“Un minuto di silenzio per le vittime della guerra”. Il coraggioso, bellissimo discorso in tribunale dello studente russo Armen Aramjan

Ucraina, Mariupol: fosse comuni.

«Signor giudice, mi sono rimaste ormai pochissime occasioni per esprimermi liberamente su quello che accade in Russia oggi. Dunque vorrei approfittare di questa udienza pubblica per dire qualche parola. Un mese fa la Russia ha dato il via alla cosiddetta ‘operazione militare speciale’ in Ucraina. Le ostilità hanno provocato migliaia di morti tra la popolazione civile: secondo i primi dati, nella sola Mariupol’ sarebbero state uccise cinquemila persone. Perciò, prima di dare voce a questa mia ultima dichiarazione, ci terrei a osservare un minuto di silenzio in ricordo delle vittime della guerra. Credo anzi che ogni evento pubblico in Russia dovrebbe iniziare in modo analogo.» (Armen Aramjan, 24 anni, della rivista studentesca Doxa)

 

La solidarietà contro il terrore di Stato che ci vuole soli e impauriti

di Armen Aramjan

Armen Aramjan, 24 anni, è uno dei redattori della rivista studentesca russa Doxa finiti in carcere nel 2021 per aver sostenuto le proteste contro l’arresto di Aleksej Navalny, il principale oppositore di Putin, tuttora in carcere. I redattori sono stati processati il 12 aprile 2022 dopo essere rimasti in custodia cautelare per oltre un anno. Condannati a due anni di servizi sociali, nei mesi successivi sono riusciti a fuggire dalla Russia.

Il testo che pubblichiamo è tratto dal libro Proteggi le mie parole, a cura di Sergej Bondarenko e Giulia De Florio, prefazione di Marcello Flores (edizioni e/o, 2022, p. 178, euro 16,50).

Secondo il sistema giudiziario russo agli imputati è concessa un’ “ultima dichiarazione” per sostenere la propria innocenza. Il volume presenta 25 discorsi di prigionieri politici, incarcerati dal regime di Putin, tutti pronunciati in tribunale tra il 2017 e il 2022.

Il libro ci restituisce un pezzo eccezionale della Russia che amiamo. La sua lettura è altamente raccomandabile.

 

«Signor giudice,

mi sono rimaste ormai pochissime occasioni per esprimermi liberamente su quello che accade in Russia oggi. Dunque vorrei approfittare di questa udienza pubblica per dire qualche parola.

Un mese fa la Russia ha dato il via alla cosiddetta ‘operazione militare speciale’ in Ucraina. Le ostilità hanno provocato migliaia di morti tra la popolazione civile: secondo i primi dati, nella sola Mariupol’ sarebbero state uccise cinquemila persone.

Perciò, prima di dare voce a questa mia ultima dichiarazione, ci terrei a osservare un minuto di silenzio in ricordo delle vittime della guerra. Credo anzi che ogni evento pubblico in Russia dovrebbe iniziare in modo analogo.

(…)

Ho 24 anni, da poco mi sono laureato alla triennale e poi alla magistrale, conosco le università russe, conosco l’atmosfera di paura e autocensura che vi regna incontrastata. Anche negli atenei più coraggiosi e liberi serpeggia la stessa idea: ‘siete ancora giovani, tenete la testa bassa, non rischiate, ché se no vi sbattiamo fuori e ve la roviniamo in un attimo la vita’.

Ho constatato di persona che queste minacce spesso esagerate e assurde sortiscono l’effetto desiderato. Ci stanno privando della libertà e dell’idea che possiamo cambiare le cose.

Questo regime fa leva sulla paura e sull’autocensura (…)

Perché proprio la paura? Perché è un’arma estremamente efficace. Ed è efficace perché divide. Quando ci troviamo con chi la pensa come noi ci sembra di essere più forti, di non essere soli, di poter fare di più, insieme.

La paura, invece, ci costringe a sentirci singoli individui. La paura ci allontana dagli altri, ci costringe a guardarli, gli altri, con sospetto.

È questo che vogliono quando pensano di intimorirci convocandoci dal rettore con lo spauracchio dell’espulsione, o quando ci pestano in un comando di polizia per ottenere il codice di sblocco del cellulare: vogliono che pensiamo di essere soli.

Avere paura ci fa sempre sentire soli. La società non esiste, gli interessi comuni non esistono, insieme non otterrete mai niente.

La paura ci costringe a soppesare con grande attenzione i rischi personali: posso finire in galera, mi possono  picchiare, mi possono licenziare o espellere, possono fare del male alla mia famiglia.

È come se lo Stato di dicesse: ‘Esistono solo problemi personali, rischi personali, successi personali. Se pensi solo agli affari tuoi, forse non ficchiamo il naso nella tua piccola vita. Ma se decidi che puoi fare qualcosa di grande insieme a qualcun altro, noi te la roviniamo in un momento, la vita, fidati!’.

Il regime di Putin che si scaglia contro quel che rimane dei media indipendenti ed etichetta le principali organizzazioni politiche come ‘estremiste’ sta in realtà attaccando qualsiasi libera organizzazione di persone.

C’è una logica ben precisa nel terrore fomentato dallo Stato. Lo Stato giustifica le repressioni e noi spesso facciamo altrettanto: ma sì, forse non era il caso di essere così radicali, non valeva la pena di usare parole così dure, non dovevamo cercare di strappare dalle mani degli agenti le persone che stavano portando via, in fondo sapevano a cosa andavano incontro manifestando.

Ma è una logica illusoria. Il terrore di Stato ha come obiettivo di intimorirci e di farci sentire sempre in pericolo, così ci autocensuriamo e mettiamo in discussione ogni nostro comportamento.

L’autocensura non è calata dall’alto né imposta dai vertici accademici. L’autocensura è quello che facciamo noi, non loro. È la nostra risposta alla paura.

Il terrore politico funziona solo se stiamo alle regole del gioco, solo se abbiamo paura sul serio. Lo Stato non può punirci tutti, ha bisogno di vittime esemplari.

A questa paura la società può contrapporre una cosa soltanto: la solidarietà. Un sentimento imperscrutabile e irrazionale com’è l’idea che non siamo soli, che anche quando agiamo da soli abbiamo alle spalle migliaia di persone che la pensano come noi, che sanno che il problema è di tutti e sentono che qualcuno accorrerà in loro aiuto anche se li espelleranno, anche se continueranno imperterriti a intimidirli, se li porteranno via con la forza e li tortureranno in un posto di polizia. (…)

Nelle ultime settimane abbiamo visto molti casi di eroismo, abbiamo visto giovani, spesso ragazze, che hanno continuato a manifestare e protestare contro la guerra nonostante le migliaia di arresti e perquisizioni. Giovani torturati dalla polizia, ma che non si sono arresi e hanno continuato a lottare (…)

Il problema principale per la nostra generazione non è tanto come restare persone degne sotto un regime fascista, o come fare la cosa giusta e non quella sbagliata. La sfida è creare solidarietà e associazionismo in una società che per diversi decenni è stata annichilita senza alcun pudore.

“I giovani siamo noi, e noi vinceremo di sicuro”, questo diciamo alla fine del nostro video. E davvero, solo noi possiamo vincere.»