I valori irrinunciabili di Walter Lübcke. Ergastolo al suo assassino, un estremista di destra.

Walter Lübcke

Walter Lübcke fu assassinato da un estremista xenofobo e neonazista per la sua politica di accoglienza dei profughi il 2 giugno 2019.

Fu il primo assassinio di un alto esponente politico in Germania ad opera dell’estrema destra dal 1945. Lübcke, 65 anni, era presidente del comprensorio di Kassel e apparteneva alla Cdu (Unione cristiano democratica), il partito centrista di Angela Merkel.

L’assassino, Stephan Ernst, 47 anni, è stato condannato all’ergastolo giovedì 28 gennaio 2021 dalla Corte di appello di Francoforte.

 

Abbiamo raccontato la storia di Walter Lübcke in Tempi feroci, libro che abbiamo dedicato proprio a lui, a Jo Cox e Pawel Adamowicz, altri due esponenti politici europei assassinati da estremisti di destra per la loro politica di accoglienza dei profughi.

L’assassinio di Lübcke non fu opera di uno squilibrato isolato, ma accadde al culmine di una feroce e violenta campagna contro di lui, per la sua politica di accoglienza dei migranti, guidata dal partito di estrema destra Afd (Alternative für Deutschland) alleato della Lega di Salvini.

Come raccontiamo nel capitolo del libro Tempi feroci, “I valori irrinunciabili di Walter Lübcke”, che  qui riproponiamo.

 

 

I valori irrinunciabili di Walter Lübcke

 

Erano i giorni della «grande accoglienza». La Germania aveva aperto le porte ai profughi e il Paese era tutto un febbrile cantiere per allestire centri di accoglienza.

Gli amministratori locali promuovevano incontri pubblici, come del resto in Italia, per spiegare ai cittadini cosa intendevano fare e confrontarsi con loro.

Walter Lübcke, esponente della Cdu, l’Unione cristiano democratica, il partito di centro di Angela Merkel, in qualità di presidente del Comprensorio amministrativo di Kassel, città dell’Assia settentrionale, aveva promosso numerose serate informative, molto partecipate.

Quella sera del 15 ottobre 2015 a Lohfelden, borgata di 14 mila abitanti, c’erano in sala 800 persone ad ascoltarlo.

Lübcke, proiettando anche delle belle immagini, disse che era orgoglioso dei tanti volontari che stavano dando una mano nell’allestire il locale centro di accoglienza. I giovani delle scuole, insieme agli artigiani, montavano decine e decine di letti in legno, approntavano bagni e cucine.

Altri volontari, di ogni età, collaboravano nelle traduzioni, nell’accoglienza dei bambini e delle famiglie, nelle attività di formazione e sportive.

C’erano da accogliere parecchie centinaia di profughi siriani, afgani, albanesi e di altre quaranta nazionalità. I cittadini, disse, Lübcke, stanno mostrando con la loro attiva partecipazione quali sono i veri valori della nostra comunità.

Tra il pubblico erano presenti anche diversi aderenti di «Pegida» («Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente»), un movimento di estrema destra vicino ai neonazisti, che lo contestarono rumorosamente.

Al che Lübcke reagì prontamente e, rivolgendosi ai tedeschi, disse, rovesciando contro gli xenofobi un loro luogo comune: «È vantaggioso per tutti noi vivere in un Paese come il nostro, e qui si devono accettare i nostri valori [di accoglienza, di solidarietà, di rispetto dello straniero], e chi non condivide questi valori può lasciare in ogni momento questo Paese, e questa è la libertà di ogni tedesco».[1]

Dal giorno dopo partì una violentissima campagna su Internet contro di lui organizzata dagli estremisti dei destra. False notizie, insulti, minacce di morte: «Non avrai vita lunga».

Lui dichiarò con serena fermezza:

Io mi sono sempre ispirato nella mia attività ai valori cristiani della responsabilità e dell’aiuto alle persone più bisognose.

Fu messo sotto protezione dalla polizia.
Nel febbraio di quest’anno [2019], esponenti di primo piano dell’Afd (Alternative für Deutschland), partito di estrema destra, razzista, antieuropeo, vicino ai neonazisti, parteciparono su Facebook a questa campagna violentissima contro Lübcke.

E Jörg Meuthen, uno dei due capi di Afd, era a Milano il 18 maggio [2019]accanto a Matteo Salvini nel comizio per le elezioni europee.

