Gli affari con Libia ed Egitto

Giulio Regeni

I crimini umanitari, come i naufragi dei migranti e il loro respingimento nelle mani insanguinate dei libici, o come nel caso del giovane Regeni, ucciso il 26 gennaio 2016 per mano degli  egiziani, sono l’altra faccia degli affari.

Egitto e Libia, nonostante i crimini, continuano ad essere nostri privilegiati partner economici.

Per le armi, il petrolio, il gas e tante altre merci.

Con le nostre aziende di Stato, Eni e Leonardo, in prima fila a fare affari con questi regimi. Eni (petrolio e gas) e Leonardo (armi) vanno a gonfie vele, mentre tante imprese rischiano di morire a causa della pandemia.

Eni e Leonardo stringono senza timore mani insanguinate.

Altro che coronavirus, guanti e gel disinfettante. Non occorrono guanti e disinfettanti per certe strette di mano. Seminano morte, ma hanno l’immunità. Politica.

Tutti i governi italiani, di centrodestra o di centrosinistra, coi Cinquestelle o la Lega, senza i cinque stelle o la Lega, si sono sempre comportati cinicamente con Egitto e Libia: prima gli affari, poi i diritti umani. Se si può.

Ma non si può. Egitto e Libia non vogliono intromissioni.

La “sollevazione” politica di queste ore contro la vendita di due fregate agli egiziani è patetica.

Agli egiziani, che nelle loro carceri hanno imprigionato ed eliminato migliaia di giovani come Regeni, vendiamo armi da sempre.

Un mese fa il governo italiano ha trasmesso al Parlamento la relazione sul commercio di armi da cui risulta che nel 2019 il cliente migliore del nostro export bellico è stato proprio l’Egitto. Non si è avuta notizia di sollevazioni in Parlamento, o altrove.

E l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, commentando il bilancio 2019 del gruppo, approvato il 12 marzo dal consiglio di amministrazione, ha dichiarato alla stampa che gli utili sono cresciuti del 61%.

Come li hanno fatti? Non gliel’hanno chiesto.

Intanto, nuove stragi in mare di migranti. Quelle morti in solitudine e spesso insepolte dovrebbero farci ribollire di indignazione, tanto più dopo aver visto col coronavirus cosa vuol dire morie soli ed essere privati di una degna sepoltura.

Nella strage di Pasquetta, 51 migranti su un barcone hanno chiesto invano aiuto per sei giorni. Bambini, donne, uomini. Senza cibo, senza acqua.

Tutti sapevano, maltesi, italiani, libici. Nessuno li ha soccorsi. Cinque sono morti e sette dispersi, annegati in solitudine e insepolti. Gli altri, infine soccorsi, sono stati riconsegnati dai maltesi ai libici che li hanno riportati negli spaventosi lager da cui erano usciti.

Uno dei capi degli scafisti, organizzatore del traffico di migranti e comandante della Guardia costiera libica, il criminale Bija, è ancora al suo posto, malgrado le inchieste di “Avvenire” e i rapporti dell’Onu ne avessero rivelato i crimini e la contemporanea presenza al tavolo delle trattative italo-libiche.

Noi armiamo e formiamo la Guardia costiera libica e questa è complice del traffico e del disumano trattamento dei migranti. Noi e l’Europa abbiamo pagato la costruzione dei lager.

Quando volteremo radicalmente pagina nella nostra politica estera?

Fino a quel momento, le proteste per il povero Regeni o per i lager libici e per i morti di innocenti in mare saranno solo chiacchiere.

 

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 18 giugno 2020.