Altruismo, dono, volontariato. Incontro con le Acli

“Mai come adesso abbiamo sentito il bisogno di comunità buone, fondate su valori forti: di amicizia, di solidarietà, di attenzione verso i più deboli, chiunque essi siano.

Mai come adesso abbiamo sentito quanto sia dannoso l’egoismo, quanto sia pericoloso l’odio, quanto sia disumana l’indifferenza verso chi soffre, chiunque esso sia.”

Immagine: Movimento Italiano Volontariato

 

Altruismo, dono, volontariato:

la riscoperta dell’azione sociale come rigenerazione dello spazio interiore

 

di Vincenzo Passerini, animatore sociale

 

Conferenza tenuta il 26 gennaio 2021 nell’ambito del percorso formativo “Comunità, bisogni e nuova azione sociale” promosso dalle Acli del Trentino.

 

Buonasera. La situazione ancora molto grave della pandemia ci impedisce di incontrarci fisicamente, ma riusciamo comunque a comunicare tra di noi.

E questo è molto importante, perché è in momenti così difficili che abbiamo bisogno di incontrare gli altri.

Perché ci mancano. Mai come adesso gli altri ci mancano.

Mai come adesso comprendiamo che siamo esseri fatti per stare in relazione con gli altri. Che siamo esseri sociali. Che non siamo autosufficienti.

Che non ci bastano neanche le relazioni affettive o familiari.

Che abbiamo bisogno per esistere, per essere noi stessi, per stare bene, per sentirci veramente vivi, di una comunità, di una rete di relazioni sociali. E di una rete di relazioni sociali buone, belle, positive, giuste.

Mai come adesso abbiamo sentito il bisogno di comunità buone, fondate su valori forti: di amicizia, di solidarietà, di attenzione verso i più deboli, chiunque essi siano.

Mai come adesso abbiamo sentito quanto sia dannoso l’egoismo, quanto sia pericoloso l’odio, quanto sia disumana l’indifferenza verso chi soffre, chiunque esso sia.

E questo è anche il tema, più o meno, della nostra conversazione.

Ringrazio perciò le Acli per questa opportunità, a partire dal presidente Luca Oliver, al quale auguro buon lavoro dopo la recentissima rielezione.

E poi un ringraziamento particolare va a Walter Nicoletti che ha pensato questo e gli altri incontri con la consueta passione umana e civile. E a Josef Valer che ha curato tecnicamente questo incontro online.

Non pretendo di fare una relazione che risponda compiutamente a quanto il titolo, bello e impegnativo, sembra promettere. Non sono un professore, sono un volontario. Mi limiterò, quindi, ad offrire alcuni spunti alla nostra conversazione.

 

 

 La Shoah ci impone la domanda: chi siamo?

Domani, 27 gennaio, è il Giorno della memoria. Ricordiamo la Shoah, lo sterminio degli ebrei, pianificato e attuato su scala impressionante dal regime nazista, con la collaborazione anche del regime fascista.

È un giorno di memoria di tutte quelle vittime innocenti e anche di vergogna per noi italiani che precedemmo quello sterminio con le leggi razziali, prima contro i matrimoni misti italo-etiopi, poi contro gli stessi ebrei.

Memoria e vergogna perché questo non accada più.

Perché le nostre società non cadano più nelle persecuzione dei deboli e nell’indifferenza verso i perseguitati.

Quella disumanità spaventosa è un perenne invito anche a riflettere su che cosa è l’essere umano.

Chi siamo noi?

Siamo quegli esseri così feroci e bestiali che fecero quello sterminio?

Siamo quegli esseri paurosi, egoisti, indifferenti, preoccupati solo di salvaguardare se stessi che assistettero allo sterminio senza opporvisi?

Sì, siamo anche questo, ma per fortuna non siamo solo questo.

 

 

L’anziana signora Denise e il dono della vita

Nello scorso mese di dicembre, tra l’8 e il 9, i nostri giornali hanno dato notizia che sul quotidiano francese “Le Monde” era apparsa una “lettera aperta” scritta da una equipe medico-assistenziale (tre medici e una sociologa) e rivolta a una donna di 90 anni, morta di Covid a marzo, che non aveva voluto occupare l’ultimo letto nella rianimazione disponibile nell’ospedale Saint Louis di Parigi dicendo che era meglio destinarlo a qualcuno più giovane di lei.

