Sono le più grandi fosse comuni scoperte in Europa dai tempi di Srebrenica: tra i 445 cadaveri anche dei bambini:
“A Bucha s’era finto che fosse tutto un falso, a Irpin e a Mariupol s’era negato anche il vero, ma a Izyum viene allestito un horror show che t’investe appena t’addentri nella foresta, un’evidenza che non richiede video o foto satellitari da setacciare: nel silenzio della pineta, c’è solo il tanfo dolciastro di 445 corpi già trovati, e d’altri chissà dove.” (Francesco Battistini)
I corpi torturati, sepolti nel fango: dentro l’abisso del bosco d’Izyum
- Corriere della Sera, 17 settembre 2022, dal nostro inviato a Izyum Francesco Battistini
Se questo è un morto. Il corpo disarticolato e piegato in una specie di esse, un ammasso di stracci fangosi e sbiaditi ad avvolgerlo, un cappio al collo. Lo sollevano in due dalla terra grassa del bosco e piano, attenzione, bisogna essere delicati a maneggiare questi sepolti. Che sono più fragili delle vite che contenevano. Che portano verità troppo pesanti per le loro ossa sottili.
Il dottor Vitali Kravchenko è un medico forense in pensione. L’hanno chiamato a dare una mano in questa morgue di fosse comuni, ed è un omone. Ma quando s’inginocchia su quel cencio d’uomo, diventa piccolo come noi. Curvo anche lui, sotto la banalità d’un male enorme.
S’è tolto la mascherina e ogni ribrezzo: sono tre giorni che scava e ormai non distingue il profumo fresco dei pini dal puzzo marcio dei cadaveri. «Non ne avevo mai visti così tanti e tutt’insieme…».
Pulisce il terriccio con le mani, e sembra che accarezzi il morto. Cerca di ritrovare un volto che non c’è più. Un documento nelle tasche, un anello alle dita, qualcosa che identifichi. Niente. Non resta che il body bag bianco e scappucciare il pennarello nero, per dare l’unica identità possibile: 321.
Tanfo e silenzio
Ci portano in massa, a vedere per credere. Giornalisti e magistrati. Ordine del presidente Volodymyr Zelensky che vuole mille e mille testimoni, di fronte ai crimini di guerra commessi dai russi in ritirata.
Il segreto del bosco d’Izyum non è più un segreto. È la pistola fumante, dicono gli ucraini, che alla Corte dell’Aia magari non porterà Putin, ma qualche suo gerarca sì.
A Bucha s’era finto che fosse tutto un falso, a Irpin e a Mariupol s’era negato anche il vero, ma a Izyum viene allestito un horror show che t’investe appena t’addentri nella foresta, un’evidenza che non richiede video o foto satellitari da setacciare: nel silenzio della pineta, c’è solo il tanfo dolciastro di 445 corpi già trovati, e d’altri chissà dove. Le più grandi fosse comuni mai scoperte in Europa dai tempi di Srebrenica e delle guerre balcaniche.
Il corpo ritrovato col cappio addosso dice che «al 99% non si tratta di gente morta in circostanze di guerra», è sicuro Oleh Kotenko, incaricato d’indagare sui desaparecidos di questi mesi: «Tanti corpi presentano segni di violenza, alcuni li abbiamo dissepolti con le mani legate dietro la schiena. Anche diversi bambini. A Izyum e nei villaggi della regione di Kharkiv c’erano 10 camere delle torture».
Tutto è ispezionato con cautela, perché l’ottanta per cento degli edifici della zona è stato distrutto e l’altro venti è spesso minato.
I sopravvissuti raccontano d’avere sopportato botte e scariche elettriche. «Non mi hanno sepolto nel bosco solo perché sono scappati via prima», dice Maksim, che porta una maglietta con la scritta unleash the beast, scatena la bestia, senza sapere d’averla vista fin troppo scatenata: «Mi tenevano in un sotterraneo. Un giorno sono svenuto. Ero sicuro di morire».
L’investigatore Kotenko promette che «andremo a fondo, arriverà anche un team dell’Onu, per capire quanti di questi cadaveri sono passati attraverso quelle violenze».
E la certezza, aggiunge, è che ci sono in giro altre fosse comuni. I russi non hanno fatto nulla per nascondere i cadaveri ammassati: a Srebrenica, per dire, i serbi li avevano smembrati e disseminati per tutta la Bosnia (tanto che molte vittime, ancora oggi, non sono state riconosciute…).
Ed è per questo che Izyum rischia d’entrare nella geografia delle Katyn, delle BergenBelsen, degli storici mattatoi abbandonati all’orrore della memoria.
Sulla via principale e fino alla piazza, davanti a un surreale neon I love Izyum scritto in cirillico, non c’è neppure un muro intatto.
In giro, solo vecchi che a mezzogiorno fanno la coda per il pane e gli aiuti umanitari: «A me non importa se portano Putin all’Aia — piange Ivan, 83 anni —. M’importa sapere se domani trovo il pane!». Non gl’interessa nemmeno che i russi abbiano distrutto l’istituto tecnico d’Izyum, piccolo monumento brutalista che ai tempi dell’Urss faceva studiare qui il giovane Zhukov, l’invincibile maresciallo fedelissimo di Stalin (per sfregio, sulla facciata del cinema comunale, gli uomini della Z hanno lasciato una gigantografia in bianco e nero d’una parata nazista): «Ho vissuto molte vite — dice Ivan —, ma non m’aspettavo questa fine».
Collaborazionisti con i badili
La fossa comune più grande, una settantina di corpi e molti militari, è subito sulla destra. Si sta sminando, tutt’intorno, e ogni 5 minuti è un rimbombo nel silenzio del bosco.
La squadra di chi scava, indosso una plastica azzurrina, è sfinita: «Lavoriamo 72 ore al giorno — dice Ihor, 26 anni, qualche parola d’italiano per via degli studi a Catania —, è il compito peggiore che possa capitare. Ma molti di noi sono volontari, non prendiamo un soldo. Sappiamo che guardare questo schifo è necessario».
Ci sono 200 croci di legno. Qualcuna col nome: Novikov Yakiv Genadiyovin, nato nel 1976… E troppe col numero: sconosciuto 93, sconosciuto 94… Le fosse non le hanno scavate solo i russi, raccontano a Izyum: «Si sono portati dietro una cinquantina di collaborazionisti coi badili». Tutta gente scappata oltreconfine, ora che questo Est è riconquistato.
«Era normale scegliessero il bosco», dice un uomo con la maglietta della Marina russa, che ha perso la moglie: qualche metro in là c’è il cimitero del paese, indica, e i morti d’Izyum si sono sempre messi qua.
Ma chi lo dice che sottoterra ci sono solo torturati? «Faremo il dna a tutte le salme — promette il governatore di Kharkiv, Oleh Synehubov —, lo confronteremo con quello delle persone sparite».
Poco in là, c’è un piccolo cimitero per i cani. L’unico curato. L’unico che i russi non hanno calpestato, e ricco di fiori. È solo alla fine della visita sui cumuli di terra smossa, fra badili e mascherine, che qualcuno si ricorda di questi 445 ammazzati come cani, sepolti ignoti, senza funerale finché le indagini non saranno concluse.
Una signora porta un mazzo di girasoli, fradici e riversi. Li posa sulla più profonda delle fosse. Non hanno profumo. E non cancellano l’odore della vergogna.
Francesco Battistini