Oscar Arnulfo Romero: “In nome di Dio, cessate la repressione!” (da “Tracce nella nebbia”)

Il vescovo Oscar Arnulfo Romero (1917-1980) con il suo popolo.

Il 24 marzo 1980 il vescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, che aveva denunciato ripetutamente le repressioni dell’esercito e le ingiustizie sociali, veniva assassinato mentre celebrava la messa. Combatté la buona battaglia accanto al suo popolo, ma isolato dalle gerarchie ecclesiastiche e lasciato solo dal Vaticano. Papa Francesco lo ha proclamato santo. Un testimone indimenticabile. Questo il suo profilo tratto dal libro Tracce nella nebbia.

 

Oscar Arnulfo Romero

“In nome di Dio, cessate la repressione!”

di Vincenzo Passerini

dal libro “Tracce nella nebbia. Cento storie di Testimoni”

A volte le tragedie sconvolgono, ma non cambiano. A volte cambiano per sempre, come accadde ad Oscar Arnulfo Romero.

Nasce il 15 agosto 1917 a Ciudad Barrios, nel Salvador orientale, secondo di otto figli di Guadalupe de Jesus Galdamez e Santos Romero, telegrafista.

Dopo il seminario a San Miguel, studia a Roma. Qui è ordinato prete nel ’42 e si specializza in teologia ascetica.

Tornato in Salvador, ha incarichi di curia a San Miguel e si distingue come intransigente conservatore.

Nel ’70 e Vescovo.

Nel febbraio ’77 e nominato Arcivescovo di San Salvador, la capitale.

Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador dal febbraio 1977 alla morte, 24 marzo 1980.

Il Paese è in mano a un pugno di famiglie sostenute dall’esercito e dagli Stati Uniti. Povertà e ingiustizie spaventose, analfabetismo, denutrizione, sfruttamento dei contadini regnano.

Movimenti democratici e rivoluzionari si battono per il cambiamento.

Si reprime, si uccide.

Dei quattro vescovi, tre stanno col potere, che si proclama difensore della “civiltà cristiana”. Molti sacerdoti, invece, sono per il cambiamento. Romero è scelto perché, si pensa, non darà fastidio.

Ma accade che il mese dopo, il 12 marzo, viene assassinato dai militari padre Rutilio Grande, gesuita, professore di teologia, impegnato accanto ai contadini. E con lui un catechista di 72 anni, Manuel Solorzano, e un giovane di 16, Nelson Rutilio Lemus. Romero, sconvolto, prega tutta la notte, insieme ai contadini, davanti al cadavere dell’amico Rutilio. Una notte di conversione.

Da quel momento rompe con l’oligarchia e denuncia nelle omelie i delitti del potere. Gli altri vescovi gli si oppongono. È minacciato di morte.

Papa Wojtyła lo riceve, ma lo lascia nell’amarezza. Si sente solo. E ha paura. Ma non tace di fronte alle stragi e agli omicidi.

Alla Messa del 23 marzo 1980, a conclusione di una lunga omelia, lancia ai soldati un drammatico appello:

“Fratelli, siete del nostro stesso popolo, uccidete i vostri stessi fratelli campesinos e davanti all’ordine di uccidere dato da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine contro la legge di Dio. Una legge immorale, nessuno è tenuto a rispettarla. È ormai tempo che voi recuperiate la vostra coscienza e che obbediate prima alla vostra coscienza che agli ordine del peccato … In nome di Dio, allora, e in nome di questo popolo sofferente, vi supplico, vi prego, vi ordino: cessate la repressione!”.

Era troppo per il potere.

Il giorno dopo, Romero, mentre celebra la Messa all’ospedale della Divina Provvidenza, che accoglie donne malate di cancro, e dove lui vive, viene assassinato da un colpo di fucile sparato da fuori.

La sua morte sconvolse e cambio tante coscienze. Come la sua era stata cambiata dalla morte di Rutilio.

La Chiesa, che allora lo lasciò solo, con papa Francesco, pure segnato da quella morte, lo ha fatto santo.

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Vedi la pagina speciale dedicata a Oscar A. Romero.