Vent’anni fa (26 febbraio – 2 marzo 2001) nei luoghi dove è stato ucciso Luca Attanasio ci fu “Anch’io a Bukavu”, azione internazionale nonviolenta di pace

Due ali di folla accolgono i pacifisti italiani a Butembo. Poi la folla si riversa dalla gioia su di loro. (Foto Beati i costruttori di pace)

Fu impressionante. Era tale la stanchezza di guerra, di morti, di distruzioni e la speranza di pace che l’intera città di Butembo, nella provincia del Nord Kivu, là dove è stato ucciso l’ambasciatore Attanasio, ci accolse con una gioia immensa, ci sommerse di abbracci e di strette di mano, di canti, di suoni e di danze.

100 mila persone ad accogliere 300 pacifisti italiani, impolverati e sfiniti dal lungo viaggio. Indescrivibile.

 

 

Non si può stare sempre a guardare

Arrivammo che era sera, con grande ritardo. Il sole era già tramontato. I furgoncini sui quali avevamo viaggiato stipati non sempre ce la facevano. Alcuni erano rimasti bloccati. L’interminabile strada nella foresta era tutto un sobbalzo. Anche pericolosa. Ma i gruppi armati che vi pullulavano avevano proclamato una tregua per l’occasione. Comunque avevamo firmato una dichiarazione che in caso di morte gli organizzatori erano sollevati da ogni responsabilità.

Incoscienza? Anche. Ma c’era stato un appello della società civile congolese e i pacifisti italiani avevano risposto. Non si può stare sempre a guardare.

 

 

Era tutto così sproporzionato, eppure…

Con quel ritardo pensavamo che la gente se ne fosse tornata a casa. Invece c’era tutta la città ad accoglierci. Una cosa da togliere il fiato.

Che cosa mai potevamo fare per loro? La domanda ci bruciava dentro camminando a fatica tra quella folla in festa. Tutti volevano stringerci le mani. Abbracciarci. Era tutto così sproprozionato. Da farci arrossire. Quanti lutti e sanguinanti ferite nascondeva quella gioia. Un pugno di pacifisti cosa mai poteva fare di fronte alla “guerra mondiale africana dei Grandi Laghi” che dopo quattro anni aveva fatto due milioni di morti? Una guerra che coinvolgeva tanti Paesi, dentro e fuori dell’Africa, e che proprio nel Nord Kivu aveva uno dei suoi più cruenti crocevia.

Capimmo che l’attenzione disinteressata di un frammento di Europa alla loro tragedia era almeno una goccia di speranza in quell’oceano di avidi interessi assassini.

 

Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire). Colorate in marrone le province del Nord e del Sud Kivu che confinano con Burundi, Rwanda e Uganda, gli altri tre Paesi più direttamente coinvolti nella guerra, con molti altri indirettamente. Per questo è chiamata “la guerra mondiale africana dei Grandi Laghi”. A Nord della città di Goma, dove è stato ucciso l’ambasciatore Attanasio, c’è la città di Butembo dove si svolse l’iniziativa di pace del 2001, in un primo tempo prevista a Bukavu, nel Sud Kivu.

 

L’appello, la risposta, il grande incontro

La Società Civile del Sud Kivu – una rete di movimenti, associazioni, sindacati, Chiesa cattolica e Chiese protestanti impegnati  da tempo in una intensa azione di resistenza nonviolenta contro la guerra –  aveva programmato un grande incontro di pace, il “Symposium International pour la Paix en Afrique” (SIPA), per il dicembre 2000 a Bukavu. A causa della guerra l’iniziativa fu poi rinviata al 2001 e spostata nel Nord Kivu, a Butembo. La Società Civile invitò anche le organizzazioni pacifiste internazionali.

 

La bellissima tesi di laurea in sociologia di Anna Ballardini sulla “Resistenza nonviolenta a Bukavu” fu premiata dal Forum trentino per la pace nel 2002. Anna Ballardini visse sei mesi a Bukavu e conobbe da vicino non solo la tragedia della guerra ma anche le tante persone e organizzazioni impegnate ogni giorno nella resistenza nonviolenta.

 

All’appello risposero i Beati i costruttori di pace, l’Operazione Colomba dell’associazione Papa Giovanni XXIII e Chiama l’Africa e alcuni gruppi europei. Furono in totale 281 i partecipanti: 268 italiani, tra cui 20 trentini (e il Forum trentino per la pace, che presiedevo), 10 spagnoli, 3 tedeschi. Persone di ogni età e professione che si prepararono all’impegnativa e pericolosa iniziativa con un itinerario di formazione. Tra di loro c’erano storiche figure del clero pacifista italiano: don Albino Bizzotto, responsabile dei Beati i costruttori di pace, il vescovo Luigi Bettazzi, padre Eugenio Melandri, padre Angelo Cavagna, padre Silvio Turazzi, in carrozzina.

