Non era che un ragazzo, Peppino Impastato, di Cinisi, paese non lontano da Palermo, quando ruppe col padre mafioso, la parentela mafiosa, l’ambiente mafioso e si mise a combattere la mafia, con la parola e con la politica.
Era il 1963. Il ‘68 venne dopo, lui lo praticò prima.
Con un coraggio e una libertà che ne fanno un testimone esemplare anche per il nostro presente alle prese con una mafia sempre più subdola e pervasiva. Anche nel nostro Nord.
Giuseppe, “Peppino”, nasce il 5 gennaio 1948, primogenito (nel ’53 nasce Giovanni) di Luigi, mafioso, e di Felicia Bartolotta, che lotta invano col marito perché tronchi quei legami. La sorella di Luigi ha sposato il capomafia del paese, Cesare Manzella, e a cento passi da casa Impastato abita Gaetano Badalamenti, il potentissimo boss.
L’assassinio di Manzella nel ’63 sconvolge il quindicenne Peppino.
Si rivolta contro il padre, che lo caccia di casa. Peppino si schiera contro quel mondo che zittisce e uccide.
Fonda il giornalino “L’idea socialista” e aderisce al Psiup, nuovo partito della sinistra. Si impegna nelle lotte sociali, con gli edili, i contadini, contro la terza pista dell’aeroporto (l’aeroporto di Palermo è nel Comune di Cinisi) e i malaffari che su questo si concentrano.
Fonda il Gruppo musica e cultura e Radio Aut.
Denuncia i crimini mafiosi anche col programma satirico “Onda pazza”, dove prende di mira proprio Badalamenti. Umanamente e politicamente Peppino è sempre inquieto, tormentato, perennemente in cerca di qualcosa.
Lunga è la notte / e senza tempo. / Il cielo gonfio di pioggia/ non consente agli occhi di vedere le stelle,
scrive in una poesia. Aderisce al “Manifesto”, poi a Lotta Continua.
Conosce Mauro Rostagno, già leader del ’68 a Trento, pure impegnato coraggiosamente contro la mafia. Con lui trova molta sintonia ideale (Rostagno sarà assassinato dalla mafia nell’88, ma le indagini saranno abilmente e a lungo depistate da magistrati e forze dell’ordine).
Alle elezioni comunali del 1978 Peppino si candida nella lista di Democrazia Proletaria.
Ma il 9 maggio viene assassinato, nelle stesse ore in cui viene ucciso Aldo Moro.
Il suo corpo viene trovato, dilaniato da colpi di pietra e dall’esplosivo, vicino a un binario. Gli inquirenti comunicano che un terrorista rosso è morto mentre preparava un attentato.
La madre Felicia e il fratello Giovanni si batteranno a lungo contro i depistaggi e per la verità giudiziaria. Che arriverà dopo molti anni: Gaetano Badalamenti fu il mandante, Vito Palazzolo la mano assassina.
Ma l’esempio di Peppino vive per sempre.
Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 7 maggio 2020