«Anna Politkovskaja visita i villaggi, gli ospedali, i campi profughi, parla con le persone, descrive le inaudite sofferenze della popolazione civile.
“È il genocidio di un popolo”, scrive. “Perché ti preoccupi per certa gente? Sono bestie” le dicono spesso i militari. » (da “Tracce nella nebbia. Cento storie di testimoni”)
Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, denunciò la ferocia di Putin in Cecenia a un Occidente incantato dall’ex colonnello del Kgb (o indifferente). Quella ferocia che adesso vediamo in Ucraina.
Anna Politkovskaja
Implacabile con i forti, tenera con i deboli
di Vincenzo Passerini
( da “Tracce nella nebbia. Cento storie di testimoni”)
Durante una delle sue inchieste nella Cecenia in guerra, uno dei posti più feroci e oscurati del pianeta, Anna Politkovskaja scopre nella capitale Grozny i vecchi abbandonati. In miseria, malati, ciechi, vaganti tra le rovine o lasciati nell’ospizio da cui il personale è fuggito.
“La cosa peggiore che ho visto nella vita”, scrive in un suo straziante e duro reportage. È il novembre 1999.
Vi torna nell’ottobre dell’anno seguente, ma nulla è cambiato. Altro duro reportage.
Rientrata a Mosca lancia una colletta sul giornale per il quale scrive e a Natale torna a Grozny e porta ai vecchi un regalo.
Anna Politkovskaja era cosi. Implacabile con i potenti, piccoli e grandi, a partire da Putin, piena di umana partecipazione per le vittime, gli innocenti schiacciati, torturati, spariti, assassinati, dimenticati.
Una grande donna e il simbolo del giornalismo libero. Che sa di dire verità che fanno male al potere. E che non piacciono a tanti cittadini.
“Perché ce l’ho tanto con Putin?”. “Perché – scrive – una volta diventato presidente non ha saputo estirpare il colonnello del Kgb che vive in lui”.
Nata il 30 agosto 1958 a New York da genitori ucraini, diplomatici sovietici, Anna Stepanovna Mazepa, rientrata in Russia e laureatasi a Mosca in giornalismo con una tesi sulla poetessa Marina Cvetaeva, nell’81 sposa Aleksandr Politkovskij, giornalista e politico.
Hanno due figli, Vera e Il’ja. Scrive per la “Novaja Gazeta”, un bisettimanale liberale, diretto da Dmitrij Muratov (insignito del premio Nobel per la pace 2021).
Segue le guerre in Cecenia e le altre tragedie nel Caucaso musulmano russo. Inchieste pericolose, tra terrorismo islamista e repressioni dell’esercito, spaventosi attentati e bombardamenti spietati.
Visita i villaggi, gli ospedali, i campi profughi, parla con le persone, descrive le inaudite sofferenze della popolazione civile. “È il genocidio di un popolo”, scrive. “Perche ti preoccupi per certa gente? Sono bestie” le dicono spesso i militari.
Scopre sporchi affari intorno al petrolio, vera causa della guerra, torture ed eliminazioni di innocenti e attivisti dei diritti umani.
Denuncia le responsabilità del capo della Cecenia, Ramsan Kadyrov, creatura di Putin, un “fifone armato fino ai denti”.
Il 7 ottobre 2006, mentre sta prendendo l’ascensore nella sua abitazione nel centro di Mosca, è uccisa da uno sconosciuto con cinque colpi di pistola. Era il giorno del compleanno di Putin. Il delitto è rimasto senza colpevoli.
In una relazione che stava preparando, Anna Politkovskaja scriveva:
Ma, alla fine, che cosa avrei combinato? Ho scritto ciò di cui sono stata testimone. E basta.
Sorvolo espressamente sulle altre ‘gioie’ della strada che mi sono scelta. Il veleno nel tè. Gli arresti. Le lettere minatorie. Le minacce via internet…
L’importante è avere l’opportunità di fare qualcosa di necessario.