Aisling e Joyce donne prete

Tiepida domenica. Il vento gonfia i paramenti sacri del reverendo John Neill, arcivescovo anglicano di Dublino, e dei quattro nuovi pastori, due uomini e due donne, che saranno consacrati fra un po’.

Posano sorridenti per i fotografi nel verde prato davanti alla Christ Church, possente cattedrale medievale nel cuore della città, prima della solenne messa di consacrazione.

Le due donne non sembrano più emozionate dei due uomini, anche se sono le più fotografate. Non è più una cosa rara l’ordinazione al sacerdozio di donne nella chiesa anglicana, iniziata giusto dieci anni fa. Semmai sono rare le ordinazioni in quanto tali, sia tra gli anglicani, assoluta minoranza nella Repubblica d’Irlanda con meno del 3% della popolazione, sia tra i cattolici, larghissima maggioranza con i1 95% circa (fedeli nominali, s’intende; ben altra cosa è la pratica religiosa, per gli uni e per gli altri).

 

Crollo delle vocazioni

Alla metà di giugno il nuovo arcivescovo cattolico di Dublino, Diarmuid Martin, ha consacrato l’unico nuovo sacerdote di quest’anno per la capitale d’Irlanda che conta più di un milione di cattolici, un quarto dell’intera nazione. L’anno prossimo non ce ne sarà nemmeno uno a Dublino, dove neanche dieci anni fa, nel 1996, i nuovi sacerdoti cattolici furono 47.

Il crollo verticale delle vocazioni nel Paese che da sempre ha fornito l’America e il mondo di sacerdoti e religiosi, dopo che i suoi grandi monaci medievali risollevarono spiritualmente e culturalmente 1’Europa, si spiega, almeno in parte, col fulmineo processo di secolarizzazione che ha cambiato radicalmente faccia all’Irlanda negli anni Novanta, e poi con lo scandalo degli abusi sessuali a danno di minori da parte di sacerdoti e religiosi.

Lo scandalo degli abusi è scoppiato verso la fine degli anni Ottanta e da allora non ha cessato di angosciare l’opinione pubblica e il mondo cattolico. Una commissione parlamentare di inchiesta è al lavoro. Le udienze sono pubbliche.

Risarcimenti alle vittime per 2 milioni e mezzo di euro sono già stati pagati dall’arcidiocesi di Dublino e pubbliche scuse sono venute, e si rinnovano, da parte dei vertici ecclesiastici e degli ordini religiosi coinvolti, sia maschili sia femminili. E perfino da parte del capo del governo, Bertie Ahern, cinque anni fa, a nome dello Stato, colpevole, per sua stessa ammissione, di non aver vigilato abbastanza.

Scuse rinnovate da Ahern recentemente davanti alla commissione d’inchiesta e davanti alle televisioni. Il trauma scuote la nazione da cima a fondo.

 

Anche i preti cattolici favorevoli al matrimonio e alle donne prete

Il clero irlandese è pronto a radicali cambiamenti. Il 1° maggio scorso il “Sunday Times” ha pubblicato un proprio sondaggio tra 700 sacerdoti cattolici irlandesi: il 69% è favorevole al matrimonio dei sacerdoti, da sempre possibile per i protestanti; il 58% è favorevole alle donne sacerdote.

L’ordinazione delle donne sacerdote nella chiesa anglicana sembra essere un ostacolo al dialogo con i cattolici. Tuttavia le varie confessioni cristiane irlandesi oggi dialogano molto di più.

Il 13 giugno scorso, per la prima volta nella storia, l’arcivescovo cattolico ha partecipato alla cerimonia di insediamento del presidente della chiesa metodista, qui minuscola minoranza. C’erano anche i rappresentanti anglicani e presbiteriani. Le varie confessioni cristiane si scambiano perfino i predicatori in certe occasioni.

 

La piccola folla dei fedeli davanti alla Christ Church di Dublino.

 

Mai restituite le due cattedrali

Ma oggi tra la piccola folla in attesa della messa davanti alla Christ Church non ci sono cattolici irlandesi. Lo si intuisce dalla compattezza e omogeneità della piccola comunità anglicana qui riunita. Anche se tra la parentela qualcuno di fede romana potrebbe anche esserci, visto che i matrimoni misti non mancano.

Non è solo l’ordinazione delle donne che tiene i cattolici lontani. Il fatto è che qui ogni passo in avanti verso il dialogo costa lacrime e sangue.

