Primo Levi e il duce: duello in libreria

“La sua opera ce la troveremo davanti anche al momento del Giudizio Universale” scrisse Claudio Magris nell’aprile del 1987 quando Primo Levi morì.

Ricordate? “Voi che vivete sicuri/ nelle vostre tiepide case /… considerate se questo è un uomo / che lavora nel fango / che non conosce pace / … considerate se questa è una donna / senza capelli e senza nome / senza più forza di ricordare…”.

Sono gli indimenticabili versi che aprono Se questo è un uomo, il racconto autobiografico di Primo Levi che ha fatto conoscere a tante generazioni di giovani la verità su Auschwitz e la Shoah.

 

L’italiano più famoso del Novecento (con Mussolini)

In Italia Levi è soprattutto un autore scolastico, ma a Dublino, nelle maggiori librerie, è qualcosa di più. Non è solo uno dei grandi scrittori europei del nostro tempo, è il più famoso personaggio italiano del Novecento, tanto da sfidare il perdurante e sinistro primato di Benito Mussolini. Almeno in libreria.

C’è infatti una silenziosa battaglia postuma che si combatte a suon di biografie tra il riservato chimico ebreo torinese e l’esuberante dittatore fascista romagnolo in un angolo delle grandi librerie della capitale irlandese (e, immagino, anche di Londra, perché le grandi librerie dublinesi fanno per lo più parte di multinazionali e i libri di cui stiamo parlando sono scritti quasi tutti da inglesi e pubblicati tutti nella capitale britannica).

Il ventiquattrenne partigiano Primo Levi fu nel 1943 catturato dai fascisti e consegnato ai nazisti che lo deportarono ad Auschwitz su un convoglio insieme ad altri 650 prigionieri. Di essi 525 furono destinati direttamente alle camere a gas, gli altri ai campi di lavoro. Pochissimi sopravvissero.

 

Quale Italia?

La storia di Primo Levi deportato nel lager e sopravvissuto, la sua instancabile testimonianza, i suoi racconti, le sue poesie, i suoi saggi, la sua lezione morale e civile così piena di speranza spuntata miracolosamente dall’orrore più nero, la sua vicenda umana conclusasi tragicamente appassionano i lettori irlandesi e inglesi.

Ben tre le voluminose biografie su di lui, pubblicate in questi ultimi anni, che troviamo in libreria: Myriam Anissimov, Primo Levi. Tragedy of an optimist (1998, prima edizione francese 1996, pp. 452); Ian Thomson, Primo Levi: a Life, (2002, pp. 626); Carol Angier, The double bond: Primo Levi. A biography (2002, pp. 928).

Opere mastodontiche, risultato di lunghe e minuziose ricerche. Però non noiose analisi critiche per addetti ai lavori ma, secondo la miglior tradizione anglosassone, appassionanti narrazioni capaci di conquistare un vasto pubblico di lettori.

Per contro, di Mussolini, sul quale sono stati scritti innumerevoli volumi, i lettori di Dublino trovano ora in libreria soprattutto due biografie: di Richard Bosworth, Mussolini (2002, pp. 584) e di Nicholas Farrell (il noto giornalista inglese filofascista, trapiantato a Predappio e autore dell’intervista-scoop a Berlusconi), Mussolini. A New Life (2003, pp. 533). Ampie e minuziose  biografie anche queste, pure destinate a un vasto pubblico.

 

Chi siamo?

Tra i due personaggi si gioca in libreria una battaglia importante anche per noi italiani. Perché è un altro segnale di che cosa percepiscono di noi all’estero, di che cosa comunichiamo agli altri attraverso i nostri volti-simbolo. Volti che gli stranieri scrutano in profondità e ampiezza. Scavando in un personaggio emerge anche una rete di relazioni, affiorano anche altri volti, altre storie. La sua vita rivela ispirazioni culturali e morali, esperienze civili e politiche. In una biografia significativa c’è un intero mondo.

Per questo è consolante che non ci siano solo il volto e il mondo di Mussolini, ma anche quelli totalmente diversi, alternativi, di Levi a rappresentare in modo marcato l’Italia del Novecento nelle librerie dublinesi.

 

Levi batte Mussolini

Ho condotto, a questo proposito, una personale verifica il 23 e 24 giugno nelle maggiori librerie di Dublino: le due Waterstone’s, l’una in Dawson Street, la strada regina dei librai, l’altra al Jervis Centre, il più moderno centro commerciale della città; poi la storica Hodges Figgis, frequentata da Joyce, pure a Dawson Street; infine le due popolari Eason, una in O’ Connell Street, nel cuore della città, 1’altra ancora in Dawson Street. Fantastiche librerie, su tre, quattro vastissimi piani.

In tutte, la presenza dei libri di Primo Levi e delle biografie che lo riguardano era molto significativa.

Levi è posto tra i grandi a livello mondiale con la sua vita e le sue opere, tanto nella sezione letteraria che in quella biografica. Leggermente inferiore un po’ ovunque la presenza delle biografie di Mussolini, di cui invece, com’è immaginabile, non c’è traccia nella sezione letteraria, per quanto il Duce si fosse anche cimentato nel genere romanzesco. Sono tornato nei giorni scorsi e ho visto che poco era cambiato.

Anche nella affollata e fornitissima biblioteca pubblica principale, collocata tra i grandi magazzini nel cuore della città, i libri di Levi e le sue biografie sono numerosi e piuttosto consunti per le frequenti letture.

