I poveri, la destra e la sinistra

Di che cosa parliamo quando parliamo di poveri? Parliamo di un mondo dove la ricchezza è scandalosamente distribuita: 2153 miliardari hanno più ricchezza di 4,6 miliardi di persone messe insieme.

 

Dove 22 persone hanno più ricchezza di tutte le donne africane messe insieme (mezzo miliardo). Un mondo dove pressoché la metà della popolazione, il 46%, vive con meno di 5 dollari e mezzo al giorno. Dati 2019 del Rapporto Oxfam.

Disuguaglianze da far rabbrividire. Spesso si dice che i dati sono aridi. Ma fotografano le situazioni meglio di tante chiacchiere. Le 10 persone più ricche al mondo, documenta il sito LearnBonds, hanno un patrimonio superiore a quello degli 85 Paesi più poveri.

Anche in Italia le disuguaglianze crescono. Il 20% degli italiani ricchi possiede il 70 % della ricchezza nazionale. Il 60% degli italiani ha solo il 13,3% della ricchezza nazionale.

Ma la parola disuguaglianza non c’è nell’intervento di Marco Luscia, pubblicato sul “Trentino” del 24 agosto, che dice di condividere in toto il mio articolo di giovedì scorso dedicato ai bonus chiesti dai politici, ai poveri, alle crescenti diseguaglianze e al silenzio dei partiti. Ringrazio Luscia, storico esponente della destra cattolica, per essere intervenuto. Almeno ha il gusto del confronto che altri non hanno.

Però gli devo dire che se lui è d’accordo con me, io non sono d’accordo con lui. A parte il generoso ma improponibile confronto di posizioni che fa tra Draghi e me, è proprio il discorso sulle disuguaglianze il cuore della questione. Qui c’è l’indistruttibile differenza tra destra e sinistra. Anche se Luscia dice che questa distinzione non ha più senso. Ce l’ha, eccome.

Perché la destra considera naturali le disuguaglianze tra le persone, mentre la sinistra le considera un prodotto della storia.

L’ideologia della destra ritiene che le disuguaglianze siano il motore della società, perché i forti, i ricchi, i potenti se la sono meritata la loro fortuna, perché sono migliori degli altri. Ed è bene lasciarli fare, ne trarranno giovamento tutti.

Mentre l’ideologia della sinistra pensa che le disuguaglianze non siano un fatto naturale, ma un prodotto dell’organizzazione economica e politica. E come tale vanno combattute attraverso cambiamenti delle strutture economiche e politiche in modo che se ne rimuovano le cause. E non ci si limiti con la carità e l’assistenza a lenirne gli effetti.

Questa è la differenza indistruttibile tra destra e sinistra. Al di la di quello che sono, dicono e fanno i partiti.

Al di là del fatto, purtroppo, che mentre i partiti di destra sono coerenti con la loro ideologia –  e quindi non solo non mettono in discussione le disuguaglianze, ma le esaltano e sono coerentemente razzisti e xenofobi oltre che liberisti -, i partiti di sinistra sono spesso incoerenti.

Non c’è dubbio che è più difficile cambiare un sistema, quello capitalista, dominato dai forti mettendosi dalla parte dei deboli, mentre è più facile stare con i forti e accettare il sistema, fingendo di combatterlo col comunitarismo e il sovranismo.

È più facile fare la carità, mentre è più difficile cambiare le strutture economiche e politiche.

Ma se è difficile cambiare queste strutture, almeno si possono correggerne alcuni dei peggiori effetti. Con politiche di stato sociale: sanità pubblica e gratuita, scuola pubblica e gratuita, servizi sociali; con politiche del lavoro, con politiche fiscali.

Che è quello che la destra non vuole. A partire da quella americana che guida il sovranismo anti-Europa, perché gli imperi politici ed economici hanno bisogno, per comandare, di Stati deboli per la loro solitudine.

Ma la sanità pubblica, che tutela i poveri, con che cosa si paga se non con le tasse?

E la scuola?

E le politiche sociali?

Chi vuole ridurre le tasse vuole aumentare le disuguaglianze e le povertà. Che sono l’eterno nemico della sinistra nelle sue varie e mutevoli identità. Oggi essa è debole. Ma indebolirla ancora di più significa ridurre le speranze di giustizia. Che non possono di sicuro venire dalla destra.

 

Articolo pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 27 agosto 2020