L’impronta profetica di Dossetti

Aveva lasciato la politica nel ’51, a 38 anni, Giuseppe Dossetti, dopo esserne stato un protagonista, nella Costituente e nella Ricostruzione.

Si era fatto monaco.

Ma tornò in campo nel 1994 per spendere le sue ultime energie in difesa della Costituzione.

 

 

Di fronte ai progetti “frettolosi e inconsulti” di revisione costituzionale del governo Berlusconi, Dossetti chiamò a raccolta laici e cattolici, cittadini e giuristi, da Rodotà a Onida a Allegretti, e lanciò i Comitati per la Costituzione.

Fu il suo ultimo servizio al Paese. Lo esercitò col vigore intellettuale, la lucidità politica e la passione civile di sempre.

Nato a Genova il 13 febbraio 1913 da Ines Ligabue, emiliana, e Luigi, torinese e farmacista, cresce a Cavriago, paese della madre dove la famiglia si trasferisce. Nel ’15 nasce il fratello Ermanno.

Il giovane Dossetti, studente e poi giurista, respira fedeltà al fascismo. L’antifascismo lo matura negli anni della guerra, quando partecipa alla Resistenza e diventa presidente del Cln di Reggio Emilia.

Riflette molto sul ventennio fascista come risultato di  una società, uno Stato e una Chiesa profondamente malati e arretrati, che andavano radicalmente cambiati.

Parlamentare e vicesegretario della Democrazia Cristiana, è l’alternativa a De Gasperi e il leader della sinistra cattolica.

Si batte per una democrazia sostanziale, non piegata al capitalismo e fatta di diritti sociali, insieme a quelli di libertà.

Preso atto che la guerra fredda blocca questo percorso, lascia nel ’51 la politica.

Fonda una comunità di studio e monastica, da cui nascono l’Istituto di scienze religiose di Bologna e la Piccola Famiglia dell’Annunziata.

Dal ’56 al ’58 fa un biennio come consigliere comunale di Bologna per obbedire al cardinale Lercaro che l’aveva costretto a sfidare il sindaco comunista Dozza. Dossetti produce il “libro bianco su Bologna”, un programma rivoluzionario di riforme locali.

Diventa sacerdote.

È accanto a Lercaro al Concilio Vaticano II, e dà un contributo di rilievo ai lavori dell’assemblea e sui temi della povertà e della pace.

Dopo il 1972 vive tra la Palestina e l’Italia. Preghiera e studio dei Padri e della Bibbia insieme alla sua comunità monastica, maschile e femminile, dominano la sua vita.

È convinto che la Chiesa e i cristiani debbano purificarsi dal potere e ritornare, nella povertà e nell’umiltà, alle fonti. E che la politica è importante, ma come servizio limitato nel tempo e totalmente disinteressato.

Muore il 15 dicembre 1996 a Oliveto di Monteveglio, in provincia di Bologna, nella sua comunità religiosa.

 

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 19 maggio 2020 e poi nel libro “Testimoni”.