentato di fondere nel nostro manifesto non hanno mai ipotizzato un partito territoriale.

Costruire Comunità è nata come atto d’amore per il Trentino, ma sapendo che questo si può esprimere solo collegando i suoi destini a quelli dell’Europa e dell’intera umanità e non restringendone prospettive e orizzonti.

Oggi votiamo lo statuto in cui trasferiamo le nostre istanze, le nostre ragioni, il nostro impegno, in nuce la società che vorremmo contribuire a costruire.

Sono ragioni che possono coinvolgere tutta la nostra comunità, che solo strumentalmente possono essere ricondotte solo ad una storia o ad uno schieramento, tanto meno ad un solo partito; che hanno bisogno di una grande casa nuova per trovarvi adeguata ospitalità.

Nello Statuto ci sono le bussole per continuare il nostro percorso culturale, che va oltre ogni contingenza elettorale.

In coerenza con quanto le assemblee d’aprile e di giugno di Costruire Comunità dibatterono e decisero, nella bozza di statuto proposta è inserita anche la possibilità di un diretto impegno del nostro movimento nel prossimo confronto elettorale, perché avvertiamo e siamo sollecitati a non lasciare senza rappresentanza politica quanti con noi condividono l’analisi critica e preoccupata per quello che è stata, ed è oggi, la politica del centrosinistra in Italia e nel Trentino. Per evitare che altri abbandonino l’impegno e lo stesso uso del voto per decidere il destino della Comunità.

Una decisione e un impegno cui Costruire Comunità si dichiara pronta.

Pronta peraltro a cogliere e continuare a sollecitare quei segni di novità che a tutt’oggi non ci sono stati.

Convinta però che le discriminanti per lavorare insieme non potranno essere le formule e le parole “stanche” che hanno ormai perso il loro significato storico, ma il rincontrarsi di tanti cittadini sui problemi concreti che segnano davvero lo spartiacque culturale e programmatico rispetto alla destra e al suo governo nazionale che mette a repentaglio la sostanza dei valori fondanti della nostra Costituzione.

 

 

Vedi anche l’articolo Walter Micheli costruttore di comunità