Annalena Tonelli, una speranza nel deserto

Stupiva e scandalizzava quella donna italiana tra i musulmani nel deserto del Kenya, sola, non sposata, non appartenente a una congregazione religiosa.

Gli ammalati, però, l’amavano e la cercavano.

Annalena Tonelli era l’unica speranza.

 

 

Arrivano emaciati, sfiniti, figure da campi di concentramento – scrive lei nelle sue lettere – e si buttano là sulla sabbia, non hanno neppure una stuoia…Sono corpi talmente provati dalla malattia, talmente distrutti da lunghi anni, nel deserto, senza cure…Sperano di poter guarire da una malattia che da secoli, generazione dopo generazione li uccide ad uno ad uno, da padre in figlio, da madre in figlia…Tubercolosi equivale a disperazione, scandalo, sofferenza, tosse, tosse, tosse, tosse che squassa il petto la notte e il giorno….

 

Lì, a Wajir, grande villaggio nel nord est, al confine con la Somalia, tra i nomadi somali, Annalena era arrivata nel 1970, a 27 anni, dopo un anno nel Paese come insegnante. Vi rimarrà fino al 1985.

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“Ancora poche cose prima di salutarvi: qualunque siano le difficolà che incontrate e che incontrerete, non avvilitevi mai, non abbattetevi mai, non lamentatevi mai, lo so che è difficile.. “(Annalena Tonelli, lettera del 24 novembre 1969, da “Lettere dal Kenya”, EDB, 2014, p. 78).

 

Con l’aiuto del governo kenyota e di alcune compagne infermiere, che si alternano, aveva dato vita a un centro per disabili psichici e per poliomelitici, poi a un progetto per i colpiti da tubercolosi. Gente poverissima, scartata. Aveva studiato le malattie e si era specializzata.

Nata a Forlì il 2 aprile 1943, seconda di cinque figli di Teresina Bignardi e del dott. Guido, Annalena, dopo il liceo si iscrive a giurisprudenza a Bologna, fa un anno di studio a Boston, torna e si laurea nel ’68.

Si impegna nelle associazioni cattoliche tra i poveri, i carcerati, i senza dimora (conosce l’Abbé Pierre), le ragazze cacciate di casa, i bambini soli, i movimenti contro la fame nel mondo, la Fuci.

La famiglia non può fermare il suo sogno: annunciare il Vangelo con la vita tra i più poveri, nel mondo musulmano, secondo la spiritualità di Charles de Foucauld, fatta non di proselitismo, ma di silenzio e servizio.

A Wajir è una lotta quotidiana contro l’indifferenza verso i malati. Un lavoro durissimo che lei affronta con tenacia e con una fede profonda, coltivata con le sue compagne nella preghiera e nel silenzio, quando le è donato.

Le sue lettere ne sono una appassionata testimonianza.

Nell’84 denuncia un massacro e l’anno dopo è espulsa dal Paese: “sgradita”.

Si stabilisce in Somalia tra i malati di Tbc. La guerra la costringe a trasferirsi in Somaliland, e per sette anni è accanto ai sofferenti, tra le crescenti ostilità degli estremisti. Due killer, il 5 ottobre 2003, la uccidono.

Ripeteva:

Io ho avuto tutto e la maggior parte delle persone al mondo non ha avuto niente.

 

 

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 4 maggio 2020 e poi nel libro “Testimoni”.

 

Per saperne di più:

– A. Tonelli, Lettere dal Kenya 1969-1985, Edizioni Dehoniane Bologna, 2013;
– A. Tonelli, Lettere dalla Somalia 1985-1995, Edizioni Dehoniane Bologna, 2016;
– A. Tonelli, Lettere dal Somaliland 1996-2003, Edizioni Dehoniane Bologna, 2018;
– M. Fagiolo D’Attilia, R.I. Zanini, “Io sono nessuno”. Vita e morte di Annalena Tonelli, San Paolo, 2012.