L’utopista Tommaso Moro patrono dei politici

L’inglese Thomas More, per gli italiani Tommaso Moro, è uno dei grandi padri dell’Europa. Lo ricordiamo nell’anniversario della morte, avvenuta sul patibolo il 6 luglio del 1535.

Fu l’autore di “Utopia”, un piccolo libro uscito verso la fine del 1516, esattamente cinque secoli fa, e destinato ad entrare per sempre, sconvolgendolo, nell’immaginario politico perché conteneva una critica spietata della società del tempo e la prefigurazione di una società ideale, del tutto opposta alla esistente.

 

 

L’essenza dell”Europa è culturale e spirituale

 

Tommaso Moro morì per affermare il primato della coscienza di fronte alle pretese totalitarie dello Stato e della politica.

Le ragioni della coscienza, cioè della libertà individuale, testimoniate con la sua morte, e le ragioni della giustizia sociale, immortalate in “Utopia”, sono il lascito di Moro allo spirito europeo. Spirito dialettico, per eccellenza. Sempre in tensione, in movimento tra poli opposti.

In tempi di Brexit la sua storia ci ricorda che l’essenza dell’Europa è culturale e spirituale prima che politica ed economica. E come tale è destinata a durare ben oltre le vicende politiche ed economiche se gli europei sapranno riconoscerla e tenerla viva.

 

Moro, Erasmo, Pico della Mirandola

 

Catalogo della Mostra del 1978 alla National Portrait Gallery di Londra. In copertina la famiglia di Moro, dipinto di Rowland Lockey (1593) da un disegno di Hans Holbein il Giovane (1527-8). Le tre figlie e il figlio di Moro hanno in mano un libro. Segno dell’importanza che il padre dava all’istruzione anche per le figlie. Cosa rara a quei tempi. Margaret, la maggiore, divenne traduttrice e autrice. Cosa ancor più rara.

 

Tommaso Moro faceva parte di quel ristretto gruppo di intellettuali riformatori che furono gli umanisti. Italiani innanzitutto, poi francesi, spagnoli, fiamminghi, tedeschi, inglesi.

Erasmo da Rotterdam ne era il capofila e fu un grande amico di Moro.

Furono una piccola minoranza in Europa, ma che ne rappresentava il meglio,  l’aspirazione, soprattutto, a un mondo più pacifico e più giusto di fronte alle moltitudini di poveri e agli infiniti massacri delle guerre che i re cristiani si facevano tra loro con particolare passione.

Gli umanisti mettevano al vertice “la dignità dell’uomo”, di ogni uomo, secondo la grande lezione dell’italiano Pico della Mirandola.

Lo spirito europeo è sempre stato il frutto profetico di minoranze che non hanno accettato l’esistente come l’unico mondo possibile.

Chi disprezza le minoranze disprezza l’umanità, perché spesso questa ha fatto passi in avanti grazie a quei pochi che hanno indicato strade nuove, anche a loro rischio e pericolo.

 

Gli umanisti lasciano il segno, ma vengono sconfitti

 

Questa raccolta delle magnifiche lettere di Moro (Vita e Pensiero, 2008, pp. 436) è tradotta e curata con ricchezza di note da Alberto Castelli, uno dei maggiori studiosi italiani del grande umanista e martire.

 

Gli umanisti volevano una profonda riforma della cultura, della Chiesa, della società, della politica.

Odiavano la guerra e i conflitti religiosi, proclamavano la tolleranza, esaltavano il Vangelo contro le sottigliezze astruse dei teologi, difendevano il valore della ragione di fronte alla superstizione, il valore dell’interiorità di fronte all’esibizione esteriore.

Recuperavano la grande cultura classica greca e romana, considerandola un patrimonio irrinunciabile insieme alla lettura della Bibbia, riscoperta nei suoi testi originali, e dei Padri della Chiesa.

Schernivano l’ossessione dei ricchi e dei potenti per il denaro e denunciavano la miseria diffusa.

Furono sconfitti, i loro sogni ben presto fallirono. Loro stessi, talvolta, si contraddissero.

 

 

Aspirazioni e contraddizioni

 

La biografia di Peter Acroyd (Frassinelli, 2001, pp. 395) è tra le più documentate.

 

Tommaso Moro, oltre ad essere un grande letterato e un avvocato di fama, fu anche un importante uomo politico e Gran Cancelliere del Regno d’Inghilterra, la più alta carica dopo quella del re.

Esercitò saggiamente il potere, ma non fu tollerante coi protestanti, li perseguitò (e alcuni li mandò a morte). In questo fu figlio del suo tempo, lui che aveva cercato di andare oltre.

Ma pur tra tanti limiti, Moro, Erasmo egli umanisti lasciarono una eredità culturale e spirituale che alimentò i riformatori dei secoli seguenti e che costituisce ancora oggi uno dei capisaldi dello spirito europeo.