Cara signora Denise – dice la lettera aperta – lei aveva talmente bisogno di ossigeno che voleva essere certa che ne sarebbe rimasto a sufficienza per tutti.

I medici non si sono opposti alla sua decisione e nemmeno il figlio dell’anziana donna.

Abbiamo cercato di lasciarla andare accompagnata dai suoi cari – prosegue la lettera – Non dimenticheremo mai che ci ha chiesto di andare a occuparci dei malati che avevano la possibilità di farcela.

Il posto in rianimazione che lei ha lasciato libero è stato occupato da un paziente che aveva la meningite che gli procurava convulsioni tali per cui bisognava metterlo in coma artificiale.

La lettera dell’equipe medica si conclude con queste parole:

Grazie ancora per questo incontro così ricco di insegnamenti.

Una storia che ci commuove e ci mostra a quale grandezza possa arrivare un essere umano.

Siamo di fronte al dono gratuito della propria vita per salvare quella degli altri.

Esattamente l’opposto di quello che accadde nella Shoah dove si vide la distruzione gratuita della vita degli altri per affermare la propria.

Gli esseri umani si muovono tra questi estremi. L’universo umano li contiene entrambi, e con essi tutte le loro varianti. Del bene e del male. E tutti noi siamo dentro questo universo umano. E dobbiamo scegliere dove stare.

 

L’inferno e il paradiso convivono nell’umanità

Quest’anno ricorrono due importanti anniversari: i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri e i 200 anni dalla nascita di Fëdor M. Dostoevskij.

Dante ci ha fatto vedere che l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso non sono soltanto luoghi teologici, per i credenti luoghi che abiteremo nell’eternità dopo la morte a seconda di come ci siamo comportati in vita.

Essi sono luoghi della vita umana quotidiana.

L’inferno, il purgatorio, il paradiso vivono nella nostra vita personale e collettiva e noi tutti ne facciamo l’esperienza.

Dostoevskij, dal canto suo, ci ha fatto vedere, come nessun altro, le profondità abissali dell’animo umano, dove bene e male convivono e lottano continuamente.

E tutti siamo impegnati continuamente in questa lotta, che prima di tutto è una lotta interiore, individuale, e che poi diventa anche lotta collettiva, sociale e politica, dove il bene e il male si combattono continuamente. E certo trasversalmente. Nessun schieramento politico ne è immune. Chi più, chi meno.

Egoismo, generosità, altruismo, odio, amore, omicidio, dono della vita, guerra, pace, fraternità, indifferenza, solidarietà. È una battaglia quotidiana che non ha mai fine. Né personalmente, né collettivamente.

Questa battaglia la dobbiamo combattere, con tutto noi, stessi. Non essere superficiali. Non stare alla finestra a guardare.

 

 

L’ideologia individualista vincente è falsa

Questa battaglia la dobbiamo combattere, culturalmente e socialmente, sul fronte primario di quale idea abbiamo dell’essere umano.

Non è vero che le ideologie sono finite.

Perché oggi è dominante l’ideologia che gli esseri umani sono essenzialmente egoisti e che l’egoismo è il motore della storia.

Questo egoismo prende il nome di individualismo. Siamo dominati dall’esaltazione dell’individuo. E da un’idea di società come lotta tra individui per affermarsi. Di tutti in concorrenza con tutti. In competizione con tutti.

Una gara continua a chi riesce ad affermarsi a scapito degli altri.

Una ideologia, questa, per cui la società progredisce grazie a questa competizione tra individui che vogliono affermarsi.

In base a questa visione dell’essere umano, che diventa poi visione sociale e politica, l’egoismo è una virtù.

La bontà, secondo questa visione, è “buonismo”, termine dispregiativo per dire di una virtù inutile e dannosa.

Secondo questa visione, l’altruismo è egoismo mascherato.

Secondo questa visione il dono è uno strumento per acquistare potere sull’altro. Per legare l’altra persona a me.

Secondo questa visione il volontariato è un mondo di profittatori mascherati.

Le Ong, le organizzazione non governative, sono tutte una banda di speculatori che si camuffano sotto la maschera della solidarietà.

