“Un amore impossibile, quindi…” (F. M. Dostoevskij)

Foto Francesco Moretti

«Amare l’uomo come se stessi, secondo il comandamento di Cristo, non è possibile.

Sulla terra la legge della personalità impaccia. L’io è di ostacolo. Cristo soltanto poteva farlo, ma Cristo era l’ideale eterno sin dall’inizio dei tempi, quell’ideale al quale tende, e deve tendere per legge di natura, l’uomo.

Invece, dopo la comparsa di Cristo come ideale dell’uomo incarnato, è diventato chiaro come il giorno che lo sviluppo supremo, l’evoluzione ultima della personalità deve appunto arrivare (nell’ultimo stadio dello sviluppo, nel momento stesso in cui il fine sia raggiunto) a far sì che l’uomo trovi, riconosca e con tutta la forza della sua natura si convinca che l’uso più elevato che egli può fare della propria personalità, della pienezza di sviluppo del proprio io, consiste quasi nell’annientare l’io stesso, nel consegnarlo completamente a tutti e a ciascuno indivisibilmente e senza riserve. E questa è la massima felicità.

In tal modo, la legge dell’io si fonde con la legge dell’umanesimo, e nella fusione entrambi gli elementi, l’io e il tutto (evidentemente, due contrapposizioni estreme), reciprocamente annullati l’uno in favore dell’altro, nello stesso tempo raggiungono anche lo scopo supremo del proprio sviluppo individuale, ciascuno per conto proprio.

Questo è appunto il paradiso di Cristo. Tutta la storia, sia dell’umanità sia, in parte, di ciascuno singolarmente, è soltanto evoluzione, lotta, perseguimento e conseguimento di questa meta.

Ma se è questa la meta finale dell’umanità (raggiunta la quale essa non deve evolvere oltre, ossia perseguire, lottare, maturare attraverso tutte le proprie cadute un ideale e sforzarsi eternamente di raggiungerlo: come dire che non avrà più bisogno di vivere), ecco allora che l’uomo, attingendola, completa altresì la propria esistenza terrena.

Quindi, sulla terra l’uomo è soltanto un essere in evoluzione, non concluso quindi, ma transeunte.

Ma raggiungere questa meta altissima, secondo il mio parere, è del tutto insensato se al momento in cui la si raggiunge tutto si spegne e svanisce, ossia se l’uomo non continua a vivere anche dopo averla raggiunta. Di conseguenza, esiste la vita futura, il paradiso.

Quale essa sia, dove, su quale pianeta, in quale centro – forse nel centro finale, ossia nel seno della sintesi universale, ossia Dio? – noi non lo sappiamo.”

 

Fëdor M. Dostoevskij, 16 aprile 1863, in Dostoevskij inedito. Quaderni e taccuini 1860-1881, a cura di Lucio dal Santo, Vallecchi, Firenze 1980, p. 93,