Costruire la convivenza. “Uguali diritti, uguali doveri” (Trento, manifestazione del 6 giugno 2008)

Oggi siamo qui per ripetere a gran voce, tutti insieme, che il Trentino non è mai stato e non sarà mai razzista. Siamo qui per riaffermare in maniera composta e civile i valori della fratellanza, dell’uguag1ianza e della solidarietà.

 

Vincenzo Passerini

Costruire la convivenza

Discorso di apertura della marcia per la convivenza

“Uguali diritti, uguali doveri” svoltasi a Trento il 6 giugno 2008.

 

(Testo pubblicato in Ricordati che sei stato straniero anche tu)

 

Il manifesto della marcia.

 

Oggi siamo qui per ripetere a gran voce, tutti insieme, che il Trentino non è mai stato e non sarà mai razzista. Siamo qui per riaffermare in maniera composta e civile i valori della fratellanza, dell’uguag1ianza e della solidarietà.

Per ribadire che ci sono uguali diritti e uguali doveri, per tutti: per coloro che qui vivono da sempre e per i nuovi arrivati.

Grazie per essere qui. Grazie anche a coloro che non hanno potuto esserci ma che hanno inviato messaggi di adesione. Questo è il momento della responsabilità, della parola, della presenza: non è il momento del silenzio. Tanto meno dell’indifferenza.

Non è  nemmeno il momento delle divisioni o delle contrapposizioni ideologiche e politiche. Questa manifestazione nasce da un grande impegno unitario che non ha colore politico.

Non siamo qui per dire che siamo contro qualcuno. Siamo qui per ribadire con forza e con serenità valori positivi che animano da sempre la società trentina.

 

Le adesioni e il ricordo di Walter Micheli

Voglio ricordare i nomi di coloro che hanno promosso questa iniziativa: Ruggero Purin, Nicola Ferrante, Ermanno Monari, Arrigo Dalfovo, Diego Schelfi, Alessandro Martinelli, Diego Giacometti, Donata Borgonovo Re, Piergiorgio Bortolotti, Miriam Garretta, Vittorio Cristelli, Fatima El Barij, Magdalena Luca, Walter Mieheli, Vincenzo Passerini che vi parla.

Questi nomi rappresentano storie personali, ma anche una larga parte della società trentina: i sindacati Cgil, Cisl e Uil, le Acli, la cooperazione, la diocesi, il volontariato sociale, le strutture di accoglienza, gli stessi immigrati, il mondo degli studenti.

A questi nomi e a queste organizzazioni si sono aggiunti in questi giorni tanti altri nomi di singole persone e organizzazioni che qui non posso ricordare ma la cui adesione è di grande importanza.

Voglio anche ricordare che tra i nomi dei firmatari c’è anche quello di Walter Micheli, una persona che ci ha lasciato pochi giorni fa e che tanto si è impegnata in tutta la sua vita, al servizio della comunità trentina, perché fosse giusta, democratica, aperta. Anche lui oggi è in mezzo a noi.

Accanto alla riaffermazione forte del valore della fratellanza e della convivenza pacifica tra persone di lingua, cultura, e religione diverse, sono necessarie alcune riflessioni.

 

 

Le nostre società hanno bisogno degli stranieri

La prima, fondamentale, concreta, inequivocabile è questa: le nostre società, hanno bisogno degli stranieri. Hanno assolutamente bisogno degli stranieri.

Senza stranieri le nostre società, non sono in grado di sopravvivere.

Crescita economica e bassa natalità hanno come conseguenza inevitabile il ricorso all’immigrazione perché molti lavori siano svolti, perché le culle vuote siano riempite.

Questo vale per tutta l’Europa, per l’America del Nord, per tutti i Paesi ricchi.

I demografi – coloro che studiano l’andamento delle popolazioni, natalità, mortalità, e così via – ci dicono che la popolazione giovane in età attiva (quella cioè tra i venti e i quarant’anni) si ridurrà in Italia di sei milioni nei prossimi due decenni. Fra vent’anni avremo sei milioni in meno di persone tra i venti e i quarant’anni!