E così via.

Riesce impossibile a questa ideologia dominante concepire gli esseri umani mossi da qualcos’altro che non sia l’egoismo. Che non sia l’interesse individuale, familiare, di gruppo.

 

 

Anche l’altruismo muove la storia

 Noi invece diciamo, proprio in virtù di quella idea di essere umano complessa, continuamente combattuto tra bene e male, dove convivono le più stridenti contraddizioni, che se è vero che l’egoismo è una componente della vita umana (non possiamo negarlo, lo è), è anche vero che non è tutta la vita umana.

Diciamo che nell’essere umano è altrettanto forte l’altruismo.

Che gli esseri umani sono capaci di amore disinteressato, anche fino alla donazione di se stessi.

Che la vita umana non è solo una lotta per affermarsi, ma è anche bisogno di fraternità.

Che l’amore tra gli esseri umani fa progredire la società con una forza non minore della lotta tra di loro. Certo, la lotta c’è, la competizione c’è. Ma non sono tutta la vita, e chi ne fa tutta la vita dà una falsa immagine dell’essere umano. Non ha un’idea realistica dell’essere umano.

Perché la cooperazione nella vita degli esseri umani non è meno forte della competizione.

Diciamo che la bontà non è “buonismo”. È bontà: e con questo nome va chiamata, perché della bontà abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo.

Diciamo che il dono può essere gesto totalmente gratuito e disinteressato. Non solo un dare per legare, una finta generosità che maschera il tornaconto.

Ogni giorno tante persone si donano agli altri in modo gratuito e disinteressato. Nel volontariato, nei luoghi della sofferenza, tra i poveri, gli indifesi, i più fragili.

 

 

Chiamati a scegliere nella libertà

Noi abbiamo questa idea della vita. E noi dobbiamo difendere questa idea vita, perché è dall’idea della vita umana che abbiamo che poi derivano una idea di società e di politica.

C’è qui un lavoro culturale da fare profondo e continuo, per noi stessi, per le nostre organizzazioni, per quello che facciamo ogni giorno dentro la società.

Dobbiamo dire continuamente a noi stessi e agli altri che la vita umana non è solo una lotta tra egoismi, ma è anche un ricerca continua di collaborazione con gli altri, di aiuto reciproco.

La vita non ha una sola dimensione. Ne ha diverse e contraddittorie.

E noi siamo chiamati continuamente a scegliere quale far prevalere. Nella nostra vita personale e in quella collettiva.

Siamo chiamati a scegliere, a decidere. Perché siamo essere fatti per la libertà. Non asserviti a una natura che ci determina e incatena.

Le ideologie che hanno voluto semplificare l’essere umano, ridurlo e ricostruirlo a una sola dimensione, sono diventate totalitarismi distruttivi dell’essere umano.

L’individualismo dominante sta diventando totalitarismo ideologico distruttivo.

 

 

Il desiderio di donare, il bisogno di ricevere

Nella ricerca per comprendere chi siamo, che idea abbiamo dell’essere umano e quindi che idea abbiamo di società, possiamo fare un passo ulteriore.

In questo passo ulteriore ci sono di aiuto le riflessioni della filosofa Susy Zanardo, che si muove nell’ambito della grande tradizione del pensiero personalista e dialogico (S. Zanardo, Nelle trame del dono. Forme di vita e legami sociali, Edb, Bologna 2013)

Gli esseri umani non sono individui, cioè esseri a se stanti, ma persone, cioè esseri che vivono in quanto sono in relazione con gli altri.

Chi è l’essere umano? Risponde la Zanardo:

Un essere che annoda per tutto il tempo della sua vita il desiderio di donare e il bisogno di ricevere, l’orizzonte della gratuità e l’urgenza del bisogno.

L’essere umano non esiste al di fuori del legame sociale, di questo continuo intrecciarsi di gratuità e reciprocità.

Perché

all’origine della comunità umana non vi è la sfida, ma l’essere affidati e l’affidarsi agli altri, altrimenti nessuno sopravvivrebbe e nessuno potrebbe esprimere la sua piena umanità.

Siamo esseri che hanno bisogno di tutto.

Il dono è all’origine della vita, della nostra vita, di tutte le vite.

