“Dante Clauser, amico di coloro che non hanno amici” (di Vincenzo Passerini, da “Tracce nella nebbia”)

Don Dante Clauser, prete di Trento, moriva dieci anni fa, l’11 febbraio 2013, prossimo al compimento dei 90 anni. Era l’amico delle persone senza dimora, l’ “amico di coloro che non hanno amici”.

Creò a Trento alla fine degli  anni ’70 la cooperativa sociale “Punto d’incontro” che da allora apre ogni giorno le sue porte alle persone che vivono in strada.

“Se fosse vivo tuonerebbe contro quelli che calpestano i profughi sventolando rosari. Svergognerebbe la bestemmia. Altro che salamelecchi, come spesso si vede nel basso e nell’alto clero. Dalla parte degli ultimi non ci si sta impunemente.”

Ecco il suo profilo tratto da “Tracce nella nebbia. Cento storie di Testimoni“.

 

 

Dante Clauser, amico di coloro che non hanno amici

di Vincenzo Passerini

Testo tratto dal libro “Tracce nella nebbia. Cento storie di Testimoni”

 

Aveva il complesso del signorino. Nei poveri paesi trentini di allora, essere il figlio della maestra e del tecnico della Provincia assicurava una condizione privilegiata. Capì che la verità del mondo si vede dalla parte degli infelici. E che il Vangelo lo doveva testimoniare accanto a loro.

Suo padre, Luigi, seguiva i lavori pubblici spostandosi, con la moglie, Amalia Tamanini, di paese in paese. E così Dante Clauser nacque in una stanza d’albergo, il 7 dicembre 1923, a Lavarone.

La famiglia (otto anni dopo nacque Efrem) visse poi a Pergine Valsugana, Folgaria, Trento. Qui Dante entrò in seminario e divenne prete nel ’47.

Coadiutore a Calavino, accolse un gruppo di ragazzini poverissimi. Poterono mangiare, vestirsi e andare a scuola. Ogni tanto andavano a cantare davanti alle chiese dei paesi vicini. Portavano festa. Don Dante amava la festa.

A Levico e a Bolzano seguì giovani in difficoltà. Ci sapeva fare. Era umano, entusiasta, schietto.

Lo mandarono a Roma con un ruolo importante negli scout. “La mia vita diventò frenetica”, raccontò. Lasciò i fasti romani e chiese, per purificarsi da quella vanagloria, una minuscola parrocchia, Vignola, aggrappata alla montagna che sovrasta Pergine Valsugana. Quattro anni felici.

Don Dante Clauser (1923 – 2013)

Poi è a Vezzano, e anche lì si prende a cuore i poveri.

Nel ’64 è parroco in San Pietro, a Trento, dove si venerava il martire Simonino, un bambino la cui morte, nel 1475, era stata falsamente attribuita a un omicidio rituale inscenato dagli ebrei e alcuni di loro erano stati giustiziati.

Grazie al Concilio Vaticano II, a nuovi studi e all’arcivescovo Gottardi, il popolarissimo culto del falso
martire viene abrogato nel ’65, facendo verità su una vergognosa pagina di antigiudaismo. Don Dante difende la decisione contro i parrocchiani che protestano.

Arriva il Sessantotto. Le sue prediche, semplici e dirette, seguite dagli interventi dei fedeli, diventano un affollatissimo appuntamento. Uno scandalo per i benpensanti. È il “prete rosso”.

Nel ’77, per essere “amico di coloro che non hanno amici”, lascia la parrocchia per stare, da prete, con i barboni. In un piccolo appartamento vive con alcuni di loro. Dice: “Oggi più che mai abbiamo bisogno di una testimonianza cristiana e di una vita vissuta con gioia francescana in una società schiava di falsi valori”.

Nel ’79, con alcuni volontari, fonda a Trento la cooperativa sociale Punto d’incontro che guida con Piergiorgio Bortolotti. Da allora il Punto d’incontro è l’ancora di salvezza per le persone senza dimora. Una porta sempre aperta. Chiunque esse siano.

Muore l’11 febbraio 2013.

Se fosse vivo tuonerebbe contro quelli che calpestano i profughi sventolando rosari. Svergognerebbe la bestemmia. Altro che salamelecchi, come spesso si vede nel basso e nell’alto clero. Dalla parte degli ultimi non ci si sta impunemente.

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In questo blog vedi anche la pagina speciale:

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