Un’inchiesta pubblicata ieri su un quotidiano nazionale e realizzata da un valentissimo giornalista trentino (Giampaolo Visetti) mette in luce la drammatica situazione di invecchiamento di una regione come la Liguria; dove ci sono più badanti che operai e agricoltori.

Attendiamo un’analoga inchiesta sulla realtà del Trentino che se non è così drammatica, certamente presenta la medesima, forte tendenza. Manca giovane forza, lavoro e i moltissimi anziani hanno sempre più bisogno di assistenza.

 

Immigrati decisivi in molti settori

Al 31 dicembre 2006 gli stranieri residenti in provincia di Trento erano 33.302, equamente suddivisi tra maschi e femmine (il dato è del Rapporto sull’immigrazione elaborato dalla Provincia autonoma e dal Cinformi).

Per quanto riguarda gli occupati nei vari settori non è facile avere dati chiari e certi, perché molti lavoratori stranieri sono stagionali e quindi possono essere assunti e licenziati più volte nel corso dell’anno.

Ad ogni modo prendendo il dato delle assunzioni (quindi tenendo conto che ci sono anche più assunzioni per un lavoratore nel corso dell’anno) i dati 2006 ci dicono che ci sono state 28.758 assunzioni di lavoratori extracomunitari. Di questi:

agricoltura 6.182 (2l,5%);

industria 7.268 (25,3%) di cui 499 nel settore estrattivo (porfido in particolare) e 2.553 nelle costruzioni;

terziario 15.308 (53,2%) di cui 875 lavoro domestico e 9.761 pubblici esercizi (alberghi, ristoranti, turismo in generale).

Possiamo dunque dire che in alcuni settori cruciali per la vita del Trentino come l’agrico1tura, il turismo, l’industria, l’edilizia, l’assistenza agli anziani la presenza degli immigrati è determinante.

Se domani mattina dovessero andarsene, noi ci troveremmo in enorme difficoltà.

Basti pensare al caso delle badanti, che si calcola siano almeno 5.000 e forse più (tra cui anche le clandestine): esse sono più numerose degli operatori dei servizi assistenziali pubblici e se venisse meno il loro servizio e tutta l’assistenza agli anziani si riversasse sulle strutture socio-assistenziali andremmo alla bancarotta, in termini di organizzazione e di costi.

 

La positiva convivenza è un processo incessante

Ne deriva, da questa presenza sempre più indispensabile di stranieri, la seconda riflessione: come costruire una positiva convivenza tra persone di diversa cultura, a volte anche religione.

Questa è la vera sfida per la nostra società.

Non tanto se volere o no l’immigrazione, perché essa è nelle cose, è un dato di fatto, è una necessità.

L’esperienza storica ci dice che non basta essere consapevoli della necessità della presenza degli immigrati perché vi sia una positiva accoglienza.

Anche quando gli italiani e i trentini emigravano all’estero e andavano a fare lavori che gli svizzeri, i germanici, i belgi, i francesi, gli americani, gli australiani non facevano più, anche allora il razzismo contro di loro poteva esplodere.

Tra le due guerre, in Australia c’era anche chi parlava di “lurida feccia mediterranea venuta a degradare e insozzare l’Australia”.

Spesso erano considerati tutti criminali.

 

L’ideologia costruisce mostri, ieri come oggi

C’è uno studio molto interessante sugli emigranti trentini in Vorarlberg (il Land austriaco tra il Tirolo e la Svizzera) tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento che ci dice che “era dilagante la convinzione che i trentini (e gli italiani in generale) fossero rozzi e non di rado aggressivi”, che fossero considerati spesso individui pericolosi.

Ci è molto difficile, se non impossibile, immaginare che i nostri bisnonni, i nostri avi fossero così. E così non erano.

Ma l’ideologia antistranieri costruiva mostri e ingigantiva pericoli e finiva per demonizzare un popolo di lavoratori che per noi erano senz’altro, nella stragrande maggioranza, seri, onesti, pacifici. Erano come noi.

La convivenza va costruita, non è un dato di fatto.

