Non è vero che la protesta dei richiedenti asilo accolti nel campo di Marco di Rovereto è incomprensibile, come ha affermato l’assessore provinciale alle politiche sociali Luca Zeni. È invece pienamente comprensibile.
Quello che non è comprensibile, oltre all’infelice risposta dell’assessore, è come mai questa situazione indecente di accoglienza duri da tempo malgrado le segnalazioni e le proteste venute ripetutamente da più parti nel recente passato.
Il sistema funziona, ma quattordici in un container no
Forse dovremmo sperimentare tutti cosa vuol dire vivere in quattordici persone in un container per mesi, d’inverno col freddo e d’estate col caldo. Poi vediamo se le cose ci diventano comprensibili, a noi che ce ne stiamo nelle nostre tiepide case.
Hanno torto anche gli avversari politici dell’assessore quando dicono che il sistema trentino di accoglienza ha fallito. È invece vero il contrario.
Il sistema trentino ha dimostrato di funzionare bene, pur tra mille difficoltà e tanti limiti, come quello macroscopico del campo di Marco.
Esperienze di positiva accoglienza si sono moltiplicate in questi anni. Provincia, amministratori comunali, volontari, cooperative sociali, Chiesa hanno messo in campo energie, competenze, umanità per accogliere i profughi.
Attese estenuanti in queste condizioni
E se ci fossero meno ostilità fomentate dai seminatori di odio per raccattare voti sulla pelle dei più deboli forse il sistema potrebbe funzionare meglio. Ci sarebbero più Comuni che farebbero la loro parte, anche piccola, nell’accogliere dei richiedenti asilo in qualcuna delle decine di migliaia di case vuote del Trentino.
Forse dovremmo sperimentare tutti, come i richiedenti asilo, cosa vuol dire attendere mesi e mesi, a volte anche anni, per essere convocati dalla commissione interregionale che deve valutare le richieste di riconoscimento della protezione internazionale o del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Sono attese estenuanti, che mettono a dura prova la capacità di resistenza e di equilibrio mentale di qualsiasi persona. Specialmente di quelle che hanno alle spalle un passato di violenza subita. È in gioco il tuo destino. Non una pratica, ma la tua vita.
Vivere questi snervanti tempi di attesa in condizioni come quelle al campo di Marco è doppiamente disumano.
Perché questi tempi biblici?
Questo sì che è incomprensibile. Perché questi tempi biblici?
Qui è lo Stato che non fa il suo dovere.
Ha niente da dire il Commissario del governo?
Può assicurarci che con l’anno nuovo le cose miglioreranno, che i tempi di attesa saranno ridotti?
Ma se le istituzioni non sono capaci di fare quello che devono fare, perché a pagarne le conseguenze sono le persone più deboli?
Quelle che devono stare attente anche a protestare e a farsi sentire altrimenti vengono cacciate?
Chi controlla se i soldi sono spesi bene?
Le istituzioni hanno non solo il dovere di troncare sul nascere ogni tentativo di trasformare l’accoglienza in una speculazione, in un business, ma anche quello di verificare costantemente che i soldi spesi dallo Stato siano utilizzati bene.
Non basta la correttezza formale, e non è che la pratica dell’appalto garantisca sul buon funzionamento del sistema.
Dietro le correttezze formali si possono nascondere le scorrettezze, le speculazioni, i malfunzionamenti sostanziali.
L’appalto lo può vincere anche una cooperativa collegata a Mafia capitale.
Ma come vengono usati poi i soldi?
Qual è la qualità dell’accoglienza?
Quanto si spende per l’alloggio, per il cibo, per la formazione, per la sanità, per il sostegno psicologico e legale, per le attività con la comunità locale, per i tirocini di lavoro?
Le istituzioni hanno il dovere di verificare costantemente come si spendono i soldi. Se sono spesi o no per rendere dignitosa, attiva, partecipata l’accoglienza dei richiedenti asilo. Se l’attività di accoglienza è stata svolta in maniera competente e umana.
Vale per i rifugiati, come per i malati e gli anziani.
Non bastano i controlli formali
Anche la sanità può essere un business, una speculazione; anche l’ospitalità degli anziani può diventare un grande affare. Ma non sempre lo è, per fortuna. La sanità, l’assistenza agli anziani, l’accoglienza dei profughi vedono ogni giorno organizzazioni e persone che fanno al meglio il loro dovere.
L’opinione pubblica ha il diritto di sapere dalle istituzioni chi fa e chi non fa il proprio dovere, chi specula e chi invece spende bene i soldi pubblici. Non solo che le procedure sono state seguite.
Non basta coprirsi le spalle. Dalle istituzioni i cittadini hanno il diritto di pretendere la sostanza del controllo, non solo la forma.
Perché questi ignobili container?
Infine, dobbiamo chiederci, essendo quello di Marco anche il campo della Protezione civile, quanto ci vuole a montare qualche casetta prefabbricata in più (visto che quelle che ci sono, a quanto pare, non bastano) per togliere i richiedenti asilo da quegli ignobili container e ospitarli in spazi più decenti?
La Protezione civile trentina è capace di montare scuole e villaggi prefabbricati in poche settimane in qualsiasi parte d’Italia, come ha dimostrato magistralmente in occasione dell’ultimo terremoto. Non possiamo utilizzarla allo stesso modo in casa nostra? Non è forse incomprensibile che non lo si faccia?
Pubblicato sul quotidiano «l’Adige» il 5 gennaio 2018