L’indistruttibile speranza di Nadežda Mandel’štam

Nadežda Mandel’štam

Nadežda vuol dire “speranza contro ogni speranza”.

A Nadežda Mandel’štam, grande scrittrice russa e indomabile resistente sotto il comunismo sovietico, moglie del più grande poeta russo del ‘900, Osip Mandel’štam, perseguitato e poi ucciso nel gulag, è dedicato uno dei profili del libro Tracce nella nebbia. Cento storie di Testimoni di Vincenzo Passerini. Lo pubblichiamo integralmente.

Nadežda Mandel’štam

Speranza contro ogni speranza

 

Nadežda Khazina conobbe Osip Mandel’štam nel 1919 a Kiev, si sposarono due anni dopo e non si lasciarono più. Nemmeno quando lui fu inghiottito nella fornace del gulag.

Lei salverà le sue poesie dalla distruzione e dall’oblio, proteggendole dagli inquisitori e dai delatori, nascondendole, affidandole ad amici sicuri, mandandole a memoria.

E così fu possibile che Osip fosse riconosciuto da quelli che vennero dopo, in primo luogo il premio Nobel Iosif Brodskij, come “il più grande poeta russo del Novecento”.

Nadežda è autrice di due libri che riuscì a pubblicare in Occidente, L’epoca e i lupi e Le mie memorie, capolavori di scrittura, biografia, resistenza morale, analisi storico-politica e di denuncia, lucida e implacabile, della Russia staliniana (“Vivevamo in mezzo a gente che dall’oggi al domani scompariva all’altro mondo, al confino, in campo di concentramento, all’inferno, e a gente che all’inferno ci mandava gli altri”). E insostituibili guide alla poesia di Osip.

Era nata a Saratov, sul Volga, il 30 ottobre 1899, lui, invece, a Varsavia, otto anni prima, e poi si era trasferito a Pietroburgo. Entrambi provenivano da famiglie ebree convertite al cristianesimo, entrambi coltissimi, con una formazione europea, entrambi conquistati dalla “forza avvolgente della parola Rivoluzione”.

Ma i rivoluzionari non amavano la poesia di Osip e dal ’23 gli resero impossibile pubblicare, e anche lavorare.

Lui, scrive Nadežda, scoprì presto “la natura assira [imperial-schiavistica] della nostra struttura statale”.

Protetti e aiutati da fedeli amici (la poetessa Anna Achmatova, che era di casa e non li abbandonò mai, Bucharin, Pasternàk, Šlovskij), vissero spostandosi continuamente, abitando in “topaie”, patendo la fame, l’ostracismo, le perquisizioni.

Intanto i versi di Osip “fluivano a torrenti”, nutriti dalla lettura appassionata di Dante, e venivano salvati.

Ma quelli contro Stalin (“il montanaro del Cremlino, l’assassino, lo sbaragliamugicchi…”) finirono, nel ’34, nelle mani della polizia. A Osip fu risparmiata la fucilazione e fu condannato a tre anni di confino.

Ma la fine era solo rinviata, e lo sapevano. “Perché mi hanno chiamato Nadežda [che vuol dire ‘speranza contro ogni speranza’]?” Eppure “è impossibile vivere senza speranza e quindi toccava passare da una speranza all’altra”, scrive.

Venne la stagione del terrore e Osip nel ’38 sparì nel lager.

Lei sopravvisse trasferendosi da un posto all’altro, appartandosi, rannicchiandosi in stanzette, in estrema povertà, come la trovò Brodskij nel 1962, a Pskov. Pensando, scrivendo, fiduciosa fino alla fine (morì il 29 dicembre 1980) nel ritorno dell’umanesimo, fondato sui valori della civiltà greco-cristiano-giudaica ripudiati dall’epoca nuova. Irriducibilmente Nadežda, speranza contro ogni speranza.

 

(da Vincenzo Passerini, Tracce nella nebbia, Cento storie di Testimoni, prefazione di Marco Damilano, ViTrenD, Trento 2021. In uscita il 1° dicembre 2021).