È una sfida continua, un processo incessante attraverso il quale si sconfiggono le paure e si privilegiano gli aspetti positivi dell’incontro con l’altro.

D’altronde anche l’esperienza nel vicino Sudtirolo della convivenza tra popolazioni di lingua italiana e tedesca (quindi popolazioni di religione uguale, di cultura simile, certamente non radicalmente diversa) ci dice quanto essa sia un processo sempre in corso, difficile e affascinante insieme, di cui non nascondersi le difficoltà, ma anche le opportunità, straordinarie.

 

Conoscersi, favorire la cittadinanza, rifiutare i fondamentalismi e il non rispetto delle regole

Costruire la convivenza vuol dire innanzitutto conoscersi: ancora non conosciamo bene gli stranieri che sono tra di noi, e forse anche loro non ci conoscono bene. La prima cosa da fare è dunque sviluppare progetti e iniziative per conoscersi reciprocamente e ridurre così le paure.

La seconda cosa è quella di favorire la cittadinanza degli stranieri, cioè il loro pieno inserimento, che significa sviluppare maggiore responsabilità, più consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri.

La terza cosa è sollecitare anche negli stranieri che sono tra di noi una costante vigilanza perché siano rifiutati i fondamentalismi e le tolleranze verso chi non rispetta le regole e le leggi.

Dobbiamo cioè tutti insieme abbandonare i timori e prendere in mano la situazione con concretezza, lungimiranza, saggezza.

 

Clandestini?

Infine alcune parole sui clandestini.

Non dobbiamo dimenticare che la stragrande maggioranza degli immigrati che sono tra di noi sono arrivati come clandestini e sono stati successivamente regolarizzati attraverso le sanatorie.

Questo significa che i1 nostro Paese si è dotato tardi e in maniera inadeguata di leggi che regolassero efficacemente e realisticamente i flussi migratori.

Non dobbiamo dimenticare che d’improvviso molti immigrati clandestini sono diventati regolari per il fatto che i loro Paesi sono entrati nell’Unione Europea.

Non dobbiamo dimenticare che a volte un ritardo nell’assegnare un permesso di soggiorno può trasformare un immigrato regolare in un clandestino.

Non dobbiamo dimenticare che senza le badanti clandestine il nostro sistema assistenziale sarebbe naufragato.

Quello che voglio dire è che sulla base di questi e altri dati di fatto non possiamo criminalizzare la clandestinità, che è un fenomeno complesso.

 

Più giustizia, più uguaglianza e meno armi di fronte alla disperazione dei popoli

Se poi pensiamo ai clandestini che cercano di attraversare i maxi della speranza per approdare alle nostre coste e sfuggire alle miserie, alle guerre, alla mancanza di futuro (e molti di loro purtroppo muoiono in queste tragiche odissee), beh, potremmo forse incolparli del reato di disperazione?

Il fatto è – non dobbiamo mai dimenticarlo, e su questo concludo – che il nostro mondo ricco è circondato da una marea di popoli che hanno fame, che sono afflitti dalla guerra e dalle malattie, che cercano speranza.

Se non costruiamo un mondo più giusto, dove la ricchezza sia più equamente distribuita, dove non ci siano sfruttamenti di popoli e di risorse, dove noi non riempiamo di armi i popoli poveri perché si distruggano: se non costruiamo un mondo più giusto, la disperazione dei popoli non potrà essere fermata.

Il fallimento del recente vertice della Fao a Roma, i ritardi del grande progetto Onu del millennio dove si prevedeva per il 2015 un dimezzamento della povertà, ci dicono che i Paesi ricchi non stanno prendendo sul serio i loro impegni. Stanno venendo meno alle loro responsabilità.

Oggi qui dobbiamo riaffermare con forza che un altro mondo è possibile, è necessario, che c’è bisogno per tutti di più giustizia e di più eguaglianza.

 

Intervista uscita sul quotidiano “Trentino” il giorno della manifestazione.

 

 

Sopra e sotto: le due pagine del quotidiano “Trentino” dedicate alla manifestazione.