“Quei nove bambini morti in mare” (di Riccardo Bruno).

Volti di vittime della strage quotidiana nel Mediterraneo.

«Il medico che ha fatto la prima ispezione sul cadavere, ha stabilito che il piccolo è deceduto per ipotermia, per il troppo freddo. Un altro minore che non ce l’ha fatta, un altro migrante bambino o addirittura appena nato che non raggiungerà mai la salvezza. Solo nelle ultime settimane le cronache hanno raccontato almeno 9 storie, solo un tassello di una strage quotidiana.» (Riccardo Bruno, “Corriere della sera”, 11 nov. 2022)

QUEI NOVE BAMBINI MORTI IN MARE

di Riccardo Bruno

“Corriere della sera”, 11 novembre 2022

La mamma, una ragazzina di 19 anni originaria della Costa d’Avorio, ha spiegato che il suo bambino era nato già malato, che soffriva di problemi respiratori. Anche per questo aveva accelerato la traversata in Italia per farlo curare, mentre il papà era rimasto in Tunisia. Chissà se il neonato di appena 20 giorni sarebbe sopravvissuto se non avesse dovuto affrontare un viaggio in mezzo al mare su un barchino con altre 35 persone.

Il medico che ha fatto la prima ispezione sul cadavere, ha stabilito che il piccolo è deceduto per ipotermia, per il troppo freddo. Un altro minore che non ce l’ha fatta, un altro migrante bambino o addirittura appena nato che non raggiungerà mai la salvezza.

Solo nelle ultime settimane le cronache hanno raccontato almeno 9 storie, solo un tassello di una strage quotidiana. «È un continuo ricevere chiamate da parte delle forze dell’ordine per informarmi che ci sono cadaveri — è sconfortato il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino —. Mi sembra di assistere a un bollettino di guerra e ciò che mi preoccupa è che stia diventando una quotidianità, nell’indifferenza dell’Europa».

Secondo le stime del progetto «Missing Migrants» dell’Oim (l’Organizzazione internazionale delle migrazioni) nei primi 8 mesi di quest’anno sono 1.337 i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo centrale, di questi 50 erano minorenni.

Come Mael, 2 anni, e Alina, dieci mesi, morti bruciati nel rogo scoppiato sulla loro barca a causa delle «pessime condizioni del motore e per l’imperizia dei due scafisti» come ha stabilito la procura di Agrigento che ha fermato due senegalesi all’inizio di novembre.

Dopo tre giorni di navigazione, la piccola imbarcazione che trasportava ganesi e ivoriani si era fermata. Uno dei due scafisti nel tentativo maldestro di far ripartire il motore fuoribordo ha provocato delle scintille che hanno fatto esplodere le taniche di benzina a bordo. I due bambini sono stati investiti dalle fiamme, così come altri migranti, una donna è finita in mare ed è stata considerata dispersa.

I cadaveri di Alina e Mael per giorni sono rimasti nella camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana a Lampedusa, accanto ad altre due vittime che avevano anche loro appena venti giorni. Erano due gemelle, erano partite con i genitori e un fratello di 4 anni su una barca soccorsa il 25 ottobre.

Anche loro sono morte probabilmente per il freddo. «Non si sono neanche resi conto di quello che stava accadendo, erano tutti ammassati e nessuno ha capito — ha raccontato dopo lo sbarco Marina Castellano, team leader di Medici senza Frontiere —. Solo quando sono giunti al molo Favarolo e hanno visto piangere e urlare la madre e il fratellino hanno capito…».

Adesso le due gemelline sono state sepolte nel cimitero di Raffadali, in provincia di Agrigento. «Stiamo facendo solo il nostro dovere nei confronti di persone che cercavano una vita migliore e invece hanno trovato la morte» le ha accolte il sindaco Silvio Cuffaro.

E si potrebbe ricordare ancora Loujin Ahmed Nasif, siriana, 4 anni, morta all’inizio di settembre su un peschereccio con sessanta migranti partito dal Libano. «Mamma ho sete» sarebbero state le sue ultime parole, come ha denunciato l’attivista Soufi Nawal ricostruendo tutti gli allarmi lanciati dall’imbarcazione senza che nessuno intervenisse.

Una storia simile a quella del barchino con 32 tra afghani e siriani partito a fine agosto dalla Turchia e diretto verso l’Italia. Come ha poi ricostruito l’Oim, sono rimasti senza carburante e per giorni sono andati alla deriva fino a quando un mercantile li ha recuperati, per poi consegnarli alla Guardia Costiera italiana. 26 erano ancora vivi ma in gravissime condizioni, ustionati dalla lunga esposizione al sole. Tre donne, un dodicenne e due bambini di uno e due anni erano già morti.