In nome di Abdoulaye

In una bellissima intervista pubblicata su «l’Adige» del 20 novembre scorso, Roberta Boccardi ha raccolto, con grande umanità, da una coppia di genitori cinquantenni dell’Alta Valsugana la storia di Abdoulaye, profugo senegalese di ventidue anni che loro avevano accolto in famiglia e che era morto poco giorni prima, dopo aver lottato invano con una grave malattia.
Una storia difficile da dimenticare, per diversi motivi.

«Abdoulaye era speciale: aveva una capacità di adattamento, di attenzione, di comprensione che erano impressionanti – raccontano i genitori ‘adottivi’ –, e quando è arrivato da noi parlava già italiano, andava a scuola a Pergine per prendere il diploma delle medie e continuava a frequentare i corsi alla Residenza Brennero. E leggeva libri in francese, a cominciare da Victor Hugo».

 

Il suo sogno

Abdoulaye aveva un sogno, aggiunge la giornalista, laurearsi in filosofia.

Era fuggito dal Senegal perché suo padre era un attivista politico antigovernativo, aveva quindi sperimentato le prigioni libiche e infine il viaggio pericoloso nel Mediterraneo su un gommone.

L’intervista toccava poi tanti altri umanissimi particolari, come l’incontro di Abdoulaye con la madre che erano riusciti a far arrivare dal Senegal pochi giorni prima che il giovane morisse.

La storia è difficile da dimenticare anche perché la famiglia che ha accolto Abdoulaye, e l’aveva seguito con l’amore con cui si segue un figlio, ha chiesto alla giornalista l’anonimato, «un po’ perché non ci tiene ad “apparire”, ma ora anche perché con il clima che si è creato teme di diventare un “bersaglio”», spiega Roberta Boccardi.

 

Attentati e intimnidazioni

L’intervista si svolgeva pochi giorni dopo gli attentati intimidatori a strutture destinate ad accogliere dei profughi a Soraga e a Lavarone.

Ma è possibile che siamo arrivati a tanto?

Che per una azione così bella, così umana, così esemplare questa famiglia debba chiedere l’anonimato perché teme di diventare bersaglio di qualche atto inconsulto da parte di chi odia i profughi?

Dove stiamo andando?

Siamo o no consapevoli che se questa è la situazione siamo sulla via dell’imbarbarimento?

Che questa è la situazione delle terre dove dominano la mafia e la camorra, oppure i regimi oppressivi e persecutori?

Dobbiamo arrivare a temere di compiere azioni di solidarietà per non andare incontro a reazioni violente?

Se la solidarietà umana diventa un fatto eroico allora vuol dire che la nostra società sta cessando di essere umana.

 

Reagire, non assitere passivamente

Dobbiamo davvero essere consapevoli di cosa sta succedendo tra di noi, dentro di noi.

Si comincia ad accettare un tentativo di incendio, poi ci si abitua a tutto.

Queste cose sono già accadute in passato: le degenerazioni sociali e umane sono sempre lì, dietro l’angolo.

Ci portiamo sempre dentro dei demoni, pronti a risvegliarsi e a prendere il sopravvento. Nella vita delle persone (e la cronaca di questi giorni ce lo ricorda in maniera sconvolgente: basti pensare ai fatti accaduti all’ospedale di Saronno), come nella vita sociale.

Dobbiamo reagire, tutti, singolarmente e insieme.

Reagire con forza e insieme.

 

Una fiaccolata per l’accoglienza

Questo è anche il senso della fiaccolata che si svolgerà martedì prossimo 6 dicembre alle ore 18.30 in piazza Duomo a Trento e che è stata promossa da un appello, «Il Trentino accoglie», sottoscritto da una bella fetta di società trentina:

dall’arcivescovo Tisi al rettore dell’Università, Collini, dai presidenti delle maggiori categorie economiche (Confindustria, Unione Commercio e Turismo, Confesercenti, Cooperazione) ai segretari delle tre Confederazioni sindacali;

dai sindaci di Lavarone e Soraga a personalità di rilievo del mondo religioso e missionario (l’imam Breigheche, padre Zanotelli, padre Butterini, Carlo Spagnolli, padre Remondini), da tutti i direttori dei più importanti Musei ai presidenti di Diatec Trentino e Aquila Basket;

da autorevoli esponenti della cultura e dell’informazione (C. Abate, F. Rella, F. De Battaglia, A. Castelli, G. Salomon…), dalle Acli all’Arci, a moltissimi rappresentanti di organizzazioni impegnate sul fronte della solidarietà, dei diritti umani e civili.

Una bella risposta alle intimidazioni, una bella reazione della società civile.

Ma è solo l’inizio.

 

Uno sguardo lucido sui demoni

Dobbiamo sempre conservare lo sguardo lucido sui demoni che si risvegliano nelle persone e nella società.

E il modo migliore per conservare lo sguardo lucido è conservare uno sguardo umano sulla vita e sul mondo. Non accecato da odi, propagande, pregiudizi.

Quegli odi che ci fanno considerare alcuni esseri umani come esclusi dal resto dell’umanità.

Quegli odi che tracciano una linea tra le vite umane che contano e quelle che non valgono niente. La storia del Novecento, ma anche la storia dei nostri giorni, è piena di queste linee di demarcazione in base alle quali si calpestano e si uccidono tante vite umane.

Dobbiamo davvero riflettere su cosa sta accadendo e reagire, non rimanere inerti e in silenzio.

 

Pubblicato sul giornale “l’Adige” il 4 dicembre 2016