 

 

Le ragioni della coscienza sono superiori alla legge

 

William Roper, Vita di Sir Thomas More (Morcelliana, 1963, pp. 125). La prima, e forse ancora la migliore, biografia di Moro, scritta dal genero.

 

Tommaso Moro subì la prigionia, il processo e morì sul patibolo perché si era rifiutato, per ragioni di coscienza, di prestare giuramento all’Atto di Supremazia con il quale il re Enrico VIII si era fatto proclamare dal Parlamento capo della Chiesa di Inghilterra, non riconoscendo più l’autorità papale. Ragioni per le quali Moro si era prima dimesso dalla carica di Gran Cancelliere.

Quelle ragioni della coscienza che furono, su un fronte a lui contrapposto, un aspetto fondamentale della riforma protestante, anche se, nuovamente, tra tante contraddizioni, perché a loro volta i riformatori protestanti si fecero spesso intolleranti verso le altre confessioni o le minoranze interne.

Il rapporto tra fede e politica, che vediamo oggi assumere in certe correnti islamiste connotati totalitari e sanguinari, è stato a lungo in Europa fonte di sanguinosi conflitti. Sia per le pretese della religione di usare lo Stato per affermarsi, sia per le pretese dello Stato di invadere lo spazio della religione per servirsene o magari di sostituire quella tradizionale con una religione politica, come è accaduto coi totalitarismi comunista e nazista.

 

 

La sua testa esposta sul ponte di Londra

 

Bel profilo di Moro del grande teologo Hans Küng (Il pozzo di Giacobbe, 2014, pp. 68). Una riflessione su come essere cristiani nella vita privata e pubblica.

 

Moro fu decapito poco prima delle nove del mattino in Tower Hill, a Londra, nei pressi della Torre, di fronte a una grande folla. Il re Enrico VIII, nella sua grande magnanimità, gli risparmiò lo squartamento. Da vivo s’intende, insieme all’impiccagione, com’era capitato ad alcuni  monaci certosini che pure non si erano piegati al re.

Erano anni esaltanti per le arti, quelli, ma feroci per il resto. Non meno di oggi, di sicuro, anche se quella stagione fu più tardi chiamata Rinascimento.

Poi presero la sua testa, la più bella testa d’Inghilterra, la più geniale, la più spiritosa, e dopo averla fatta bollire la infissero in cima a un palo collocato sul più famoso ponte della città.

E lì rimase ad ammonimento dei vivi per alcune settimane, finché, in un giorno di agosto, la primogenita di Moro, Margaret, ottenuto il permesso, andò a prendersela, evitando che finisse nel Tamigi, com’era consuetudine e com’era capitato pochi giorni prima alla testa del cardinale John Fisher che aveva subito lo stesso destino.

La seppellì nella chiesa di St. Dunstan a Canterbury dove si trova tutt’ora.

 

 

Un utopista patrono dei politici

 

Moro fu fatto santo dalla Chiesa cattolica nel 1935, a quattro secoli dalla morte. La sua memoria è venerata il 22 giugno insieme a quella del cardinale Fisher, martirizzato quel giorno.

Giovanni Paolo II lo proclamò patrono dei governanti e dei politici nel 2000.

Un patrono piuttosto impegnativo, sia per la sua morte, sia per la sua opera, “Utopia”, dove in uno dei passi più famosi si legge:

 

L’edizione di “Utopia” tradotta e annotata da Luigi Firpo (Guida Editori, 1990, pp. 306) è la migliore a disposizione del lettore italiano.

 

Quando penso a tutti gli Stati oggi esistenti e mi sforzo di analizzarli obiettivamente, altro non riesco a vedere – che Dio mi aiuti – se non la cospirazione di un branco di ricconi che a nome e con il pretesto della collettività, si fanno soltanto gli affari loro, e si inventano ed escogitano tutti i modi e gli espedienti per riuscire in primo luogo a non correre il rischio di perdere quello che in modo disonesto hanno arraffato, e per riuscire, pagando il meno possibile, ad abusare del lavoro e delle fatiche dei poveri.

 

Letto oggi, questo passo potrebbe sembrare la sintesi spietata di un manifesto dell’antipolitica.

Moro non l’intendeva così, credeva nell’importanza di mettersi al servizio della cosa pubblica, lui stesso lo fece, anche se aveva ben chiaro che per un politico è altissimo il rischio di essere cambiato lui dal sistema, diremmo oggi, proprio mentre cerca di cambiarlo.

Anche in questo ambivalente atteggiamento di fronte alla politica l’umanista inglese è riconoscibile come un padre dello spirito europeo.

 

Pubblicato sul quotidiano “l’Adige” il 6 luglio 2016

Vedi anche la pagina speciale I testi della Lettura teatrale di Utopia