“Attualità di Giuseppe Dossetti” – Relazione al convegno della “Sapienza”, Roma 3-4 giugno 1998

“Dossetti e il dossettismo tra storia e attualità”. Questo il titolo del convegno promosso dalla Facoltà di Scienze politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma nei giorni 3 e 4 giugno 1998 e che ha visto la partecipazione di alcuni dei migliori studiosi di Giuseppe Dossetti e del movimento politico dei cattolici e di alcuni testimoni impegnati a livello ecclesiale, politico, culturale: Pietro Scoppola, Paolo Pombeni, Guido Formigoni, Alberto Melloni, Francesco Malgeri, Mario Tronti, Giuseppe Trotta, Giuseppe Glisenti, Franco Monaco, Fulvio De Giorgi, Armando Oberti, Vincenzo Passerini.

Le relazioni sono state raccolte in un numero monografico della rivista “Humanitas” intitolato “Giuseppe Dossetti ” (Anno LVII, n. 5, settembre-ottobre 2002)

Vincenzo Passerini

ATTUALITÀ DI GIUSEPPE DOSSETTI

(Titolo con cui la relazione è stata pubblicata su “Humanitas”:

“Dossetti e la Rosa Bianca”)

 

Con la Rosa Bianca, associazione tuttora attiva, celebrammo e festeggiammo insieme a don Dossetti l’inizio e la fine del 1986, anno importantissimo nella sua biografia perché segnò il suo ritorno sulla scena pubblica – con scritti e discorsi che ebbero vasta risonanza – dopo tre decenni di silenzio dedicati alla Chiesa, alla sua comunità monastica e, soprattutto, allo studio e alla meditazione della Parola di Dio.

A partire dal 1986 Dossetti tornò ad essere un personaggio attuale, anzi, un maestro per tanti giovani, così come lo era stato nell’immediato dopoguerra.

I suoi interventi, sul terreno religioso ed ecclesiale ma poi anche, e sempre più, su quello politico, diventarono un punto di riferimento non solo per i tanti vecchi amici di un tempo, sparsi per tutta la Penisola e che ritrovavano una paternità spirituale e politica prematuramente perduta, ma anche per tanti giovani cattolici che scoprivano un maestro nuovo, così diverso dagli altri, di una forza e di una autorevolezza che era raro trovare in quegli anni.

I due incontri con Dossetti segnarono col fuoco la piccola biografia della Rosa Bianca, associazione di giovani cattolici democratici nata alla fine degli anni ‘70 come costola giovanile e scalpitante della “Lega Democratica” di Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Paolo Prodi, Paola Gaiotti, Luigi Pedrazzi, Ermanno Gorrieri e altri protagonisti della cultura cattolica italiana più impegnata.

Essa prendeva il nome dalla eroica Weisse Rose tedesca, il gruppo di studenti cattolici e protestanti dell’università di Monaco di Baviera processati e giustiziati nel 1943 per aver distribuito volantini antinazisti, e intendeva, con quell’impegnativo riferimento, alimentare tra i giovani cattolici italiani, in quei decadenti anni ’80, lo spirito di resistenza morale e politica, lavorando soprattutto sul terreno della formazione con incontri di spiritualità e scuole estive di educazione alla politica, ovviamente autofinanziate.

Quel nome e quel riferimento non potevano non destare la curiosità e l’interesse del monaco e resistente Dossetti.

Il primo incontro avvenne alla vigilia di Capodanno del 1986 nell’antico cenobio di San Vittore a Bologna. Eravamo una trentina, provenienti da tutta Italia.

Con noi anche Achille Ardigò e Luigi Pedrazzi, amici di lunga data di Dossetti e che erano stati con lui fin dal fallito ma entusiasmante tentativo di conquistare il Comune di Bologna nel 1956.

I trenta della Rosa Bianca erano guidati da Paolo Giuntella, il più anziano della compagnia, che dell’associazione era il fondatore e l’animatore, dopo essere stato anche presidente della Lega Democratica (lui e la moglie Laura Rozza, pure attivissima nella Rosa Bianca, avevano fatto della loro casa a Roma il principale luogo di incontro, la segreteria organizzativa, il sempre disponibile centro di ospitalità per tanti amici squattrinati; senza questo clima di amicizia e generosità, che è sempre stato la sua vera forza, la Rosa Bianca non sarebbe esistita).

