Dall’insulto all’accoglienza

Due gravi attentati incendiari presero di mira un anno fa, il 28 ottobre a Soraga e il 16 novembre a Lavarone, gli edifici che si apprestavano ad accogliere alcuni profughi e profughe. Le indagini sui colpevoli non hanno prodotto alcun risultato.
In compenso le due comunità coinvolte hanno voluto reagire, ciascuna a modo proprio, cercando di ritrovare l’antico spirito di solidarietà che sembrava sparito e di cui la nostra terra va orgogliosa (ma ancora oggi due comuni trentini su tre non accolgono neanche un profugo, alla faccia dell’invasione).

 

Forte risposta antirazzista

Anche la comunità trentina reagì e il 6 dicembre 2016 il capoluogo fu illuminato da una fiaccolata contro il razzismo cui parteciparono 1500 persone. Una risposta all’altezza della gravità dell’accaduto.
Ma si continua a sottovalutare il razzismo, a tollerarlo, a fomentarlo, nella politica, sul web, nelle scuole.
E si arriva poi agli atti incendiari, o alla maglietta di calcio per Anna Frank, ripugnante episodio rivelatore di un andazzo tollerato oltre ogni decenza.

 

La buona accoglienza a Lavarone

Siamo tornati nei giorni scorsi a Lavarone.
Nella frazione di Cappella c’è la casa delle suore Elisabettine che accoglie le ventitré donne richiedenti asilo. Provengono dalla Nigeria.
Il clima, un anno dopo, è positivo. Il portone incendiato è bello lucido. Il rovere ha resistito alle fiamme ed è stato poi restaurato, come lo spirito di solidarietà.
L’accoglienza è gestita dalla cooperativa Punto d’Approdo. Danno una mano anche volontarie e volontari del paese, dopo il primo abbraccio della Croce Rossa.

 

Volontarie insegnano l’italiano

Due insegnanti in pensione stanno dando lezioni di italiano a due gruppetti di profughe che hanno bisogno di aiuto supplementare.

Poi ci sarà la lezione di italiano in classe per tutte. L’aula è piena di cartelloni, disegni, parole, immagini frutto del lavoro di mesi.
Per l’italiano alcune sono state anche alla Casa della pace di Rovereto e all’Istituto don Milani.
La lingua è fondamentale, ricorda Andrea Gentilini, direttore del Punto di Approdo che ci accompagna insieme a Eleonora, la coordinatrice.
In cucina un altro gruppo sta preparando il pranzo. Un altro sta facendo le pulizie. C’è vita e movimento.

 

In cucina incontro di culture

Divise in gruppi che si alternano settimanalmente nei compiti, le donne curano tutta la gestione della casa.
La cucina è fondamentale. È stato un apprendimento reciproco, dice Eleonora. Il cibo è cultura, e le nostre culture sono diverse, ma possono non solo convivere ma anche arricchirsi.
Flessibilità, rispetto di ciascuno anche nel cibo vuol dire rispetto di te come persona.

Regole comunitarie e rispetto individuale possono benissimo convivere. Devono convivere.

Il riso è il piatto fondamentale, ma noi cerchiamo che non sia esclusivo, aggiunge Eleonora, perché la varietà è un valore positivo per la salute.
Nel corso dell’anno le due culture hanno fatto grandi passi in avanti per conoscersi e arricchirsi a vicenda. Tante discussioni e confronti hanno dato buoni risultati.

La cultura dell’accoglienza parte dalla cucina. E dall’apprendimento della lingua.

 

Artigianato e salute

Otto ragazze hanno poi partecipato anche a un corso di informatica a Rovereto. Altre a uno di economia domestica. Altre a uno di cucito.
Un gruppetto ha frequentato un laboratorio artigianale della Caritas. Hanno prodotto, fra l’altro, le borse che sono state distribuite ai partecipanti della camminata «I colori della comune umanità» promossa nella parrocchia roveretana di Santa Caterina durante la recente Settimana dell’accoglienza.
Le donne hanno poi collaborato con il Comune di Lavarone per la pulizia e la cura del verde pubblico.

Un’assessora le ha accompagnate anche in gita alla scoperta dell’altopiano.
Il Punto di Approdo ha organizzato anche un articolato corso di educazione sanitaria condotto da una dottoressa. Le visite mediche sono periodiche e curate.

Una dimensione estremamente delicata quella della salute, perché le culture anche qui devono conoscersi, confrontarsi e convivere. C’è anche la presenza dello psicologo.

 

I traumi delle violenze

Non va dimenticato che le richiedenti asilo ospitate sono arrivate in Italia dopo viaggi non solo lunghi e faticosi, ma spesso segnati dalla prigionia in Libia e dalla violenza.

Ci sono sofferenze che tante di loro si portano dentro e che non è facile far uscire. Ovviamente non è facile. Non lo è in situazioni, diciamo, normali, figurarsi in questi contesti così complicati e spesso drammatici. Ma anche questo è un aspetto che l’accoglienza a Lavarone cerca di tenere ben presente.
Un anno dopo quel violento insulto verso queste donne profughe, perché tale è stato l’attentato incendiario, ora possiamo raccontare un’altra storia, la storia di tante umane attenzioni verso di loro.
Loro che non hanno avuto dalla vita le nostre fortune e che noi possiamo almeno un po’ risarcire. Almeno un po’, perché davanti ci sono tante incognite. La risposta, innanzitutto, alla richiesta di asilo. A un anno di distanza, solo adesso cominciano a essere convocate dalla commissione.

Poi c’è il lavoro. Qui la comunità è chiamata davvero a dare una mano.

Ci sono tanti alberghi, tante strutture turistiche. Qualche possibilità di lavoro potrebbe saltar fuori. Perché il futuro per loro non ridiventi un incubo.

 

Pubblicato sul quotidiano “l’Adige” il 25 ottobre 2017.