Siamo un dono che abbiamo ricevuto dai nostri genitori.

Siamo stati oggetto di innumerevoli doni per crescere, imparare, esercitare un mestiere.

Quelli che dicono “si è fatto da sé” o “si è fatta da sé” mentono, Nessuno si è fatto da sé. Senza i doni che abbiamo ricevuto, non saremmo sopravvissuti. Né saremmo cresciuti.

 

 

Ci realizziamo con gli altri, non contro gli altri

Siamo esseri sociali, non individui. Siamo persone, esseri in relazione con gli altri. E fuori della relazione non c’è umanità possibile.

Noi siamo veramente noi stessi nella rete di legami con gli altri.

Noi ci realizziamo pienamente non nella competizione con gli altri, non nella lotta con gli altri, ma quando a nostra volta siamo capaci di donare, così come noi siamo stati “donati” al mondo e alla vita da altri.

Noi sentiamo che ci realizziamo pienamente, che siamo felici pienamente, nella dimensione del dono, dell’altruismo, della generosità. Lo sperimentiamo, perché queste dimensioni ci portano dentro la nostra verità più profonda che ha bisogno di manifestarsi, di uscire.

Don Dante Clauser, fondatore del Punto d’Incontro per le persone senza dimora, diceva con parole semplici:

Siamo fatti per amare e per essere amati.

Non che non ci sia l’egoismo.

Non che non ci sia il desiderio di possesso, di affermazione, di competizione.

Non che non ci siano in noi – l’abbiamo detto molto chiaramente prima – dimensioni distruttive, non che non ci sia in noi perfino l’inferno.

Però noi sentiamo che ci realizziamo pienamente nella dimensione del dono. Dell’altruismo, della gratuità.

E allora la società può diventare una comunità: un intreccio di relazioni tra persone che si scambiano doni. Di tempo, di conoscenze, di beni, di capacità, di attenzione, di ascolto, di parola.

 

 

La pandemia rivela il bisogno di bene

Ecco perché l’ideologia oggi dominante dell’individualismo è la vera illusione. Perché si fonda su un’idea parziale e quindi non reale dell’essere umano.

Un’idea parziale che pretende di essere totale diventa falsa.

Perché ignora quelle altre dimensioni profonde e reali della vita umana senza le quali non c’è felicità.

Non c’è sentirsi bene in questo mondo. Non c’è capacità collettiva di affrontare i momenti difficili.

E quanto tutto questo sia vero – lo dicevamo all’inizio della nostra riflessione – lo comprendiamo in maniera chiarissima in questo tempo di pandemia. Che fa emergere, come in tempi di guerra, il peggio e il meglio dell’essere umano.

Ma noi sappiamo distinguere con chiarezza il peggio e il meglio. Ciò che fa bene e ciò che fa male. Ciò che salva e ciò che uccide.

Mai come in tempi drammatici come questo avvertiamo che abbiamo bisogno del bene e della bontà.

Che ciascuno di noi ha bisogno del bene degli altri e che noi pure dobbiamo essere il bene per gli altri.

Che non stiamo insieme per contratto o per sfidarci continuamente, e che questa è un’idea malata degli esseri umani e della società.

 

 

L’individualismo è un’illusione: senza dono la vita è incompiuta

Abbiamo davanti questo grande compito: salvare nella nostra vita personale e nella vita collettiva questa idea di persona e di comunità.

Salvarla, combattendo l’idea dominante fondata sull’individualismo. Un’idea dominante falsa e distruttiva.

Salvare questa nostra idea di umanità alimentando continuamente il circuito delle relazioni sociali con pensieri diversi da quelli dominanti. E con gesti e opere che mostrano la bellezza del dono, dell’altruismo, della generosità.

Non come doveri, pesi, sacrifici: ma come dimensioni della vita senza le quali la vita non è vita. È una vita incompiuta.

Un grande compito di pensiero e di azione. Personale e collettivo.

L’avversario che ci sta davanti è potente e pericoloso. Permea tutte le dimensioni della vita collettiva.

Ma è una buona battaglia alla quale non possiamo rinunciare.

Perché, oltre che buona, è una bella battaglia.

Ci fa sentire in sintonia con ciò che è in noi di più vero e di più giusto.

 

 

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