Far sparire i poveri

Come la periferia di Betlemme, allora, anche quella di Trento, oggi, ha tante capanne abitate durante la notte. Sono sotto i ponti, nelle fabbriche abbandonate, nei boschetti, nelle case diroccate. Sono fatte di lamiera, di legno, di teli di plastica, di stracci. Le Marie, i Giuseppe, i poveri Cristi che le abitano sanno che il segreto per farle durare non è la robustezza dei materiali. Quel che conta è che siano nascoste, che non si vedano.

Sanno che le capanne sono una offesa al decoro della città. La città le chiama “degrado” e se le scopre le distrugge. Fa pulizia. E allora devi spostarti sotto un altro ponte, in un altro boschetto, in un altro edificio abbandonato. E ricostruire la tua casa.

Una parte del popolo dei senza dimora trova posto nei dormitori. Per qualche settimana, almeno. Istituzioni e volontariato si impegnano seriamente (a Trento e a Rovereto di sicuro), ma troppi restano fuori ogni notte, magari dopo aver lasciato il posto del dormitorio ad altri che aspettano il loro turno nella lista di attesa.

Quello non è un posto fisso. Ci puoi stare solo per qualche settimana. Poi devi farti la capanna, o cercare qualche altra soluzione, come la panchina della stazione o del parco o i cartoni nell’androne. Se te li lasciano, perché sono offese al decoro ancor più gravi. Lo sguardo dei cittadini non regge. E va a finire che non reggono neanche le giunte comunali.

Che fare allora? Dovresti sparire.

Beh, almeno andare in un’altra città.

Però tutte le città italiane hanno la stessa ossessione: quella di non offrire troppa accoglienza alle persone senza dimora perché facendo così diventano attrattive per loro.

Essere attrattiva per i turisti è il sogno di ogni città, ma esserlo per i senza dimora è un incubo. Anche per una città di sinistra? Figurati, ti danno del buonista, ti rovinano proprio mentre stai cercando di dimostrare che tu non sei quello che pensano, non sei di quella sinistra lì, tu sei per la modernità, il decoro, la sicurezza e il merito.Vogliamo una città attrattiva per i ricchi, non per i poveri. Vadano altrove.

In una città di destra? Meno che meno. Quelli ti aspettano solo per mandarti via: chiamano le telecamere, riempiono i loro telegiornali delle loro retate e si mettono al petto un’altra medaglia nella guerra per la sicurezza.

Non c’è scampo, devi sparire. Non esistere.

È proprio pazzo questo mondo. Produce poveri e infelici a tutto spiano, ma non li vuole vedere. Non li sopporta. Li vorrebbe far sparire.

I poveri e gli infelici hanno vari nomi: senza dimora, profughi, rifugiati, emarginati ma sono il risultato della follia del sistema economico e politico nel quale viviamo che continua a produrre armi e guerre, fallimenti e disoccupazione, sfruttamenti e disuguaglianze. E con ciò delusi e perdenti nella corsa della vita che si fa sempre più dura per tutti. Per quasi tutti, perché alcuni diventano sempre più ricchi, invece.

La follia del nostro mondo è proprio questa: per la ricchezza di pochissimi, si rovinano i più.

Il popolo dei senza dimora, con le sue capanne e i suoi cartoni, ma anche con la durezza di tante vite ferite dentro che non trovano ospedali per farsi curare e che ogni tanto esplodono, nella violenza o nella disperazione senza salvezza, ci ricorda lo scandalo di questo mondo. Che produce poveri ovunque, a ogni latitudine, e poi li disperde.

In questo popolo non c’è differenza tra i “nostri” e gli “altri”.

In quelle capanne, sotto quei cartoni troviamo l’italiano e lo straniero, il trentino e il siciliano, il cristiano, il musulmano, l’ateo.

Chi dice “prima i nostri” non conosce i poveri, non li frequenta, non li aiuta, non li ama.

Chi aiuta e ama i poveri vede in loro solo fratelli e sorelle. Esseri umani portatori dello stesso diritto alla dignità di cui godiamo noi.

Quest’anno per Natale mettiamo due sogni accanto alla capanna del senza dimora Gesù. Ma perché chiamarli sogni quando sono indispensabili?

Il primo è che la politica, almeno quella parte che ha scelto di battersi per un mondo più giusto, ritrovi la passione per la causa dei poveri. Ne faccia il sale della propria vita, il senso della propria esistenza.

Il che vuol dire rimettere al centro del proprio pensiero e della propria azione la critica di un sistema economico e finanziario che produce sempre più poveri e sempre più guerre, perché le guerre sono altrettanto necessarie a questo sistema per perpetuare se stesso. Tollerare questo scandalo, cui la carità quotidiana può solo in minima parte riparare, è la più triste delle sconfitte della politica.

Il secondo sogno, un po’ più piccolo ma non meno impegnativo, e non meno indispensabile, è che le città italiane partendo magari da una iniziativa della città di Trento, costruiscano un piano unitario pluriennale per i senza dimora. Diventino tutte più attrattive per loro.

Se tutte le città aumentassero di poco i loro posti letto, rimarrebbero ovunque molte meno persone costrette a dormire all’aperto. Le città italiane vogliono diventare tutte più attrattive per i poveri.

Che progetto! Continuiamo a sfornare invenzioni tecnologiche mirabolanti: possiamo sfornarne una sociale? Che poi tanto mirabolante non è? Questione di passione. Crederci bisogna. Non morire di scetticismo.

 

Pubblicato sul quotidiano “l’Adige”,  12 dicembre 2016