Perché leggere Dostoevskij (un invito ai giovani)

Leggere Dostoevskij vuole dire entrare in un mondo nuovo. Ed uscirne diversi. Più profondi, forse più complicati, certamente meno banali.

Per questo i libri di Dostoevskij sono uno dei più potenti antidoti alla stupidità e alla superficialità da cui siamo fin troppo perseguitati.

Chi ha attraversato l’universo di Dostoevskij ha visto una volta per sempre quanto sia grande il  mistero dell’uomo e quanto poco le nostre formule classificatorie, i nostri giudizi e pregiudizi, le nostre etichette scientifiche, politiche, sociologiche siano del tutto incapaci di definirlo, di catturarlo.

Ha intravisto una volta per sempre quanto siamo vasti, più vasti della nostra posizione sociale, del nostro quoziente di intelligenza, del nostro credo politico, della nostra fede. E come poco ci conoscano gli altri, e come poco ci conosciamo noi stessi.

Buoni e cattivi, credenti e atei, santi e peccatori, felici e disperati, eroi e vigliacchi, realisti e sognatori: siamo un po’ di tutto questo, ci ricorda Dostoevskij, e non è vero che il mondo sia diviso tra gli uni e tra gli altri.

Ciascuno di noi è il mondo, e dentro ciascuno di noi, anche dentro l’essere più malvagio, più insignificante c’è tutto il mondo con le sue squallide miserie e la sua sete di redenzione, la sua disperazione e la sua ricerca di salvezza.

Sì, siamo più complicati di quanto sembriamo e perfino crediamo di essere. Dostoevskij ci spalanca le porte sulla verità dell’uomo, sulla nostra verità. Lo spettacolo non è sempre esaltante, ma è spesso sorprendente. Là dove noi siamo soliti mettere un punto, il grande scrittore russo mette una virgola e continua il discorso, rivelandoci nuove, insospettate dimensioni.

Ed è solo guardando con totale onestà la verità più profonda dell’uomo, senza indietreggiare di fronte alle scoperte più inquietanti e sconvolgenti, che si può sperare nella salvezza.

Nell’ipocrisia che dipinge una realtà falsamente consolatoria, può nascere solo una salvezza falsamente consolatoria.

Solo quando si è attraversato la notte oscura delle nostre miserie e della inappagata ricerca di redenzione, si può scorgere la luce non ingannatrice della Salvezza autentica, ed aderirvi, sinceramente, totalmente.

Con insuperata genialità narrativa Dostoevskij ci illumina su queste fondamentali verità della nostra vita e non c’è avventura culturale più avvincente, umanamente e spiritualmente, di quella che ci propongono i suoi romanzi.

E come ogni avventura che si rispetti, anche questa esige una gradualità nell’avvicinarsi alla meta.

La meta, in questo caso, sono I fratelli Karamazov, culmine della creatività del grande Fëdor Michailovic. Ma è bene arrivarci più tardi.

 

Il grande romanzo uscì nel 1880. Dostoevskij morì l’anno dopo, il 9 febbraio 1881 (28 gennaio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia). Era nato l’11 novembre 1821 (30 ottobre secondo il calendario Giuliano).

 

Meglio cominciare con un romanzo come Umiliati e offesi che servirà  a sciogliere i muscoli prima di affrontare le grandi e più impegnative cime dell’universo dostoevskijano. Un romanzo chiaramente introduttivo, che aiuta a familiarizzare con quello straordinario mondo di temi, personaggi, situazioni.

Umiliati e offesi uscì a puntate nel 1861 sulla rivista”Il tempo” che Dostoevskij aveva fondato insieme con il fratello Michail.

E del classico romanzo d’appendice dei primi decenni dell’800, Umiliati e offesi ha proprio tutto: intrigo, mistero, amore, colpi di scena, giovani ingenui perseguitati dal malvagio, personaggi strani…

 

Dostoevskij iniziò a scrivere “Umiliati e offesi” nel 1860 poco dopo aver lasciato alle spalle la drammatica esperienza dei lavori forzati e dell’esilio.

 

I chilometrici sceneggiati televisivi del girono d’oggi non hanno proprio inventato nulla, e questo romanzo può ben dirsi un fortunato serial dell’800. Naturalmente scritto da un genio, e per di più russo, di quella grande Russia immensamente ricca di spiritualità, di vitalità popolare, di atmosfere vaste e profonde.

I personaggi del romanzo non hanno ancora la consistenza delle grandi figure dei successivi romanzi, e la vicenda è più tesa al movimento che alla profondità.

Ma il libro avvince, ha momenti altamente suggestivi e quel che più conta aiuta a prendere familiarità con Dostoevskij.

L’inizio, poi, è bellissimo, con quel vecchio e quel cane misteriosi che si trascinano ogni sera nella pasticceria di Miller, sulla prospettiva Voznesenskij a Pietroburgo, e se ne stanno là dentro, accanto a una finestra, per quattro ore, muti, immobili… Finché una sera…

 

 

Questo scritto è stato pubblicato nel volumetto “Con lo zaino in spalla” pubblicato dal settore giovani dell’Azione Cattolica (Roma, editrice A.V.E., giugno 1989).