«MIO FIGLIO DON MILANI». La splendida intervista rilasciata da Alice Milani Weiss a p. Nazzareno Fabbretti (“Il Resto del Carlino”, 8 luglio 1970)

Don Lorenzo Milani (Firenze 1923-1967) con la madre Alice Weiss Milani (Trieste 1895-Firenze 1978).

«No, non credo in Dio. Sono ebrea, ma non credente e praticante. Anche se la Chiesa cattolica ha sempre avuto su di me una grande attrazione, vivo, religiosamente, come tanti altri, sulla “terra di nessuno”. Per quanto il caso di mio figlio mi abbia colpito profondamente, non gli ho mai detto, né allora né dopo, una sola parola che lo potesse condizionare nella sua libertà. Io ho sempre rispettato la sua libertà e lui la mia.» (Alice Weiss Milani)

 

Incontro con la madre del parroco di Barbiana a tre anni dalla sua morte

Intervista a Alice Weiss Milani

di padre Nazzareno Fabbretti

“Il Resto del Carlino”, Bologna, 8 luglio 1970

 

Alice Milani Weiss ha passato la settantina; da parecchi mesi si sta riprendendo da una dolorosa operazione. Ma nulla in lei, nemmeno fisicamente, denota il segno della debolezza. Tutto in lei è fierezza, anche la cortesia attenta con la quale mi ha accettato in casa, sacerdote ma giornalista. Finora non ha mai voluto parlare di Lorenzo con cronisti di nessun genere, salvo un paio di amici del figlio, peraltro bene accolti come amici, non come giornalisti. Seduta su un divano, nel salotto di via Masaccio, a Firenze, in piena canicola, non dimostra né stanchezza né timore. I suoi occhi scuri e attenti disarmano più dei suoi dinieghi. Una domanda del genere se l’aspettava, qualcuno deve avergliela già fatta.

 

Signora Weiss, se prima o poi questa Chiesa imprevedibile, capace di tutto, le facesse lo “scherzo” di canonizzare suo figlio, in che stato d’animo verrebbe a trovarsi lei, atea ed ebrea non praticante?

Non so cosa farà la Chiesa di mio figlio. Ma non importa. Altari o no, Lorenzo resta quello che è, e io non lo vedo diversamente da come l’ho sempre visto. Mi mette a disagio che mi si domandi di lui in quanto sua madre. Ogni parola detta dalla madre, soprattutto a proposito di uno come lui, può acquistare un senso particolare che non mi piace. Io stimavo la Chiesa anche prima che Lorenzo si convertisse e si facesse prete. Certo con lui prete, la Chiesa l’ho stimata anche di più. L’ho conosciuta meglio, soprattutto quando mio figlio ha cominciato a patire tanto proprio per la Chiesa. Ho sofferto, ma non mi sono stupita o scandalizzata. Non mi sono mai illusa che potesse essere il contrario.

 

Quando suo figlio, verso i 19 anni, si è ‘convertito’ e ha detto che voleva farsi prete, qual è stata la sua reazione? È stata favorevole?

No, non è stata favorevole. Mio marito ed io eravamo contrari, abbiamo sofferto di quella scelta. Io, come atea ed ebrea, e anche mio marito, benché cattolico d’anagrafe. Ma non abbiamo detto o fatto nulla per distogliere Lorenzo dal suo proposito. Lo conoscevamo bene, sapevamo che se aveva deciso per quella strada nessuno lo avrebbe potuto dissuadere. Cosa ho provato davanti alla sua conversione? Come dirlo? E poi perché parlarne? Credo che questo appartenga solo a me, al mio cuore e ai miei ricordi. Una cosa come quella è sempre un mistero, e io non posso presumere d’aver capito il mistero della vocazione religiosa di mio figlio.

 

Lo vide come uno sconosciuto, in quel momento?