I moderati italiani che votano Lega, e tante buone anime cattoliche, sanno chi stanno sostenendo col loro voto?

Il 3 giugno [2019], poco prima delle una di notte, Walter Lübcke viene assassinato sul terrazzo della sua casa di Istha, nei pressi di Kassel, con un colpo di pistola alla testa. Ha 66 anni, lascia la moglie e due figli.

Il delitto suscita enorme impressione, ma ci vorranno più di tre settimane per individuare il colpevole.

Il 13 giugno migliaia di cittadini partecipano al funerale nella chiesa evangelica di San Martino, a Kassel. In quella occasione il vescovo protestante della città, Martin Hein, ricorda l’ispirazione cristiana dell’impegno di Lübcke e ribadisce:

Chi calpesta la dignità delle persone, con le parole o con la violenza, si pone al fuori della comunità democratica, senza se e senza ma.

Il 26 giugno Stephan Ernst, 45 anni, estremista di destra, arrestato dieci giorni prima, confessa di essere il responsabile dell’assassinio. Dichiara di aver ucciso Lübcke per la sua politica di accoglienza dei profughi e per il suo discorso dell’ottobre 2015.

La campagna di insulti e minacce di morte aveva raggiunto l’obiettivo. Troppe sottovalutazioni, troppe minacce lasciate girare per anni senza che fossero rimosse da Internet.

Certo, la Germania reagisce sempre e prontamente con grandi manifestazioni ai rigurgiti razzisti, xenofobi e neonazisti. La stampa e la televisione, da questo punto di vista, sono molto più attente e schierate di quanto non lo siano la stampa e la televisione italiana (spesso ripugnanti, di questi tempi).

Ma troppi settori della politica non vogliono ammettere che si è superata la soglia della tolleranza e non se la sentono di sottoscrivere le parole del vescovo Hein al funerale di Lübcke: «Chi calpesta la dignità delle persone con le parole o con la violenza si pone al fuori della comunità democratica, senza se e senza ma».

Comunque, in molti ambienti politici si preferiva pensare a un caso isolato.

La Germania ha però dovuto fare i conti, seppur riluttante, con una realtà più pesante: il nuovo terrorismo di estrema destra che colpisce a morte un avversario politico.[2] Terrorismo politico organizzato. Non assassinio isolato.

Cellule neonaziste si era già rese responsabili di diversi omicidi a sfondo xenofobo,[3] ma, ad eccezione dell’attentato del 2015, per fortuna non mortale, a Henriette Reker, candidata sindaco a Colonia,[4] non c’erano stati casi di omicidio di un politico.

A Kassel, il giorno dopo la confessione dell’omicida, 10 mila persone sono scese in piazza e, nel ricordo di Lübcke, hanno dato vita, con il motto «Insieme siamo forti», a una colorata manifestazione in nome della Germania che accoglie, che non ha paura della diversità tra le culture, ma che la considera una ricchezza, che non cederà mai al razzismo e all’odio, che respingerà senza se e senza ma ogni rigurgito neonazista, che crede e pratica la solidarietà tra le persone e i popoli.

È forte questa Germania dal volto umano.

Ma è sempre più forte anche il terrorismo nero che prospera in Europa sul terreno concimato dalla xenofobia e dal razzismo dei populismi, che prospera anche grazie ai silenzi di troppi moderati e di troppi cattolici.

Walter Lübcke, Jo Cox, Pawel Adamowicz, vittime del nuovo terrorismo internazionale, sono i martiri dell’accoglienza in questi anni feroci del terzo millennio.

 

Note

[1] Cfr. https: //de.wikipedia.org dove si può trovare sulla vicenda Lübcke una ricchissima documentazione (in lingua tedesca).

[2] Per il filosofo tedesco Julian Nida-Ruemelin, già ministro della Cultura, in un’ intervista di Francesca Sforza pubblicata su «La Stampa» il 27 giugno 2019, «le autorità non hanno voluto rendersi conto che avevano a che fare con un’organizzazione terroristica di marca neonazista in piena regola».

[3] Tra il 2000 e il 2007 la cellula «Nazionalisti clandestini» (Nsu) si è resa responsabile di ben 11 omicidi di immigrati . Cfr. W. Rauhe, Caso Lübcke, altri due arresti. Seehofer: allarme estremismo, in «La Stampa», 28 giugno 2019.

[4] Cfr. Tempi feroci, p. 67.

Testo pubblicato nel libro “Tempi feroci”.

 

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