Quando Mary McAleese, la cattolica presidente della Repubblica, fece un giorno la comunione alla messa anglicana, proprio qui nella Christ Church in occasione di una qualche particolare celebrazione, scoppiò il putiferio. E non solo per il divieto romano in tal senso (anche per gli anglicani la comunione è un sacramento, ma non credono nella transustanziazione).

La storia pesa, anche perché il passato talvolta è vivo. La Christ Church ne è un simbolo. Gli inglesi non hanno mai restituito ai cattolici irlandesi le due grandi cattedrali medievali che avevano loro espropriato: la Christ Church, appunto, e Saint Patrick, a poche centinaia di metri da qui. Queste sono rimaste in mano alla esigua minoranza protestante irlandese legata alla chiesa anglicana d’Inghilterra. Vestigia di un potere coloniale sopravvissuto.

Quando i cattolici cominciarono all’inizio dell’Ottocento, dopo quasi tre secoli di oppressione coloniale, ad ottenere i primi diritti religiosi e civili dall’impero britannico, poterono costruirsi una loro cattedrale, la St Mary’s Pro-Cathedral, lungo la via principale della città. Ma con la facciata rivolta dall’altra parte, su una via secondaria.

 

La Christ Church di Dublino (foto V. Passerini).

 

Il piatto di Guglielmo

E poi “Pro” Cathedral, perché “pro tempore”, cioè temporanea sostituta della vera cattedrale che per i cattolici è sempre l’antica e maestosa Christ Church, arbitrariamente occupata ancora dagli anglicani. I quali, nel tesoro della cattedrale, esposto nella cripta, magnificano ancora come il pezzo più importante proprio il prezioso piatto cesellato e dorato che fu donato alla Christ Church da Guglielmo III d’Orange, re d’Inghilterra, quando sconfisse i cattolici di Giacomo II Stuart, re deposto, nella battaglia del Boyne (1690).

Una vittoria che segnò la fine dell’ultimo tentativo cattolico di tornare sul trono d’Inghilterra, partendo proprio dalla irriducibile Irlanda, e che viene puntualmente commemorata dagli estremisti protestanti. Ferite mantenute aperte. Quando lo metteranno in un museo quel prezioso e velenoso piatto?

 

Tu es Petrus

Le campane chiamano e si entra. Discreto e inesorabile il servizio d’ordine. Tutti possono entrare, basta che assistano al proprio posto alla messa. La navata centrale si riempie. Dominano i capelli grigi e bianchi. Suona l’organo per alcuni minuti. Ci si alza. Il grande coro della cattedrale intona un solenne “Tu es Petrus”. È strano per noi sentirlo non riferito al papa di Roma. “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa”.

Avanza lentamente in mezzo alla navata la processione dei celebranti. L’arcivescovo, con il pastorale, i quattro nuovi sacerdoti, una ventina di altri pastori tra i quali alcune donne.

Il coro intona l’inno processionale. Tutti cantano. È un inno di lamento per gli scismi e le eresie che hanno devastato la chiesa di Cristo: “Uno è il Signore, una è la fede, uno è il battesimo, per quanto ancora queste divisioni?”.

 

Dio ha mi ha chiamato

Comincia la messa. L’arcivescovo saluta i fedeli: il Signore sia con voi. Ringrazia per questo giorno e citando san Paolo ricorda la varietà di doni e ministeri che Dio ha concesso alla sua chiesa, e in particolare quelli dei vescovi, dei sacerdoti, o presbiteri, dei diaconi.

Gli sono quindi presentati i quattro candidati al sacerdozio ai quali chiede: “Credete nel vostro cuore che Dio vi ha chiamato all’ufficio e all’opera di sacerdoti nella sua chiesa?”. Ciascuno risponde: “Io credo che Dio ha chiamato me”. Lo dice John Tanner, lo dice Tim Irvine, lo dicono le due donne, Aisling Shine e Joyce Rankin. Sono tutti sui venticinque, trent’anni, ma Joyce ne ha un po’ di più. Ha qualche riga bianca nella folta chioma nera.

 

L’arcivescovo anglicano di Dublino con i quattro nuovi sacerdoti: due donne e due uomini (foto V. Passerini).

 

L’annunzio e il perdono

È il momento delle letture bibliche. La prima è del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri…”. È il passo di Isaia che fu letto da Gesù stesso nella sinagoga di Nazareth all’inizio della sua vita pubblica.

Poi l’altra lettura, dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi: “Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove… Siate riconciliati in Dio. È Parola del Signore. Rendiamo grazie a Dio”.