Don Giuseppe celebrò la S. Messa, poi si fermò alcune ore a discutere di fede, Chiesa, politica.

Fu un incontro così forte che la Rosa Bianca” volle riproporlo, trovando ancora la disponibilità di Dossetti, alla fine di quel 1986, anzi, il giorno di Capodanno del 1987, ancora a Bologna, seppure in un’altra sede, ancora con la S. Messa, ancora con una lunga discussione dopo.

Che Dossetti era quello che la “Rosa Bianca” incontrò all’inizio e alla fine di quel 1986?

Che cosa aveva da dire il vecchio monaco a quei giovani che cercavano di ricostruire le ragioni profonde di un impegno politico cristianamente ispirato, ragioni che il partito cristiano aveva ormai smarrito?

Scoprimmo un Dossetti – che per noi risorgeva in carne ed ossa dal mito in cui la storia politica lo teneva imbalsamato da trent’anni – più rivolto al futuro che al passato.

Un Dossetti in cui la memoria mordeva ancora, è vero, un protagonista che combatteva interiormente, cercando di tenerla a freno, con la memoria non tanto delle sconfitte personali ma delle occasioni perdute dai cattolici italiani cui era stato dato dagli elettori, all’indomani della guerra, un potere enorme per costruire un’Italia più giusta e diversa. E che invece quel potere avevano in gran parte sprecato per la paura di perderlo.

La memoria mordeva, ma Dossetti se ne serviva per guardare soprattutto al tempo presente e al futuro.

Il monaco Dossetti parlò di distacco e insieme di passione esigente per la politica.

Invitò più o meno direttamente, chi gli stava davanti ad amare ed insieme a temere la politica.

Quello del cristiano doveva essere sempre un prestarsi alla politica, mai un darsi totalizzante e definitivo. Un prestarsi generoso, disponibile a misurarsi a tutto campo con spirito innovativo e originale con i problemi concreti delle persone e con i vasti orizzonti internazionali.

Ma un prestarsi attento ai pericoli mortali delle salite troppo in alto.

Dicendo queste cose, egli non aveva di fronte la sua lontana scelta di abbandonare la politica dopo pochi anni di impegno ad altissimo livello, non teorizzava quella scelta, non ne faceva un esempio, anzi, non ne voleva parlare per nulla liquidando sbrigativamente l’argomento come del tutto personale.

Egli aveva piuttosto di fronte i quarant’anni di storia politica dei cattolici italiani, e anche molte delle loro più importanti biografie. Insieme a tanti di loro era entrato nella vita politica a guerra finita.

La sua insistenza su un impegno politico necessario ma limitato nel tempo, e nelle ambizioni, nasceva da quanto aveva visto accadere in tutti quegli anni.

Il Dossetti del 1986 non è quello della primavera del 1994 che, dopo la vittoria elettorale del centrodestra, sente, con drammatica urgenza, il dovere di richiamare all’impegno politico e alla mobilitazione in difesa della Costituzione le coscienze degli italiani e dei cattolici in particolare.

Il Dossetti del 1986 é invece preoccupato soprattutto della degenerazione morale che aveva progressivamente segnato la presenza di troppi cattolici impegnati in politica, e che era destinata pochi anni dopo ad esplodere con Tangentopoli e con la fine dei partiti storici di governo, e pone come urgente il tema della formazione profonda per i cristiani che intendono agire in politica, l’assenza della quale era all’origine della degenerazione.

È un Dossetti che mette in guardia.

Mette in guardia i giovani cattolici dalle sirene del potere, specialmente se gestito a lungo e in alto, e se assunto senza una adeguata formazione spirituale.

