“Carlo Maria Martini e gli Anni di piombo”, un importante libro di Silvia Meroni

Carlo Maria Martini ci ha lasciato 10 anni fa, il 31 agosto 2012.

L’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini aprì con coraggio, saggezza e autorevolezza il dialogo con i terroristi perché rinnegassero la strada della violenza, ponendo al cuore della sua azione la memoria delle vittime e il dolore dei familiari.

Il 13 giugno 1984 i terroristi dei “Comitati dei Comunisti Rivoluzionari”, legati alle Brigate Rosse, consegnarono in Arcivescovado un vero e proprio arsenale. Una resa, di fatto, non solo simbolica.

Su questa pagina di storia, così cruciale nella vicenda del terrorismo italiano, c’è un importante libro di Silvia Meroni.

 

“Carlo Maria Martini e gli Anni di piombo. Le fatiche di un vescovo e le voci dei testimoni”

Ci volevano coraggio, saggezza e autorevolezza per aprire un dialogo con i terroristi in carcere nell’Italia di quei terribili anni ’80. Il rischio di un facile e intollerabile perdonismo, offensivo delle vittime e dei loro familiari, era sempre incombente.

L’arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, aprì con coraggio, saggezza e autorevolezza il dialogo con i terroristi perché rinnegassero la strada della violenza, ponendo al cuore della sua azione la memoria delle vittime e il dolore dei familiari.

Silvia Meroni, docente nei licei, teologa, studiosa di Dietrich Bonhoeffer, ricostruisce in un libro, davvero indispensabile per comprendere quella complessa e importantissima vicenda, quanto detto e fatto da Martini in quegli anni.

 

Il libro è stato pubblicato da Ancora nel 2020 (p. 351, euro 27).

 

Scrive Marco Garzonio, il miglior biografo di Martini, nella prefazione:

“Grazie a una cospicua documentazione tratta da omelie, interviste, lettere, integrata da numerose testimonianze inedite, Silvia Meroni riesce a rappresentare in modo efficace il travaglio personale di Martini, naturalmente dalla parte delle vittime e dei familiari, ma proteso anche a cercare di incidere sulle scelte degli assassini.

Dagli uni ha rischiato critiche e incomprensioni. Dagli altri il pericolo era la strumentalizzazione.

Ma le insidie non hanno dissuaso il Cardinale dall’avventurarsi su questa strada.”

 

“Una testimonanaza oggi particolarmente preziosa”, scrivono Alberto Conci e Francesco Scanziani nella postfazione:

“Il più evidente filo rosso che attraversa queste pagine è costituito dal dialogo che il vescovo di Milano ha intessuto con i familiari delle vittime del terrorismo…

La testimonianza di questo dialogo, che si è svolto quasi sempre lontano dai riflettori e che in alcuni casi non si è mai interrotto, risulta oggi particolarmente preziosa, anzitutto perché sul piano storico colma una lacuna e ci restituisce il volto di un vescovo che si è lasciato interpellare dalle vittime della violenza terroristica.”

 

Scrive l’autrice, Silvia Meroni, ricordando parole decisive del Cardinale:

“Di fatto Martini opera in un tempo in cui risulta impensabile un’elaborazione degli avvenimenti come quella che possiamo fare oggi, tanto sul piano storico che su quello dell’analisi politica e forse anche su quello delle implicazioni ecclesiali e teologiche. Dal punto di vista del confronto tra carnefici e vittime non vi è sempre equilibrio. Anzi. Non di rado tutto è sbilanciato dalla parte di chi, dopo aver distrutto la vita degli altri, attentato alle istituzioni e minacciato la convivenza civile, pretende attenzione.

Martini, che si cura delle vittime come dei carnefici, non è mai scivolato in facili semplificazioni che mettono gli uni e gli altri sullo stesso piano o che costringono a qualche forma di reciprocità che forzi le differenze di condizione in cui si collocano vittime e assassini…

Qualche mese prima del suo intervento alla Cattedra dei non credenti, Martini sottolinea:

«Occorre evitare un fraintendimento. Quando si parla di perdono, soprattutto a casi gravi di violenza – ad esempio di persone care – si ha talora l’impressione che si voglia dare un colpo di spugna, fare come se nulla fosse accaduto, passare sopra a fatti inaccettabili e gravissimi.

Non è questo il perdono cristiano!

Sbagliano quindi quegli operatori dell’opinione pubblica che, in maniera indebita, chiedono a persone gravemente offese negli affetti, magari subito dopo un grave delitto consumato contro i loro familiari, se sono disposte a ‘perdonare’. Ritengo tale domanda irriverente e offensiva (…)

Neppure Dio perdona così, banalizzando il male compiuto (…)

Dio vuole che la verità secondo cui il male è inammissibile e distruttivo sia proclamata, capita, umilmente accettata.

Vuole che chi ha compiuto il male se ne penta di tutto cuore, cambi vita, ripari con tutte le sue forze il male fatto, lo pianga nella misura in cui ha fatto piangere gli altri, offra le condizioni per una riparazione il meno inadeguata possibile. »

 

Vedi anche:

Massimo Fini sbaglia: il cardinale Martini denunciò la corruzione prima di Mani Pulite (Lettera al “Fatto Quotidiano” non pubblicata – 2012)

Carlo Maria Martini: un ponte tra credenti e non credenti