I  “sacchi di sillogismi” di Emmanuel Mounier

E. Mounier

“Questi esseri curvi che si avvicinano alla vita di sbieco e con gli occhi bassi, queste anime sgangherate, questi calcolatori di virtù, queste vittime domenicali; questi devoti codardi, questi eroi linfatici; questi teneri bebè, queste vergini sbiadite, questi vasi di noia, questi sacchi di sillogismi, queste ombre di ombre, possono forse essere l’avanguardia di Daniele in marcia contro la bestia?” (Emmanuel Mounier)

 

Con chi se la prendeva Mounier nei primi anni ’40 quando scriveva queste aspre parole? Forse con i miti, i puri di cuore, i poveri in spirito, i deboli, gli sconfitti di questo mondo?

No, se la prendeva con la caricature di quei beati che il Discorso della montagna ha innalzato una volta per sempre al rango di veri eroi.

Se la prendeva con un cristianesimo debilitato da troppe infiltrazioni borghesi e decadenti. Preoccupato delle piccole virtù e dei piccoli peccati domestici, perseguitato dai sensi di colpa, chiuso in se stesso, per nulla amante dell’aria aperta, dell’avventura, timoroso delle contraddizioni e degli scontri, perfezionista (all’apparenza) quanto impotente (nella sostanza).

Che ha a che fare questo Cristianesimo, si chiedeva Mounier, con il paradosso inaudito dell’Incarnazione e con lo scandalo fecondo della Trascendenza?

Come potranno questi cristiani “far fronte”, come il biblico Daniele, alla bestia, agli idoli maligni e potenti del mondo in nome di un’altra signoria?

La bestia è il potere ingiusto, è l’oro che corrompe, è l’esaltazione dell’amore di sé che distrugge gli altri, è il Male, ogni male.

Ma è anche la disperazione, la mancanza di senso, il nulla, idolo diabolico non meno terribile degli altri.

E come potranno affrontarlo in nome della loro Promessa di senso “questi vasi di noia”, “queste vittime domenicali”, “questi sacchi di sillogismi”?

Le domande di Mounier non sono per niente datate e le sue parole, per quanto situabili nel clima “eroicizzante” di quegli anni, sanno ancora salutarmente scuotere.

Con lui dobbiamo dire, anche oggi, che

si trova nel mondo, più spesso di quanto convenga, sotto il nome di cristianesimo, un codice di condotta morale e religiosa la cui preoccupazione principale sembra quella di scoraggiare gli slanci, di colmare gli abissi, di schivare l’audacia, di svuotare la sofferenza, di ricondurre a una conversazione domestica i richiami dell’Infinito…

 

 

Di fronte a questo cristianesimo anemico, Mounier indicava le correzioni necessarie per restituirlo all’originario vigore: non maledite la vita, ma amatela, perché l’Incarnazione impone il realismo, l’amore della realtà; per questo non disprezzate il bisogno di affermazione e la ricerca dell’efficienza:

L’estremismo cristiano non si incontra quasi mai con l’estremismo degli utopisti, perché è un estremismo dell’Incarnazione ad ogni costo, e sceglie sempre nella realtà e per la realtà;

non ponete gli ideali troppo in alto, talmente in alto da rinunciare subito ad alzarvi di un poco: il perfezionismo è nemico della vera vita e i santi sono stati i primi a saperlo; non lasciatevi mortificare dai sensi di colpa, passate oltre, volate pagina; non fate finta di ignorare gli istinti ma, accettandoli, disciplinateli; amate l’indipendenza e il rischio e sappiate assaporare il gusto forte della libertà; non temete di farvi dei nemici perché è inevitabile: amateli comunque, vi è chiesto questo; non preoccupatevi troppo della vostra individualità: l’individualista è chino su di sé, la persona creativa è invece protesa fuori di sé:

La casa borghese è una casa chiusa, il cuore borghese un cuore riservato e pieno di preoccupazioni. Vorrebbero fare della Chiesa cattolica e apostolica un retrobottega, un salotto confidenziale dove virtù anemiche sonnecchiano nell’ombra delle tende ignorando tutto ciò che non è il pettegolezzo confessionale, i pensieri del Cenacolo, le confidenze sterili di vite solitarie;

non confondete la fede con una banale certezza che ignora la disperazione e l’angoscia:

Il tempo spirituale non è uno svolgimento continuo di consolazioni, una fioritura felice e spontanea. Non è scandito nella categoria della felicità né in quella del progresso. È fatto di salti violenti, di crisi e di notti che interrompono rari istanti di pianezza e di pace. Somiglia più al tempo del poeta che a quello dell’ingegnere. Vi si potrebbe porre questa iscrizione: alla certezza attraverso l’ambiguità, alla gioia attraverso la desolazione, alla luce attraverso la notte. Sul limite, la mistica dirà: alla pienezza del Tutto attraverso la prova del Nulla.

Non un cristianesimo eroico e vitalistico, dunque, quello invocato da Mounier. Ma un cristianesimo che vuole davvero fare i conti, senza barare, con lo scandalo fecondo della Trascendenza e il paradosso inaudito dell’Incarnazione.

Dopotutto, le sue aspre parole non sono altro che un’eco di quelle, roventi, dell’Apocalisse:

Così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo, né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo. Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca (Ap 3, 14-15).

 

(Tulle le citazioni di Mounier sono tratte da E. Mounier, L’avventura cristiana, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1951, 2^ edizione 1991)

 

Pubblicato su “Il Margine”, n. 6, 1990. Nota bibliografica aggiornata al 2020.