Thérèse Nyirabayovu, la piccola, grande, sconosciuta Schindler del Ruanda

Ruanda, i giorni del genocidio (immagine tratta dal sito internet della Società Missioni Africane; vedi).

Ricordiamo a trent’anni dal genocidio in Ruanda, che costò la vita a 800 mila persone, la storia, pressoché sconosciuta, di Thérèse Nyirabayovu, ostetrica, madre di sei figli, vedova, appartenente all’etnia hutu che salvò, a rischio della propria vita, 31 tutsi. La storia è tratta dal nostro libro “Tracce nella nebbia. Cento storie di Testimoni”. (VP)

 

Thérèse Nyirabayovu

La piccola Schindler del Ruanda

di Vincenzo Passerini

Testo tratto dal libro Tracce nella nebbia. Cento storie di Testimoni

 

Nel mistero del male c’è anche il mistero del bene. C’è sempre qualcuno che non si lascia vincere dal male, anche nei momenti più bui.

Durante il genocidio in Ruanda del 1994, Thérèse Nyirabayovu, una  donna hutu di 67 anni, salvò la vita, rischiando la sua, a 31 tutsi.

Thérèse faceva l’ostetrica nel quartiere di Muhima, distretto di Nyarugenge a ridosso della capitale Kigali. Vedova con sei figli, viveva poveramente. Era molto stimata nella comunità per la sua competenza e la sua bontà.

Nei primi anni ’90 in Ruanda comandava l’etnia hutu, alla quale apparteneva, che perseguitava l’etnia tutsi. Divisioni esasperate dal colonialismo belga in base a valutazioni razziste tipiche della pseudo scienza ottocentesca. I tutsi, guidati da Paul Kagame, si rifugiano nella guerriglia.

Il 6 aprile 1994 l’aereo con a bordo il presidente ruandese hutu viene abbattuto. L’esercito e i miliziani hutu scatenano subito uno spaventoso genocidio contro la popolazione tutsi e gli hutu moderati. Radio Machete urla tutto il giorno che ogni hutu deve uccidere, altrimenti è un traditore.

In poco più di tre mesi vengono uccise tra le 800 mila e 1 milione di persone. I carnefici furono almeno 250 mila. I vicini uccidevano o denunciavano i vicini.

In questo clima di terrore, Thérèse non si piegò all’onnipotenza del male.

Aveva nel cortile migliaia di mattoni di terra non ancora cotti che dovevano servire ad ampliare la sua piccola abitazione. Erano accatastati, come si usa, a forma di piramide, vuota all’interno.

Quando scoppiò l’inferno, vennero da lei alcune famiglie tutsi disperate, con cinque bambini, e la implorarono di essere nascoste. Lei sapeva cosa rischiava, ma le nascose accuratamente dentro la piramide. Furono pochi gli hutu che si comportarono così.

I suoi figli andavano di giorno a cercare cibo. Di notte, con infinita cautela, spostavano alcuni mattoni e allungavano i viveri ai fuggiaschi.

“Non dormivamo quasi mai di notte – raccontò Thérèse – vegliavamo, leggendo la Bibbia”.

I miliziani vennero anche a ispezionare la casa e guardarono dentro la piramide con l’ausilio di una torcia. Non videro nulla.

In luglio i tutsi entrarono a Kigali e posero fine al genocidio. I rifugiati nella piramide tornarono alle loro case.

Thérèse rimase la stessa.

La sua storia è pressoché sconosciuta in Italia, come lo è l’Africa. Solo un lontano e bel reportage di Stefano Citati su “Repubblica” (“La piccola Schindler del Ruanda”, 31 dicembre 2002) e un breve profilo nel libro Rwanda. Tribute to courage di African Rights.

Ma Thérèse vive dell’eternità dei giusti.

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(Il libro Rwanda. Tribute to courage, che raccoglie storie di Giusti del Rwanda, è di difficile reperibilità; vedi qui la descrizione, con la scheda dedicata a Thérèse Nyirabayovu; l’edizione francese Rwanda, hommage au Courage è descritta qui . Le schede sintetiche in francese del libro si possono leggere qui).