Come gli europei si spartirono l’Africa. E Leopoldo II si prese il Congo (riproponiamo l’articolo pubblicato su questo blog il 16 marzo 2021)

Foto: Juergen Escher/Laif da “Congo” di D. Van Reybrouck

Negli ultimi decenni dell’800 i Paesi europei, passando per scontri politici e commerciali, corse e zuffe a chi arriva per primo e dichiara “questo è mio”, si spartirono l’Africa attraverso conferenze e trattati.

Come se tutto fosse cosa loro: le persone, gli animali, la terra, i fiumi, i monti, i laghi, l’aria… E l’immenso Congo divenne proprietà personale del re del Belgio.

 

 

 

Pagine di storia da non dimenticare che ci ricordano, di fronte agli africani che oggi arrivano in Europa come migranti o profughi, o che annegano in mare per colpa dei muri europei, come siamo andati noi europei in Africa, cosa abbiamo fatto in Africa, come l’abbiamo lasciata quando ci hanno finalmente cacciato.

 

Lo Scramble per l’Africa

Questa corsa, sgomitando, tra gli europei per spartirsi l’Africa, è chiamata, con un’espressione inglese, lo Scramble for Africa. Una delle pagine più vergognose della storia d’Europa.

Naturalmente, come accade anche oggi, bisognava ammantare di motivi umanitari l’invasione e la spartizione.

Essa quindi avvenne sotto l’egida delle cosiddette “tre C” che gli europei “dovevano”, come storica missione affidata loro da Dio e dal destino, portare in Africa: Civilità, Cristianesimo, Commercio.  E così si presero tutta l’Africa.

Uno dei motivi più ricorrenti della propaganda umanitaria del colonialismo europeo fu l’eliminazione della schiavitù. In suo nome gli europei schiavizzarono in termini moderni, ma non meno brutali, gli africani.

Nel 1880 gli europei occupavano circa un decimo dell’Africa: vent’anni dopo se l’erano presa tutta. Tranne la Liberia (nazione fondata da schiavi americani liberati) e l’Etiopia, più tardi occupata dagli italiani.

 

La spartizione descritta da Martin Meredith, storico britannico

Martin Meredith, storico britannico, pubblicò nel 2005 il libro (mai tradotto in italiano), The state of Africa. A history of fifty years of independence [Lo stato dell’Africa. Storia di cinquanta anni di indipendenza], London, Free Press, in cui, per parlare dell’Africa del nostro tempo ricordava nell’introduzione come gli europei si fossero spartiti il continente. Perché quella spartizione determinò l’Africa come oggi la conosciamo.

 

 

Ecco una libera traduzione dei passi fondamentali della sua introduzione.

 

Gli europei non conoscevano l’Africa

«Durante la zuffa per l’Africa alla fine del XIX secolo, le potenze europee reclamarono il proprio diritto praticamente su tutto il continente.

Ai congressi di Berlino, Parigi, Londra e altre capitali, i governanti europei e i diplomatici contrattarono sui diversi ambiti di interesse che essi intendevano stabilirvi. La loro conoscenza del vasto interno dell’Africa era esigua.

Fino a quel momento gli Europei avevano conosciuto l’Africa più come una fascia costiera che non un continente; la loro presenza si era limitata per lo più a piccole, isolate enclavi sulla costa utilizzate per scopi commerciali; soltanto in Algeria e nell’Africa del Sud avevano messo radice più consistenti insediamenti europei.

 

Con linee diritte tagliarono 190 gruppi culturali

Le mappe utilizzate per spartirsi  il continente africano erano per lo più inaccurate; ampie zone furono descritte come “terra incognita”.

Quando stabilirono i confini dei loro nuovi territori, i negoziatori europei ricorsero frequentemente al tracciamento di linee diritte, tenendo poco o per nulla conto della miriade di tradizionali monarchie, domini e altre società africane che esistevano in loco.

Quasi la metà delle nuove frontiere imposte all’Africa furono linee geometriche, linee latitudinali o longitudinali, altre linee diritte o archi o cerchi. In molti casi, le società africane vennero trascurate; i Bakongo vennero divisi tra Congo Francese, Congo Belga e Angola Portoghese; il Somaliland fu spartito tra Gran Bretagna, Italia e Francia.

In tutto, i nuovi confini tagliarono 190 etnie.

 

L’Africa all’inzio del ‘900. Cartina tratta da Joseph Ki-Zerbo, “Storia dell’Africa nera. Un continente tra la preistoria e il futuro”, Ghibli, Milano 2016. Si tratta di una delle prime storie dell’Africa scritte da uno storico africano. Dal punto di vista degli africani. Un grande libro del quale torneremo a parlare.

 

In Nigeria inglobarono 250 diverse etnie

In altri casi, i nuovi territori coloniali europei  inglobarono centinaia di diversi e indipendenti gruppi, senza una comune storia, cultura, linguaggio o religione.

La Nigeria, ad esempio, inglobò più di 250 gruppi etno-linguistici.

Funzionari mandati nel Congo Belga vi censirono infine seimila domini…

 

Trattati e repressione di ogni resistenza

Quando lo Scramble for Africa si concluse, circa 10.000 entità politiche erano state accorpate in 40 colonie e protettorati europei.

Così nacquero i moderni Stati africani.

Sul terreno, il governo degli europei fu imposto sia con trattati sia con la conquista.

Ma episodi di resistenza si verificarono, in parte, in quasi ogni colonia africana. Molti governanti e capi africani che resistettero al governo coloniale morirono in battaglia o furono giustiziati oppure mandati in esilio dopo la sconfitta.