Tant’è che a un certo punto, a margine dell’incontro, arriva a dire: beh, sì, impegnatevi, però “cercate se possibile di non andare oltre il livello regionale”, del consigliere regionale…

Dossetti mette in guardia, ribadisce che la vera formazione politica per un cristiano è innanzitutto spirituale e morale. È soprattutto lì che la storia dei cattolici in politica ha conosciuto le peggiori sconfitte: “certe esperienze dei cattolici in politica, dice, sono risultate deludenti più sul piano degli abiti morali che non su quello delle competenze”.

Le competenze ci vogliono per operare nella realtà, dice Dossetti, sono indispensabili (concetto, questo, caro ai dossettiani educatori come Giuseppe Lazzati il quale, avendo visto i disastri combinati dallo zelo politico superficiale di troppi parroci e vescovi nei confronti di tanti bravi giovani cattolici, ricordava, più o meno in quello stesso periodo, nella sua riflessione sulla virtù della prudenza, che “non basta essere un bravo cristiano per fare il sindaco, perché se non si hanno certe capacità non si riesce a fare bene il sindaco e, non facendo bene il sindaco, un cristiano farà parlare male non solo di sé ma anche dei cristiani”).

Il cristiano in politica deve essere un competente ma deve partire sempre dalla Parola, ribadisce con insistenza Dossetti ai giovani della “Rosa Bianca”: deve essere un testimone della Parola, sempre.

La Parola frequentata con amore e perseveranza crea veri e propri modi di essere, modella atteggiamenti radicati in profondità che permettono poi di leggere cristianamente la realtà e di agire in essa in modo cristianamente ispirato.

Sta in questa fedeltà di fondo della persona alla parola di Dio l’ispirazione cristiana della politica, più che l’attenersi a discutibili analisi e proposte di dottrina sociale cristiana.

Non c’è in Dossetti un uso strumentale della Parola, un uso politico, o ideologico. Non c’è un passaggio automatico dalla Parola all’azione politica.

Né la pretesa di costruire, o sostenere, a partire dalla Parola una qualche ideologia.

La Parola non va usata, ma assiduamente frequentata, va assimilata, pregata, essa deve diventare compagna quotidiana fino ad orientare nel profondo la persona anche nella vita politica.

Mi sembra evidente quanto fosse lontana da ogni integralismo la concezione di Dossetti di una politica ispirata alla Parola.

Però ci vuole qualcosa di più.

Oltre le virtù tipiche dello statuto del cristiano, e per le quali basta l’insegnamento del Vangelo, dice Dossetti,

è necessario per chi opera in politica coltivare costantemente gli abiti morali

(o virtuosi, o sapienziali come variamente li andrà a definire nei mesi successivi).

E ciò attingendo con frequenza e costanza alla lettura, in particolare, dei libri sapienziali dell’Antico Testamento, spesso destinati appunto ai governanti. Perché, ribadisce Dossetti, “l’attività politica non è un’attivita di specialisti, è diversa: è un’attività sapienziale”.

I libri sapienziali insegnano qualcosa di importante per la vita pratica. E invece sono quasi sempre ignorati. Su questo tema Dossetti si soffermò soprattutto nel secondo incontro.

Vale la pena riprendere testualmente le sue parole, tratte fedelmente dal registratore (con tutto ciò che questo inevitabilmente comporta)e che pubblicai immediatamente sul numero di gennaio del 1987 del mensile trentino “Il Margine”, che della “Rosa Bianca” é sempre stato anche l’organo ufficioso:

C’è un punto fondamentale secondo me. I problemi che possono riguardare la politica, diciamo così in modo molto generico, non sono tanto problemi di contenuto, sono problemi di formazione di abiti adeguati, i quali poi hanno già in sé un aspetto profetico.

E cioè: nell’attività politica prima di sapere qual é la soluzione dei diversi problemi bisogna capire bene quali abiti virtuosi bisogna acquisire per esercitare un’attività politica e prima di tutto per conoscere i problemi che la politica pone ad ogni situazione storica. Non é un problema immediato di contenuti.

C’è un passaggio prima che invece è stato saltato in tutte le esperienze politiche, specialmente nelle esperienze politiche degli ultimi cinquant’anni. E questo passaggio non può essere colmato solo da dottrine tecnicamente affinate ed appropriate.