No, non credo. Io conoscevo bene mio figlio. Sapevo che era capace solo di scelte definitive, totali. In questo senso non era per me uno ‘sconosciuto’. Per il resto, anch’io, davanti alla sua decisione, e a tutto quello che da essa è scaturito dopo, non mi sento neanche in diritto di capire e di dire più degli altri solo perché sono sua madre. Sono una testimone che ha potuto vedere certe cose più da vicino, ecco tutto. Vorrei che non mi si chiedesse di più.

 

Quando Lorenzo fece quella scelta, credette di perderlo o no?

No, lo conoscevo bene mio figlio, la sua devozione. Infatti, non li ho mai persi. Tanti hanno scritto della sua durezza, dell’ironia, della spietatezza di mio figlio, uomo e prete, e per un verso hanno ragione. Non è stato lo stesso Lorenzo a scrivere che “pochi danno amore con la durezza del Signore”. Ma con me Lorenzo fu sempre tenero, affettuoso, devoto. Devoto sì, ecco la parola: la sua per me era una vera devozione. Non mi ha mai preso in giro, non ha mai giocato con me con quei suoi sarcasmi che tanti altri, a loro spese, hanno conosciuto di lui. Non è nemmeno vero che venisse poco a trovarmi. Veniva spesso, certo con sacrificio, per non sottrarre nemmeno un’ora ai ragazzi di San Donato o di Barbiana.

(La signora Alice si alza per mostrarmi la stanza dove Lorenzo morì, il 26 giugno 1967. La donna non ha un tremito nella voce, i suoi occhi sono asciutti). “Vede? è morto qui, in questo letto. E questi alle pareti sono alcuni dei suoi quadri che aveva dipinto a 19 anni quando studiava pittura a Brera. Non sono belli?”. I quadri sono belli, raffigurano angoli della campagna di Firenze. Il disegno è tenue, ma netto. L’impasto dei colori è luminoso e sicuro. La lezione di Rosai non è lontana. Ma sembrano piuttosto le “prove” della fine di un idillio e di una ricerca ad un tempo: un ‘paradiso mai a sufficienza perduto’.

 

È qui che il cardinale di Firenze, Ermenegildo Florit, venne a trovare suo figlio poco prima che morisse?

Si, è in questa stanza che venne il cardinale. Fu una cosa pietosa. Mi sentivo a disagio. Lorenzo era lucidissimo, anche se non poteva parlare e il cardinale non trovava che pietose parole, frasi d’occasione, per aiutarlo. “Offra tutto al Signore… Coraggio…”. Solo per me, ricordo bene, ebbe una parola più umana. Mi disse: “Non le dico di avere pazienza, di pazienza ne ha già avuta tanta”.

 

Come ricorda che cominciò lo scontro di Lorenzo col mondo ecclesiastico in cui entrava?

Forse un anno o due dopo che era entrato in seminario. Vi entrò nel novembre del 1942. I primi tempi fu un ragazzo molto felice, felice come l’avevo visto poche volte. La nostra è una famiglia in cui si è sempre avuto tutto, dal pane alla cultura, dal prestigio al culto delle cose belle. Ma solo in seminario Lorenzo trovò subito ciò che istintivamente cercava con tutto se stesso: una ragione assoluta per vivere, una disciplina costante. Dopo vennero i primi urti, le incomprensioni da parte dei superiori. Lui era docile, ubbidiente come del resto era personalità così singolare, netta, unica nel suo genere che dovette trovare impreparati quelli che dovevano educarlo. Però non fu solo un conflitto di uomini: fu soprattutto uno scontro fra due concezioni di vita del tutto diverse. La ‘laicità’ di mio figlio prima della ‘conversione’ era sempre stata rigorosa e coerente quanto lo fu la sua religiosità dopo; non poteva venire a patti col mondo, accettare compromessi, per nessun motivo.

 

Vista da lei, come nacque la vocazione di suo figlio?