 

L’Africa italiana

Soltanto uno stato africano riuscì a evitare l’assalto dell’occupazione europea durante lo Scramble: l’Etiopia, un antico regno cristiano, una volta governato dal leggendario Prete Gianni. Nel 1896, quando gli italiani, con 17.000 soldati europei invasero l’Etiopia dal loro enclave costiero di Massaua sul Mar Rosso, vennero sconfitti dall’imperatore Menelik.

Gli italiani vennero costretti a limitarsi ad occupare l’Eritrea.

Quarant’anni dopo, comunque, il dittatore italiano Benito Mussolini si vendicò. Deciso a costruire un Impero africano orientale ordinò di conquistare l’Etiopia, utilizzando mezzo milione di soldati, bombardamenti aerei e gas tossici per ottenerlo. Dopo sette mesi di lunga campagna, le forze italiane conquistarono la capitale, Addis Abeba; l’imperatore Haile Selassie fuggì in esilio in Inghilterra; e l’Etiopia fu trasformata in una provincia italiana e aggiunta ai possedimenti italiani dell’Eritrea e della Somalia…»

Fin qui Martin Meredith.

 

Il caso del Congo

Al congresso di Berlino (1884-1885), una delle conferenze internazionali decisive dello Scramble per l’Africa, il personaggio più abile si rivelò Leopoldo II che riuscì a farsi riconoscere, con i delegati di tutti gli altri Paesi in piedi ad applaudire, la sovranità personale sull’immenso Congo.

Qualcosa di inaudito. Il re di un piccolo paese europeo che si faceva re e proprietario personale di un altro Stato, addirittura di un immenso Paese africano, grande come l’intera Europa occidentale.

Non era lo Stato del Belgio che si prendeva il Congo: ma re Leopoldo II, in persona, che diceva “questo è mio”. E gli altri, dicevano “sì, è tuo”. Gli altri, eccetto gli abitanti del Congo, che non esistevano come interlocutori, ma solo come oggetto di conquista. Naturalmente per renderli migliori.

Nessuno in quella nobile assise internazionale, dove c’erano più commercianti che ambasciatori, usò parole più umanitarie di re Leopoldo.

Che poi dimostrò sul campo di quanta ferocia e avidità fosse capace nell’appropriarsi delle immense ricchezze del paese, e nell’opprimere i congolesi, come testimoniarono alcuni giornalisti, missionari e diplomatici.

Tanto da suscitare una campagna internazionale di protesta contro di lui, alla quale parteciparono anche molti scrittori (da Arthur Conan Doyle, l’autore di Sherlock Holmes, a Joseph Conrad, autore del memorabile “Cuore di tenebra”, da Charles Peguy a Mark Twain), che lo costrinse nel 1908 a cedere il Congo allo Stato del Belgio.

Prima di cedere la sua “proprietà personale”, re Leopoldo, che sarebbe morto l’anno dopo, bruciò documenti per otto giorni per cancellare le prove di indicibili misfatti.

 

Leopoldo II re del Belgio. Si prese, come proprietà personale, il Congo, grande come l’Europa occidentale, col benestare degli altri Paese europei, nella grande spartizione dell’Africa. Saccheggiò, oppresse e uccise senza ritegno.

 

Il Congo civilizzato?

Ecco come Martin Meredith, nel libro sopra citato, descrive lo stato della “civilizzazione” del Congo quando, alla fine di una sanguinosa guerra, i belgi furono sconfitti e riconobbero, il 30 giugno 1960, l’indipendenza dell’immenso paese.

 

«Ad eccezione dei livelli locali, nessun congolese aveva acquisito una esperienza di governo o parlamentare. Nessuna elezione nazionale e perfino provinciale si era mai tenuta.

La carenza di personale preparato era grave.

Ai massimi livelli dell’amministrazione pubblica su 1400 posti solo tre erano tenuti da congolesi, due di questi di nomina recente.

Nel 1960 il totale dei laureati congolesi era trenta … Alla fine dell’anno scolastico 1959-60 soltanto 130 giovani avevano completato la scuola secondaria superiore.

Non c’era nessun medico congolese, nessun insegnante congolese nelle scuole superiori, nessun ufficiale dell’esercito. ”

(M. Meredith, The state of Africa. A history of fifty years of independence, Free Press, London, 2005, pp. 100-101).

 

A questo punto si può meglio comprendere come il Congo, e tanti altri stati africani, non furono in grado di affrontare seriamente la stagione dell’indipendenza, stante lo stato di povertà culturale in cui erano stati mantenuti volutamente dai colonialisti europei. L’istruzione e la competenza degli africani erano una minaccia al dominio coloniale. Che cadde comunque.

Ma gli europei cercarono in ogni modo di mantenere ugualmente il loro controllo sulle ricchezze dei Paesi africani, Congo in primo luogo. Sia perché, stante i motivi di cui sopra,  gli africani erano costretti a servirsi di loro, sia perché eliminarono i leader africani scomodi, come Lumumba, il primo capo di governo del Congo indipendente, eletto democraticamente.

Il Congo, ricchissimo di ogni ben di Dio, è tutt’oggi in balìa dei potentati politici ed economici stranieri in combutta con le oligarchie locali.

 

“Congo”, del belga David Van Reybrouck (Feltrinelli 2014), è un insuperabile racconto della tragica storia dell’occupazione coloniale del Paese.

 

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