“Piccole ‘Rose bianche’ nell’abisso. Sophie Scholl e i suoi fratelli”

Sophie Scholl col fratello Hans (a sinistra) e Christoph Probst.

Ricordare Sophie Scholl nel centesimo anniversario della nascita (9 maggio 1921), e il gruppo resistente della Weiße Rose (Rosa Bianca) di cui fece parte, vuol dire, per noi, ricordare anche Paolo Giuntella (1946-2008) che fondò l’associazione Rosa Bianca ispirandosi ai giovani resistenti tedeschi la cui storia fece conoscere a tantissimi giovani italiani.

 

Il 22 maggio ricorrono tredici anni dalla scomparsa di Giuntella, giornalista e scrittore, nato nel 1946 a Roma, dove si spense dopo una insesorabile malattia.

Riproponiamo alcuni passi di un suo scritto, “Piccole ‘rose bianche’ nell’abisso. Sophie Scholl e i suoi fratelli”, tratto dal suo libro Il fiore rosso. I testimoni, futuro del cristianesimo (Paoline 2006), dove racconta la propria scoperta di Sophie Scholl e della Weiße Rose e la fondazione della Rosa Bianca italiana.

Per le iniziative del Centenario vedi il sito della Rosa Bianca.

 

Piccole ‘rose bianche’ nell’abisso.

Sophie Scholl e i suoi fratelli

di Paolo Giuntella

 

Ricordo perfettamente quella sera del lontano 1959 in cui papà [Vittorio Emanuele Giuntella, storico ed ex internato militare] portò a casa un piccolo libricino scritto da Inge Scholl, la sorella di Hans e Sophie, sulla “Rosa Bianca”. Ero un bambino. E quella sera “i ragazzi della Rosa Bianca” – per la verità studenti universitari e un professore – divennero per me un mito.

Papà, che già mi aveva parlato di loro e che, dopo l’esperienza del lager, aveva continuato a cercare tedeschi che avevano detto di no al nazismo e tentato strade di resistenza sia pure piccole, ultraminoritarie, magari anche solo culturali o religiose, dette dunque vita alla leggenda.

E soprattutto la sua passione era rintracciare, tra i cattolici e i protestanti, i dissidenti, gli oppositori a Hitler, anche quelli che pagarono con la vita, come il pastore Dietrich Bonhoeffer, uno dei maggiori maestri del cristianesimo del Novecento.

Nessuno dei miei amici ne sapeva qualcosa, e tanto meno sapevano di altri resistenti tedeschi, dal contadino austriaco Franz Jägerstätter e padre Delp, a von Moltke…

Dunque gli studenti Hans e Sophie Scholl, Willi Graf, Alex Schmorell, Christoph Probst, Hans Leipelt – che pur non conoscendo gli Scholl fu l’unico, all’Università di Monaco, che solidarizzò, dopo l’arresto, con la famiglia – e il professor Kurt Huber erano non solo dei martiri da esibire nelle discussioni a scuola e dagli scout, ma modelli ideali.

L’idea di una resistenza – necessariamente, peraltro, nella loro condizione – nonviolenta, fatta con volantini e scritte sui muri, fu per me bambino e poi studente alle medie e al liceo irresistibile.

In più c’era il fascino di una ragazza, Sophie, assolutamente normale, abbastanza carina – almeno dalle foto così si intuisce – che amava la danza, le buone letture, la vitalità e la spontaneità.

Insomma, quelli della Rosa Bianca non erano eroi o santi lontani e irrangiungibili, ma studenti come noi, per giunta attratti dalle stesse letture.

Avevavmo in comune con loro dei maestri, e la passione per la letteratura e la poesia, il fuoco della politica e della ribellione all’ingiustizia.

Ecco perché, quando si presentò l’occasione – io credo a certe coincidenze spirituali, a un disegno esterno e superiore alle nostre volontà che crea incredibili e straordinari legami non solo simbolici – tirai fuori come nome di un’associazione nascente quello pieno di suggestioni evocative della Rosa Bianca.

Era l’estate del 1979, e dopo tre anni – la primitiva idea di quella piccola comunità, di questa associazione liberal di cattolici personalisti e comunitari venne fuori in un viaggio in treno nel 1976 da Ancona verso Roma, di ritorno da un convegno dell’Istituo Maritain, con il professor Achille Ardigò e Cesare Martino, giovane sociologo e dirigente dell’Azione Cattolica, prematuramente scomparso – nella casa dei Comboniani a Limone del Garda riuscii a convincere gli otto o nove fondatori a scegliere quel nome.

Paolo Giuntella