Don Milani quel prete dannato che non si lascia celebrare

Un convegno su don Lorenzo Milani assomiglia un po’ ad una serata di gala in ricordo di san Francesco. Il poverello di Assisi non è forse il santo che è perché ha voluto indicare con un’originale testimonianza una strada da seguire opposta a quella delle serate di gala?

E il prete di Barbiana non è forse il maestro che è perché ha indicato con un’originale testimonianza una strada culturale da seguire opposta a quella che si nutre di convegni?
Un convegno su don Milani è un controsenso. Ma un’associazione culturale non trova altri modi per ricordare una persona che le è cara se non scrivendo articoli per riviste culturali e facendo convegni culturali.

È la prassi consueta del P.I.L., don Milani aveva ragione. Il Partito Italiano Laureati è una solida corporazione, la più solida di tutte, quella che sovrasta tutte le altre. È il partito più forte, in tutto il mondo.

 

I poveri sono gli eterni rammentati e gli eterni assenti

L’ombra minacciosa del parroco di Barbiana insegue sempre tutti coloro che vogliono parlare in suo nome. Come un Dio dell’Antico Testamento, sempre pronto a puntarti addosso il dito: Parli in mio nome? Credi alle mie parole? E allora che sono questi convegni? Per chi li fate? E per che cosa? Per chi spendete tempo, energie, denaro? Fate una scuola per i poveri, per i bocciati. O scrivete un bel giornale popolare. Il resto sarà tutto utile, tutto buono, tutto necessario. Ma lasciatelo agli altri. E se v’accorgete che non faccio per voi cambiate parrocchia. Non tiratemi in ballo. Ci sono altri eccellenti maestri e profeti cui rivolgersi. Io non sono necessario. Vi dico anche che ho simpatia per voi e per ogni rivista del genere. Ma se penso che tutti quelli che scrivono sopra amano i poveri, ma sono ricchi di parola e di pensiero, se penso che quelli che li leggono sono eguali a loro e che perciò i poveri sono gli eterni rammentati e gli eterni assenti…

Ma se è vero che i cristiani tradiscono cento volte al giorno il Maestro in cui credono, eppure non smettono di crederci, risulterà non del tutto assurdo il fatto che dei milaniani facciano altrettanto col loro umanissimo maestro.

C’è anche la possibilità che tra qualche anno, magari in occasione delle celebrazioni per il ventennale della morte di don Milani o del settantesimo della nascita, qualcuno di quelli che hanno organizzato il convegno di questo febbraio ’83 o vi hanno assistito, possa raccontare la storia della sua conversione e del suo ingresso nel P.N.L., nel Partito Non Laureati.

E allora questo convegno del febbraio ’83 sarà stato qualcosa di più di una doverosa manifestazione di affetto da parte del P.I.L. per un avversario tenace scambiato per un amico. Da sempre troppi avversari di don Milani l’hanno scambiato per un amico. La cultura progressista piccolo borghese, cattolica e non, ad esempio.

 

Don Lorenzo Milani con gli alunni della scuola di Barbiana (Foto Centro di Documentazione don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana, Vicchio -Firenze)

 

 

Don Milani, il sessantotto e la cultura piccolo-borghese

La sfortuna di don Milani è stata quella di essere finito suo malgrado nel calderone del Sessantotto, di aver fatto la fine di uno dei tanti ingredienti nati, cresciuti e sepolti con quel pezzo di storia. Un enorme equivoco. Anche se inevitabile.

La Lettera ai cappellani militari, la Lettera ai giudici e quindi La lettera a una professoressa›, nascono a ridosso del ’68. Ma sono il risultato di un’esperienza originale durata vent’anni e che già aveva espresso Esperienze pastorali un libro del 1958, altrettanto originale, nuovo, suscitatore di discussioni e fermenti come le pubblicazioni che lo seguiranno.

Don Milani non aveva bisogno del ’68 perché la sua esperienza, la sua lezione avessero risonanza, potessero smuovere certe stagnanti situazioni nella chiesa, come nella scuola, come nella società.

E così il ’68 non aveva bisogno di don Milani. I portatori di nuove idee e nuovi progetti ecclesiali, educativi, sociali non mancavano.

Don Milani è però finito nella lista comune, perché tante cose che diceva potevano essere accostare a quelle che altri maestri e «profeti» dicevano. Ma così la sua originalità è andata perduta.

I suoi avversari lo pensarono, certamente in buona fede, un amico. Lo usarono, certamente in buona fede, nelle battaglie ideologiche.

Diventò una bandiera dell’intellettualità progressista piccolo borghese, cattolica e non. Aveva un bel dire don Milani, che morì prima che l’enorme equivoco cui la sua testimonianza fu fatta oggetto si sviluppasse in pieno:

Ci ho messo vent’anni per uscire dalla classe sociale che scrive e legge l’Espresso e il Mondo. Non devo farmene ricatturare neanche per un giorno solo. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogico, non onorarmi come uno di loro perché di loro non sono.

Aveva un bel dire: chi è ricco di cultura la dia a chi non ne ha; chi non ha cultura è il vero povero; al povero si diano gli strumenti perché sia capace di produrre una nuova cultura, la cultura della stragrande maggioranza degli uomini di questo mondo, oggi emarginati ed oppressi da una minoranza di sapienti che impone il suo sapere e che domina; la giustizia e l’amore evangelici passano per questa strada; il riscatto dei poveri di questo mondo passa per questa strada.

Aveva un bel dire. È finito per diventare una bandiera di quella cultura piccolo borghese che dice di parlare in nome dei poveri e intanto si rafforza nei suoi privilegi culturali e magari economici; che fa le rivoluzioni in nome dei poveri e che puntualmente li perde di vista; che ama un’umanità astratta ma che non è capace di dare la sua vita per delle concrete creature.