 

Il vescovo Luigi Bettazzi (a sinistra), padre Eugenio Melandri (al centro) e don Albino Bizzotto (a destra col berrettino rosso) all’incontro di pace in Congo.

 

L’iniziativa era rischiosa, si andava in una zona di guerra. Ma quella guerra dimenticata – anche oggi si continua a dire “guerra dimenticata”  -, ma che coinvolgeva tante responsabilità degli Europei – richiedeva un impegno fuori del comune a quegli Europei che si sentivano vicini alle infinite sofferenze del popolo congolese.

 

281 i pacifisti europei partecipanti, di cui 268 dall’Italia, 10 dalla Spagna, 3 dalla Germania. Tra gli italiani anche 20 trentini. Nella foto di Nicola Guarnieri si vedono Silvia Valduga, Marina Fedrizzi, Stefano De Toni.

 

I nemici attorno a un tavolo

Al Simposio internazionale per la pace  si incontrano, parlano e discutono tra di loro anche i rappresentanti dei più importanti gruppi in lotta tra di loro. C’è il presidente della Società Civile del Sud Kivu, il vescovo di Butembo, il presidente delle Chiese di Cristo (protestanti) in Congo, il procuratore della Repubblica di Bukavu, la delegata delle donne del Sud Kivu. E tanti altri, uomini e donne, rappresentanti della società civile e delle istituzioni.

Un incontro aperto e franco. Una prova di dialogo. La presenza internazionale, con l’attenzione delle Nazioni Unite, incoraggia questo dialogo.  Si parla in francese. Per gli italiani ci sono traduzioni informali di gruppo.

 

Uno dei disegni eseguiti dagli scolari di Butembo durante i giorni dell’incontro di pace.

 

Nelle scuole, nell’ospedale, in carcere e… una partita di calcio

I partecipanti europei, divisi in gruppi, parteciparono poi a incontri nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, all’università e con le organizzazioni locali della società civile. Per ascoltare da vicino sofferenze e speranze.

Ci colpì in modo particolare l’impegno di tanti volontari del luogo e la determinazione di tanti giovani nello studio e la loro fortissima speranza di trovare qualcuno in Europa che potesse dare loro una possibilità di futuro.

Ci colpì, e non poteva essere diversamente, il trauma della guerra sui bambini e sulle donne.

 

In un disegno eseguito da uno scolaro di Butembo la ferocia della guerra contro donne e bambini.

La speranza di futuro dei giovani la sentimmo da vicino durante la partita di calcio Congo-Italia. Noi eravamo, tranne qualche eccezione, molto scalcinati, loro erano tutti degli atleti e degli eccellenti giocatori. Speravano tutti di giocare in Europa. Almeno cinquemila persone assistettero alla partita. Un tifo incredibile. Un bellissimo momento di festa. Non so quanti gol subimmo. Perdemmo il conto, non solo la partita.

 

La marcia della pace. (Foto Beati i costruttori di pace)

 

La marcia della pace e la grande celebrazione finale

Altri bellissimi momenti furono la marcia della pace e la celebrazione ecumenica di chiusura alla quale partecipò una folla enorme, sicuramente più di 100 mila persone. Intervenne anche, scortato da soldati armati fino ai denti e da blindati, uno dei grandi “signori della guerra”, Jean Pierre Bemba, il più temuto degli avversari del presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila. Chiese perdono, fece promesse, dichiarò una tregua.

Il grande incontro di pace si concluse con quelle promesse, con quelle speranze.

Tornammo in Italia senza illusioni, più consapevoli che mai della complessità di quella guerra e degli interessi in gioco, ma certo con qualche speranza. E più determinati che mai a continuare il nostro impegno contro ogni guerra e per il diritto di tutti a vivere in pace e ad avere un futuro.

 

L’immensa folla alla celebrazione ecumenica conclusiva. (Foto Beati i costruttori di pace)

 

Perché il 26 febbraio?

Perché la Società Civile di Bukavu scelse il 26 febbraio come inizio del Simposio internazionale per la pace?

Perché fu quello il giorno in cui si concluse il più fatale avvenimento per l’Africa contemporanea: il congresso di Berlino del 1885 durante il quale le nazioni europee si spartirono l’Africa. Tutta l’Africa, da cima a fondo. Ad eccezione della Liberia, fondata da ex schiavi liberati in America e tornati in Africa, e dell’Etiopia, su cui pose poi gli occhi avidi l’Italia, rivendicando la sua parte di “bottino” africano.

Gli europei tracciarono col righello i confini dei nuovi Stati e divisero così quello che era unito, e unirono quello che era diviso. E misero le mani su tutto. Quel misfatto pose le basi di una catastrofe senza fine. Il Congo divenne proprietà personale del re del Belgio, Leopoldo II. Non colonia del Belgio, ma “proprietà” personale di Leopoldo II.

Su questo grande misfatto, vergogna imperitura dell’Europa, torneremo nei prossimi giorni.

 

I pacifisti trentini raccontano in una conferenza stampa cosa è accaduto durante il grande incontro a Butembo.

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