Pawel e Jo uccisi perché accoglienti

Pawel Adamowicz

Jo Cox

Pawel Adamowicz, il popolare sindaco di Danzica morto il 14 gennaio scorso dopo essere stato accoltellato il giorno prima da uno squilibrato durante una manifestazione di beneficienza, era un simbolo dell’accoglienza dei migranti e di tutte le minoranze.

Nella Polonia in mano all’estrema destra nazionalista era stato rieletto alla carica di primo cittadino per la quinta volta alle amministrative dell’ottobre 2018, elezioni che avevano visto una generale riscossa dei partiti democratici nelle città a fronte di una conferma dei nazionalisti nelle campagne.

Il Paese è profondamente spaccato, lo sono anche i cattolici e la stessa chiesa.

 

Pawel bersaglio delle campagne d’odio della destra xenofoba

Pawel Adamowicz, 53 anni, padre di due figli, politicamente un liberale, era tra i bersagli preferiti delle campagne di odio della destra xenofoba, antisemita e islamofoba che partono dall’alto e avvelenano il Paese.

Non si era lasciato intimidire e non era retrocesso di un millimetro nella sua politica di accoglienza. Ma era perfettamente consapevole dei rischi che correva.

Aveva detto:

La violenza fisica è di solito preceduta da quella verbale. Se il linguaggio delle élite viola i limiti si genera sempre più violenza.

Così è accaduto.

Dall’alto si sdoganano parole e atteggiamenti di razzismo e di odio, e poi c’è sempre qualcuno che, vuoi per fragilità psichica vuoi per fanatismo, si sente legittimato a fare il passo fatale e a trasformare l’odio e le minacce di morte in omicidio.

Tutti gli osservatori più autorevoli sono concordi nell’attribuire il suo assassinio a questo clima di odio e di intimidazioni nei confronti dell’opposizione in cui l’estrema destra al potere ha fatto precipitare il Paese.

La stessa libertà di stampa e la stessa autonomia della magistratura sono state gravemente compromesse in Polonia dai provvedimenti del governo. Opporsi al governo è difficile e pericoloso.

 

Jo Cox uccisa al grido di “Prima la Gran Bretagna!”

La morte di Adamowicz ci ricorda anche un altro assassinio politico, quello di Jo Cox, la deputata laburista britannica uccisa il 16 giugno 2016 nei dintorni di Leeds, al culmine della campagna elettorale sulla Brexit, mentre era impegnata a convincere il suo elettorato (i laburisti erano e sono spaccati tra favorevoli e contrari alla Ue) a votare a favore dell’Europa.

Il suo assassino aveva gridato «Prima la Gran Bretagna». Uno slogan che accomuna tutte le destre sovraniste, dall’America all’Europa.

Jo Cox, 41 anni, due figli di tre e cinque anni, alla sua prima legislatura, era molto impegnata sul fronte dell’accoglienza dei rifugiati e dei migranti, della giustizia sociale e internazionale, delle pari opportunità, dell’infanzia.

Anche pochi giorni prima di morire, come ricordò il quotidiano «The Guardian», aveva ribadito in un appassionato articolo il ruolo positivo dell’immigrazione per la vita e la prosperità del Regno Unito.

E aveva ricordato che solo nell’ambito di un’Europa unita e forte è possibile affrontare i problemi che la questione migratoria pone.

 

Henriette Reker gravemente ferita

Neanche la Germania, va ricordato, è stata risparmiata dalla violenza politica anti migranti.

Il 17 ottobre 2015 a Colonia, il giorno prima delle elezioni comunali, Henriette Reker, 59 anni, candidata alla carica di sindaco per la colazione centrista-Verdi, nota per il suo impegno professionale e politico a fianco dei migranti, veniva accoltellata da un estremista di destra che urlava slogan contro i rifugiati.

La Reker è fortunatamente sopravvissuta alle gravissime ferite ed è stata eletta sindaco della città, carica che tuttora ricopre.

L’attentatore confermò ai magistrati le motivazioni xenofobe del suo gesto.

 

Henriette Reker (commons.wikimedia.org)

 

Si riabilitano “eroi” antisemiti

L’estrema destra che sta avvelenando a morte l’Europa unisce xenofobia e razzismo, islamofobia e antisemitismo. Una lugubre miscela.

In un eloquente e documentato articolo su «Avvenire» del 18 febbraio 2018, intitolato «La deriva dell’Est Europa: negare gli orrori del passato», Piergiorgio Pascali elencava tutta una serie di fatti che dimostrano il ritorno ai massimi livelli, accanto alla xenofobia, dell’antisemitismo in numerosi Paesi europei dell’Est, attraverso soprattutto la riabilitazione di “eroi” nazionali filonazisti.

In Ungheria, ad esempio, scrive Pascali, si è arrivati

riabilitare la controversa figura di Miklos Horthy. Orbàn [il primo ministro ungherese] ha definito Horthy un “diplomatico eccezionale” suscitando le ire della comunità ebraica, non solo ungherese, che ha ricordato a Budapest il ruolo avuto dal reggente del regno di Ungheria, un “acceso antisemita resosi complice della morte della popolazione ebrea del Paese durante l’Olocausto”.

Poco o nulla è valsa la parziale retromarcia del primo ministro, il quale ha giustificato la collaborazione con i nazisti come unica via per proteggere gli ebrei residenti in Ungheria.

L’immagine di Horthy è oramai associata al Movimento di Guardia Magiara e all’Associazione delle guardie civili per un futuro migliore, i movimenti paramilitari neonazisti, xenofobi e antisemiti responsabili di numerosi attacchi contro comunità straniere, semite e rom presenti in Ungheria.

L’assassinio del sindaco di Danzica è uno degli sciagurati effetti di questa lugubre miscela di antisemitismo, xenofobia, razzismo, neonazismo, neofascismo che sta avvelenando l’Europa. E contagiando alcuni governi.

La violenza fisica si sente legittimata dall’alto: su questo non ci possono essere dubbi.

 

La furente campagna d’odio xenofobo della destra italiana

Mentre onoriamo la memoria di Jo Cox e Pawel Adamowicz, nobili figure di politici giusti e coraggiosi, uccisi perché hanno accolto e protetto l’umanità più debole, simboli dell’Europa che amiamo e che dobbiamo difendere a tutti i costi, dobbiamo denunciare la propaganda italiana di odio contro i migranti e chi sta con loro.

Una campagna che anche da noi parte dall’alto e sdogana parole e comportamenti razzisti e violenti. E trasforma tante persone semplici in complici dei violenti.

 

Pubblicato su «Il Margine», Anno 39, n.1/2019