Una cultura nella sua essenza individualista. L’intellettuale si sente sempre «il›› centro del mondo, anche quando pensa agli altri.

 

Barbiana. Case contadine sparse, la chiesa, la canonica. Da questo piccolo mondo nel cuore del Mugello, don Milani ha cambiato tanti pezzi del grande mondo creando una piccola e rivoluzionaria scuola per i figli dei contadini e lanciando potenti messaggi evagelici e politici. Nella foto è visibile la piscina voluta da don Lorenzo perché i ragazzi imparassero a nuotare. (Foto Centro di Documentazione don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana, Vicchio -Firenze)

 

Quegli intellettuali presuntuosi lontani dal poveri e dalle masse

Ciò che segnava nettamente la distanza tra don Milani e la cultura progressista del tempo, era il radicamento assoluto nella parola evangelica. Volete un fine per il vostro sapere? Amate l’uomo, diceva don Milani. Voi sapete cosa dovete fare, dove dovete andare. Col Vangelo avete accettato di subordinare all’amore tutto. All’amore dei poveri, di chi ancora non è una creatura come tutte le altre perché offeso nei suoi diritti. Che vi serve saper tante cose? Sappiate quel che basta per servire i poveri. Il resto lasciatelo a chi non accetta di subordinare all’amore evangelico tutto, a chi cerca la sua strada nella vita, a chi non sa verso quale fine muoversi e vaga di qua e di là, a chi coltiva se stesso, a chi è occupato di se stesso. Voi che invece avete scelto l’amore delle creature e specialmente degli ultimi sapete già tutto quel che vi serve.

Subordinar tutto all’amore delle creature e specialmente degli ultimi, significa rifiutare ogni egoismo culturale e sociale.

Ogni isolamento presuntuoso, ogni tentazione di far gruppetto, di chiudersi in chiesuole, movimenti, partitini, per quanto santi e ben intenzionati. Perché questo è un modo di considerare le idee più dell’amore, la propria storia più della storia comune.

Don Milani spronava a condividere la storia delle masse, delle organizzazioni e dei movimenti di massa. Dei grandi partiti che avevano portato le masse al potere.

Un modo concreto anche questo di amare le creature da sempre emarginate.

La testimonianza personale, quotidiana, concreta della scelta evangelica non deve diventare solitario cammino. Perché “alla larga dalle masse!”› è il motto degli egoisti di ieri e di oggi, conservatori o rivoluzionari che siano. Prima o dopo si incontrano sempre.

 

La lingua del popolo e quella dei letterati

Questo personalismo popolare collega don Milani al miglior filone culturale popolare, democratico, anti-elitario e antiborghese del cattolicesimo italiano.

E la sua polemica con l’intellettualità progressista e piccolo borghese (fuori gioco, ovviamente, quella conservatrice) ci riporta a certe polemiche del primo Ottocento che dividevano taluni intellettuali progressisti cattolici dagli illuministi borghesi.

La discriminante era provocata ancora dal Vangelo, un Vangelo non vagamente accolto, ma accettato in tutto il suo peso dirompente.

La polemica toccava perfino una questione apparentemente neutra come quella della lingua e che ritroviamo poi riproposta, con tutte le debite distinzioni, nella stessa esperienza di don Milani.

Basti pensare al Tommaseo, uno dei grandi maestri della lingua italiana e uno degli esponenti più in vista del cattolicesimo popolare e «illuminato›› italiano del primo Ottocento.

Scriveva il Tommaseo: “Pigliamo esempio dalla lingua: il popolo non saprà dare le regole del dire, non costruire un periodo, non sempre evitare gli errori; e pure parlerà più proprio dei letterati; e sentirà le improprietà con senso più acuto; e da lui dovranno scrittori e grammatici trarre le norme del bello stile. Le ingiurie da quel bacchillone del Perticari lanciate contro il parlar della plebe, il Sismondi le torce contro il pensar della plebe. E il Perticari non era, mi dicono, cristiano; e il Sismondi è appena deista. E sempre più mi confermo nel credere che il cristianesimo è utile a ogni cosa”.

E quindi, al di la della questione della lingua: “Innanzi che disprezzare il popolo ammaestratelo; e nell’ammaestrarlo imparerete più cose da lui che non glie ne avrete a insegnare”.

Ricollegare quella polemica a don Milani, alla sua proposta culturale, per quanto fugacemente e comunque senza spingersi troppo su questa strada, aiuta a capire il senso profondo, le ragioni della singolarità di don Milani; non ne sminuisce l’originalità. Aiuta a capire le differenze tra questa e il progressismo che ha dominato gli anni Sessanta e Settanta.

E oggi finalmente questo progressismo, o meglio ex-progressismo, erede diretto degli illuministi e deisti di ieri, giudica don Milani ingenuo e demagogico.

Anche perché questo progressismo o ex-progressismo, coi suoi flussi e riflussi, ha svelato la sua anima individualista e anti-evangelica: perché l’illusione e la delusione sono manifestazioni identiche seppur contrapposte dell’egoismo.

Don Milani ha ancora qualcosa da dire. E allora, forse, un convegno su di lui non risulterà del tutto un controsenso.

 

Pubblicato su Il Margine, 1/1983

 

Ricco di documentazione di prima mano e promotore di importanti inziative di formazione, soprattutto per i giovani e le scuole, è il Centro di documentazione don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana di Vicchio, fondato e curato dagli ex alunni della Scuola di Barbiana e dal Comune di Vicchio.