Si tratta di costruire abiti politici virtuosi i quali fanno parte di un genere ampio che io ho chiamato della sapienza pratica, la quale, secondo me, é mancata anche perché non si è dato adeguato rilievo a una fonte biblica che può aiutare moltissimo e che anzi é la prima da consultare per 1a costruzione di questi abiti politici virtuosi. E cioè i libri sapienziali.

In questo noi siamo stati tutti, senza saperlo e senza volerlo, dei riformati, cioè abbiamo preso soltanto la Bibbia di Lutero, non abbiamo preso la Bibbia cattolica, nel senso più ampio, cioè la Bibbia – che è anche la Bibbia d’Oriente – che comprende i libri sapienziali.

L’espunzione dei cosiddetti libri deuterocanonici ha mutilato la Bibbia, ha mutilato la riflessione capace di costruire, in termini ancora prossimi alla Rivelazione, un complesso di abiti virtuosi d’ordine in qualche modo già prossimo al politico. Questi sono i libri che più scendono nel concreto.

Se noi dobbiamo formare degli uomini, non dobbiamo dare solo il supremo contenuto del mistero, quella che potremmo chiamare la sapienza noetica, né dobbiamo dare delle dottrine politiche sia pure costruite in modo molto adeguato alla situazione del tempo, con uno sviluppo proporzionato delle scienze umane relative; dobbiamo cercare di cogliere quello che ci può venire da quella zona intermedia della sapienza pratica che è anche da costruire con l’esercizio, ma anche con certe indicazioni che sono ancora nell’ambito della Rivelazione.

Indicazioni che vanno poi esercitate, che non devono restare soltanto conoscenze astratte, di carattere nozionale […]

E’ questo il terreno, secondo me, sul quale più si deve esercitare la riflessione di chi si mette per questo cammino…

Fedeltà quotidiana alla Parola, frequentata e amata; passione e insieme distacco verso la politica; urgenza di coltivare nella specifica formazione del politico gli “abiti virtuosi”.

Per la “Rosa Bianca”, che della formazione ad una politica cristianamente ispirata aveva fatto la sua ragione d’essere, le parole di Dossetti furono decisive. Lo furono per quanto riguarda l’attività dell’associazione, ma anche per tante scelte individuali.

La “Rosa Bianca” assunse da allora un orientamento politico più intransigente sul piano morale, un’attenzione, negli incontri di spiritualità più forte alla Parola di Dio.

La sua scuola estiva di formazione politica, ad esempio, che si svolgeva come sempre a fine agosto a Brentonico nel Trentino, ebbe nel 1987 come tema proprio “Il politico e le virtù”.

Ci furono relazioni di Michele Nicoletti (L’eclissi della virtù), Achille Ardigò (Il problema dell’etica nella società complessa), don Luigi Lorenzetti (Le doti sapienziali del cristiano in politica), Paolo Marangon (Tra sapienza della prassi e follia della croce), don Umberto Neri, inviato proprio da Dossetti della cui comunità monastica era il più qualificato biblista (I libri della sapienza), Paolo Giuntella (Que cantan los ninos de los anos ’80?).

E dopo una tavola rotonda sul volontariato con Calvani, Pegoraro, Rizzi e Giovanni Bianchi ci fu un dibattito a tre su “I colori dell’etica” con Mino Martinazzoli, Diego Novelli, Alexander Langer.

Tra il ’90 e il ’91, prima dello scoppio di Tangentopoli, prima dello sfascio per corruzione o per consunzione dei partiti, molti aderenti alla “Rosa Bianca” parteciparono attivamente e in prima fila, in diverse città italiane, alla nascita di gruppi e movimenti politici progressisti di rottura verso il vecchio, decomposto sistema politico (la Rete, soprattutto, e poi il Movimento referendario).

Nel mondo cattolico, ancora in gran parte segnato dalla “paura” e dal “conservatorismo pigro e comodo” (come aveva detto tanti anni prima Giorgio La Pira citato da Dossetti nel 1992), incapace di pensarsi all’avanguardia di un processo di rinnovamento, o magari in difesa interessata dell’indifendibile, essi si trovarono spesso soli in questa azione di rottura. Un capitolo di storia del cattolicesimo democratico più recente tutto da scrivere.