Nacque per gradi. E nacque da un senso di vuoto, d’insoddisfazione. Noi ci si aspettava che prendesse la via accademica, che seguisse la tradizione di famiglia. Invece, dopo il liceo, volle studiare pittura a Brera. Erano gli anni della guerra. Presto si dovette sfollare da Milano, e ritirarci nella nostra villa di Montespertoli, vicino a Firenze. Lui intanto aveva cominciato a interessarsi anche di architettura, oltre che di pittura. Poi, non so come, si ritrovò in mano un libro sulla liturgia cattolica. Se ne entusiasmò, ma, lì per lì si pensò che fosse l’entusiasmo d’un esteta. Invece era accaduto, o stava per accadere qualcosa di assolutamente diverso. Di lì a pochi mesi entrò in seminario.

 

Lei crede in Dio, signora Milani?

No, non credo in Dio. Sono ebrea, ma non credente e praticante. Anche se la Chiesa cattolica ha sempre avuto su di me una grande attrazione, vivo, religiosamente, come tanti altri, sulla “terra di nessuno”. Per quanto il caso di mio figlio mi abbia colpito profondamente, non gli ho mai detto, né allora né dopo, una sola parola che lo potesse condizionare nella sua libertà. Io ho sempre rispettato la sua libertà e lui la mia.

 

Lui non le ha mai parlato di Dio, della fede, dell’aldilà?

Mai, mai una parola. Lorenzo, lei lo sa, non nominava mai il nome di Dio invano. Del resto, ripeto che sono cose di cui non voglio parlare. Ora ho un po’ meno paura, ma appena è morto ne ho avuta parecchia. Voglio dire che ho temuto che alcuni lo potessero strumentalizzare, anche se in buona fede, e se lo volessero annettere. Adesso che è morto, quasi tutti sono d’accordo con lui, non è vero?

 

Lei si dichiara atea, ma sembra che ciò che più le sta a cuore sia Lorenzo come sacerdote.

Infatti è così. Mi preme soprattutto questo: che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa; e che la Chiesa renda onore a lui. Dico, questo, sia chiaro, non solo come madre. Mi rende felice il fatto che le opere di Lorenzo tornino ora più vive che mai -Lettera a una professoressa sta avendo un enorme successo negli Stati Uniti- e che persino il teatro si occupi delle sue proposte politiche e pedagogiche. Ma se non si comprenderà realmente il sacerdote che Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Il suo profondo equilibrio, per esempio, fra durezza e carità.

 

Lei crede agli sviluppi sociali e culturali del pensiero di suo figlio?

Posso anche crederci, ma non è la cosa più importante: è solo la conseguenza di qualcos’altro, molto più profondo e totale. Lorenzo, per esempio (e me lo disse più d’una volta), non avrebbe mai fatto il prete-operaio, come i ‘preti-operai’ francesi. Coi piedi lui era pronto a prendere a calci tutte le ingiustizie che si opponevano alla sua missione di prete, ma nelle mani, soltanto l’ostia tenera (e avvertiva: “Non l’ho deposta per correre sulle barricate”). Non a caso queste parole concludono Esperienze pastorali, il suo primo libro contestato, proibito, denunziato.

Alice Milani si rende conto che sta infervorandosi e aprendosi alle confidenze che più attendevo e speravo. Ha quasi un timore improvviso per ciò che mi sta dicendo. Cerca una foto in un cassetto: è Lorenzo in mezzo ai soliti ragazzi: ma la foto è rara: Lorenzo sta sorridendo. Insisto.

 

Signora Milani, un santo così come suo figlio, lei, se pregasse, lo pregherebbe?

Non voglio dir nulla. Ogni parola della madre potrebbe complicare, non semplificare le cose. Voglio solo che Lorenzo sia conosciuto meglio. Che si dica anche della sua allegrezza (…). Il resto non tocca a me. Tocca semmai a quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire, ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me il mistero più profondo di mio figlio.