Ora il Vangelo, capitolo 20 di Giovanni: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. I peccati che voi perdonerete saranno perdonati; quelli che non perdonerete, non saranno perdonati”. Chissà cosa passerà nella testa dei quattro nuovi pastori sentendo queste tremende parole, addossandosi un compito così duro. Parole che il mondo non capisce più, perché non capisce più cosa sia il peccato. “Questo è il Vangelo del Signore”. “Lode a te o Cristo”. Ci si siede.

 

Quel piatto pesa più del Credo

È il momento del sermone. Non lo tiene l’arcivescovo, ma il reverendo Cecil Hyland. Tutti ascoltano attentamente: “Non sulle nostre capacità, ma sulla parola del Signore è fondata la nostra fede e il nostro ministero”. È su questa umilissima e potente speranza che si concentra il reverendo Hyland. Però non vuole allungare più di tanto la messa.

Così, presto, si arriva al Credo. È un momento cruciale. “Noi crediamo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra …  Noi crediamo in Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio. Noi crediamo nello Spirito Santo … Noi crediamo in una, santa, cattolica e apostolica Chiesa … Noi riceviamo un solo battesimo per il perdono dei peccati … Noi aspettiamo la resurrezione dalla morte e la vita del mondo che verrà. Amen”.

È lo stesso Credo dei cattolici, parola per parola, il Credo niceno-costantinopolitano, stabilito cioè nel Concilio di Nicea, anno 325, e perfezionato nel Concilio di Costantinopoli, anno 381. Ma nella cripta il piatto di Guglielmo d’Orange che ricorda la battaglia del Boyne pesa di più, enormemente di più.

 

Come un coriandolo

Si alzano i quattro candidati. Il vescovo ricorda loro i compiti del sacerdote. E subito dopo il coro intona lunghe e struggenti litanie. Sono tese come corde di violino. Sono invocazioni a fil di voce, come di un popolo piegato e stanco, che ha solo un po’ di fiato per provare a farsi sentire lassù, e che sente tutto il peso della propria miseria e delle miserie di tutta la cristianità: “Abbi pietà di noi, Signore … Dalla malvagità, dall’orgoglio, dall’ipocrisia e dalla vanità … salvaci Signore … Dall’invidia, dall’odio, dalla malizia, dalla mancanza di benevolenza … salvaci Signore … Dal fuoco, dalla tempesta, dalla peste … dalle false dottrine … salvaci Signore …”.

Le pesanti mura della cattedrale sembrano diventate leggere come piume. Sembra volar via come un coriandolo anche il piatto di Guglielmo.

 

Bellissimi inni

Siamo così giunti al momento solenne dell’ordinazione che viene introdotto dal Veni Creator Spiritus. Tutti i pastori presenti si stringono attorno ai quattro candidati al sacerdozio. Il Vescovo impone su di loro le mani e pronuncia le preghiere e le formule dell’ordinazione. La chiesa anglicana d’Irlanda ha ora quattro nuovi sacerdoti.

La messa prosegue. I fedeli sono invitati a scambiarsi il segno della pace. Passano i cestini per le offerte. Poi l’offertorio, il santus, la consacrazione. Il Vescovo alza il calice e l’ostia. Poi il Padre nostro, l’Agnello di Dio, la comunione. Tutti i fedeli, ordinatamente su due file, si accostano alla comunione, data con l’ostia e il vino: “Questo è il corpo di Cristo, questo è il sangue di Cristo”.

Il coro ora canta bellissimi inni dei secoli che precedettero la rottura tra i cristiani d’Europa.

 

I pensieri di Joyce

La messa si avvia alla conclusione. Il vescovo saluta l’assemblea: “Andiamo in pace per amare e servire il Signore”.

La gente esce. Sosta fuori, nel verde prato. Dopo un po’ arrivano i nuovi sacerdoti. Abbracci, foto ricordo con i genitori, i familiari, gli amici. Per le due donne festeggiamenti speciali e anche mazzi di fiori. Aisling, commossa, è calorosa con tutti. Si immerge nella piccola folla. Passa da una foto all’altra. Joyce è invece un po’ appartata e pensosa. E piano piano, quasi con discrezione, parenti e amici vanno a salutarla e abbracciarla. Sorride finalmente anche lei, con la sua folta chioma nera rigata di bianco. Chissà che pensieri le passeranno in testa in questo momento.

Le campane continuano a suonare, meravigliosamente. Il sole è ancora alto, anche se sono le cinque del pomeriggio. D’estate, a Dublino, le giornate non finiscono mai.

 

Pubblicato sul quotidiano “l’Adige” il 6 agosto 2004 e nel libro “Bloomsday. Cronache dublinesi” (2011).