Quanto l’incontro con la lezione spirituale e politica di Dossetti fosse all’origine di quelle scelte – dure, esigenti, contrastate, ma anche creative ed entusiasmanti – è difficile dirlo.

Per quanto mi riguarda posso dire che fu determinante, e non credo di essere il solo a poterlo dire. Così risposi positivamente all’invito di Leoluca Orlando – che aveva partecipato negli anni precedenti alle scuole estive della “Rosa Bianca” – di far parte del comitato nazionale dei fondatori del Movimento per la Democrazia “La Rete”, con altri amici della nostra associazione (alle elezioni politiche del 1992 a Trento prendemmo più voti della Lega Nord ed eleggemmo un deputato).

La “Rosa Bianca” rimase però un luogo di incontro di persone che facevano scelte partitiche diverse nell’ambito del centrosinistra, anche se nella “Rete” militava una parte consistente della dirigenza nazionale.

Fu una stagione politica straordinaria, anche se breve e piena di difetti (ma la politica esiste solo quando si spende e si consuma come parzialità nei momenti cruciali della storia).

Nel dicembre del ’92 l’associazione organizzò a Firenze un seminario di spiritualità intitolato “Radicalità evangelica e impegno civile”, che si rifaceva esplicitamente alla lezione dossettiana.

La scuola estiva del 1994 ebbe come titolo “Sentinella, quanta resta della notte?”, e riprendeva il drammatico appello di Dossetti di pochi mesi prima in difesa della Costituzione.

Le relazioni di quella scuola furono tenute da Antonino Caponnetto, Achille Ardigò, Paolo Marangon, Emanuele Rossi, Umberto Allegretti, Lorenzo Prezzi, mons. Giovanni Nervo, mons. Raffaele Nogaro, Pierluigi Mele, Michele Nicoletti, Silvano Zucal, Alberto Conci, Paolo Ghezzi, Federico Mioni, Franco Monaco, Giorgio Tonini, Giovanni Colombo, Luigi Viviani, Nando Dalla Chiesa, Alexander Langer, Aldo Bulzoni, Giuseppe Mengoli.

Non è qui possibile ricordare tutti i momenti “dossettiani” della “Rosa Bianca” se non l’amicizia con la comunità monastica, l’impegno di tanti nei Comitati per la Costituzione, la pubblicazione costante degli interventi pubblici di Dossetti sul “Margine”.

Certo è che il nuovo Dossetti, quello post-1986 per intenderci, diede vita a un nuovo, per quanto assai limitato e sparpagliato, dossettismo di cui la piccola biografia della “Rosa Bianca” è solo un esempio. Altri esempi, forse più importanti, potrebbero essere portati.

Ancora oggi la lezione spirituale e politica di Giuseppe Dossetti ci accompagna come un punto di riferimento solido ed esigente, più che mai vivo ed attuale (ma attuale è un termine inadeguato, perché la sua lezione potrà pienamente dispiegarsi e generare nuove e impensate figliolanze spirituali e politiche soltanto in futuro).

Ci accompagna soprattutto quella sua idea di politica fatta insieme di passione e di distacco.

A quell’idea egli diede in occasione del suo intervento al congresso eucaristico di Bologna il 1° ottobre del 1987 una formulazione splendida:

Si deve inculcate al cristiano che non solo può, ma deve impegnarsi nella storia (secondo la misura dei doni ricevuti e le opportunità pratiche): ma insieme gli si deve inculcate che questo egli deve sempre fare col massimo distacco possibile, pena la perdita di tutta la sua credibilità come esploratore e testimone dell’invisibile.

Deve sempre essere pronto a lasciare il suo ruolo – tanto più quanto più possa essere umanamente appetibile – come un viaggiatore deve lasciare la camera d’albergo in cui ha pernottato una notte, disposto persino a lasciarvi la valigetta con cui era entrato”.