È la bella e consolante notizia in un panorama editoriale per noi abbastanza mortificante.

 

Pochi italiani

In campo letterario, accanto a Levi, ci sono solo Umberto Eco e Italo Calvino massicciamente presenti con tutti i loro titoli nelle librerie dublinesi. Agli altri le briciole: Svevo e Pirandello, Tomasi di Lampedusa e Moravia, Sciascia e Camilleri, Bassani e Fo, Magris e Calasso, la Mazzantini, Baricco e la Tamaro sono qui e là presenti con qualche libro. Il resto non c’è. O c’è in maniera ancor più sporadica.

Ma non è solo un problema italiano, è un destino condiviso da buona parte dei Paesi del mondo.

Come ricordava Pierre Lepade su “Le Monde diplomatique” di maggio, il crescente dominio americano-inglese nell’editoria mondiale sta marginalizzando sempre più non solo l’editoria dei Paesi asiatici, africani e sudamericani, ma anche quella dell’Europa non di lingua inglese. Alla annuale Fiera del libro di Francoforte, appuntamento mondiale per la compravendita di titoli e autori, gli editori europei, scriveva Lepade, vanno ormai con un unico sogno: vendere un libro agli americani, anche per un ammontare irrisorio, o ai britannici, come primo gradino per il mercato americano.

 

Dominio anglosassone, anche dei mediocri

Sogni infranti, quasi sempre. Perché dei libri pubblicati ogni anno negli Stati Uniti solo il 2,8% sono traduzioni, e in Gran Bretagna il 3%. Autarchia e invadenza imperiali evidenti sia nelle librerie dublinesi, dove la presenza di traduzioni straniere è semplicemente irrilevante (gli stessi libri su Levi e Mussolini prima citati, tranne che in un caso non sono traduzioni), sia nelle librerie in Italia, inondate invece di traduzioni di libri americani e inglesi spesso da cestinare.

“Un autore può anche vincere il Nobel ed essere tradotto in 30 lingue, ma le sue opere non sono qualificate di valore mondiale finché non sono impilate su un tavolo ben in vista in un grande magazzino di Barnes & Noble» concludeva Lepade. Finché non hanno un bel posto nelle grandi catene librarie americane.

Non meraviglia quindi che, per quanto gli irlandesi amino l’Italia, la nostra storia e la nostra letteratura contemporanee arrivino poco e male a Dublino, piccolo e vivace ramo dell’impero editoriale americano-inglese (anche se l’Irlanda ha poi una propria e florida editoria).

 

Luoghi comuni e verità

Il caso Levi è consolante anche per un altro e ben noto motivo. L’Italia all’estero è perseguitata da insopportabili luoghi comuni, dietro i quali ci sono però anche amare verità. Mafia e fascismo restano le nostre sciagure che più offrono agli stranieri le chiavi interpretative del nostro Paese. Revisionismi fascisti e indulgenze mafiose di casa nostra non sono perdonati.

Mafia e fascismo sono questioni terribilmente serie per gli stranieri e diventano anche fastidioso e invadente luogo comune, ma non è che noi facciamo molto per toglierlo di mezzo, questo luogo comune, con comportamenti morali e politici e analisi storiche inequivocabili. La storia italiana degli anni Novanta e quella dei nostri giorni ne sono una conferma.

E allora fascismo e mafia (madre di tutte le corruzioni), più intrigo, mistero e delitto continuano ad essere le chiavi per leggere l’Italia di ieri e di oggi.

 

Storia italiana…

Il palchetto dei libri di storia italiana che ho visto alla Eason di O’Connell Street, la grande e popolare libreria in centro, martedì 17 agosto, era la più eloquente delle lezioni da questo punto di vista.

Dunque: due libri-sintesi di storia italiana; un libro sui Medici, definiti nel sottotitolo “padrini del Rinascimento”; un altro sulla congiura contro i Medici (“avvincente come un mafia thriller” si legge stampato in copertina); la storia di Beatrice Cenci che assassinò il crudele padre nella Roma patrizia del Cinquecento; un libro sulla vita in un convento veneziano del Rinascimento; uno sugli illustri visitatori stranieri di Venezia nell’Ottocento; Le sette ordalie del Conte di Cagliostro; le due biografie di Mussolini di cui sopra; L’affare Moro di Sciascia. Mancavano stranamente i Borgia che di solito abbondano. Mafia, fascismo, intrigo, delitto.

Per fortuna che da un’altra parte della libreria c’era anche, forte e visibile, Primo Levi. Lunga vita a lui.

 

Pubblicato sul quotidiano “l’Adige” il 26 agosto 2004 e nel volume “Bloomsday. Cronache dublinesi”(2011).

 

Note di aggiornamento (agosto 2020)

Le biografie in inglese di Primo Levi sopra citate sono ora reperibili in italiano: Myriam Anissimov, Primo Levi o la tragedia di un ottimista (Dalai Editore, 2001, pp. 779); Carol Angier, Il doppio legame. Vita di Primo Levi (Mondadori, 2004, pp. 856) e Ian Thomson, Primo Levi: una vita (Utet, 2017, pp. 818).

Per quanto riguarda le biografie di Mussolini sono ora reperibili in traduzione italiana sia quella di Richard Bosworth, Mussolini. Un dittatore italiano (Mondadori, 2005, pp. 636), sia quella del giornalista inglese filofascista Nicholas Farrell, Mussolini (Le Lettere, 2006, pp. 626).