La nonviolenza non è mai neutralità, passività, viltà. Le parole di Gandhi, mentre le bombe russe uccidono donne e bambini in Ucraina

M. K. Gandhi

Di fronte all’invasione criminale dell’Ucraina da parte dell’esercito russo non ci può essere nessuna neutralità, nessuna passività, nessuna viltà. La persona nonviolenta si schiera sempre con chi è aggredito e resiste all’aggressione. Circola un’idea di nonviolenza come rassegnata contemplazione del crimine. Come equidistanza. Come vaga predica di pace mentre l’aggressore invade e massacra. Questa non è nonviolenza. Questa è vigliaccheria e non ha posto nel pensiero nonviolento di Gandhi. La nonviolenza è sempre resistenza all’aggressione e all’oppressione. Dando la propria vita, non chiedendo che la diano gli altri, mentre noi ce ne stiamo tranquilli davanti alla televisione. Ecco una scelta di brani tratti dagli scritti di Gandhi. Intanto le bombe, i carri armati e i missili di Putin uccidono donne e bambini ucraini. E centinaia di migliaia di profughi fuggono. Un crimine contro l’umanità.

 

LA NON-VIOLENZA NON È MAI VILTÀ

Piccola antologia del pensiero di Gandhi

A cura di Vincenzo Passerini, www.itlodeo.info, 1 marzo 2022

 

Parte I

Brani tratti da M. K. Gandhi, Teoria e pratica della non-violenza, a cura e con un saggio introduttivo di Giuliano Pontara, traduzione di Fabrizio Grillenzoni e Silvia Calamandrei, nuova edizione, Einaudi, Torino 1996.

 

Sono un comune mortale

«…Non sono un profeta, sono soltanto un comune mortale che procede dall’errore verso la verità.» (“Harijan”, 3 giugno 1939)

 

Il significato profondo della non-violenza (satyagraha)

« Il suo significato profondo è l’adesione alla verità, e dunque la forza della verità. Lo ho definito anche forza dell’amore o forza dell’anima. Nell’applicazione del satyagraha ho scoperto fin dai primi momenti che la ricerca della verità non ammette l’uso della violenza contro l’avversario, ma che questo deve essere distolto dall’errore con la pazienza e la comprensione. Infatti ciò che sembra la verità ad uno può sembrare un errore ad un altro. E pazienza significa disposizione a soffrire. Dunque il senso della dottrina è la difesa della verità attuata non infliggendo sofferenze all’avversario ma a se stessi. » (“Young India”, 14 gennaio 1920)

 

Il non-violento si libera interiormente dei mali che vuole combattere nella società

«Il satyagraha [la non-violenza] richiede da parte di chi intende praticarlo l’autodisciplina, l’autocontrollo, l’autopurificazione … Dunque una persona che afferma di essere un satyagrahi deve tentare costantemente, attraverso un’attenta e devota ricerca interiore e autoanalisi, di comprendere se è o meno completamente libero dall’ira, dal malanimo e dalle altre simili debolezze umane, se è o meno capace egli stesso di quegli stessi peccati contro i quali ha bandito una crociata. »

 

La non-violenza non è mai viltà

« Credo che nel caso che l’unica scelta possibile fosse quella tra la codardia e la violenza, io consiglierei la violenza. Ad esempio quando mio figlio maggiore mi chiese quello che avrei dovuto fare se fosse stato presente quando nel 1908 fui aggredito e quasi ucciso, se avesse dovuto fuggire e vedermi uccidere oppure avesse dovuto usare la sua forza fisica, come avrebbe potuto e voluto, e difendermi, io risposi che sarebbe stato suo diritto di difendermi anche facendo ricorso alla violenza.

In base a questo stesso principio ho partecipato alla guerra contro i boeri, alla cosiddetta ribellione degli zulù e all’ultima guerra. E sempre per questo stesso principio mi sono dichiarato favorevole all’addestramento militare di coloro che credono nel metodo della violenza. Preferirei che l’India ricorresse alle armi per difendere il suo onore piuttosto che, in modo codardo, divenisse o rimanesse testimone impotente del proprio disonore.

Tuttavia sono convinto che la non-violenza è infinitamente superiore alla violenza, che il perdono è cosa più virile della punizione. La clemenza nobilita il soldato. Ma si ha vera clemenza soltanto quando esiste il potere di punizione; essa è priva di senso quando proviene da una creatura impotente. È difficile che un topo perdoni un gatto mentre viene fatto a pezzi da questo. » (“Young India”, 11 agosto 1920)

 

Ciascuno deve giudicare da solo, ma nessuna codarda sottomissione

«Molti lettori mi chiedono se nella violenza da me “permessa” possono essere incluse varie cose che essi menzionano. Strano a dirsi tutte le lettere che ho ricevuto a tale proposito sono scritte in inglese! Se gli autori delle lettere leggeranno il mio articolo comprenderanno immediatamente perché non posso rispondere alle loro domande. Non sono in grado di rispondere probabilmente per il semplice fatto che non ho mai praticato la violenza. Soprattutto non ho mai considerato la violenza come una cosa permessa. Ho semplicemente distinto tra il coraggio e la codardia. L’unica cosa lecita è la non-violenza. La violenza non può mai essere lecita nel senso che io intendo, ossia non rispetto alla legge fatta dalla natura per l’uomo.

Tuttavia, sebbene la violenza non sia lecita, quando viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi essa è un atto di coraggio di gran lunga migliore della codarda sottomissione. Quest’ultima non reca beneficio a nessun uomo e a nessuna donna. Nella violenza esistono molti gradi e varietà di coraggio. Ciascun uomo deve saperli giudicare da solo. Nessun altro può farlo o ha il diritto di farlo al suo posto.» (“Harijan”, 27 ottobre 1946)

 

“Denunciai pubblicamente la loro condotta perché lasciarono i loro cari alla mercé dei saccheggiatori”

« Ho notato che spesso le persone deboli invocano a giustificazione delle loro azioni la fede nel Congresso o nei principi da me predicati, quando a causa della loro codardia, si rivelano incapaci di difendere il loro onore e quello di coloro che avrebbero dovuto proteggere.

Ricordo un incidente avvenuto vicino a Bettiah, quando la non-collaborazione era al suo apice. Erano state saccheggiate le case di alcuni abitanti di un villaggio. Questi erano fuggiti lasciando le mogli, i figli e i parenti alla mercé dei saccheggiatori. Quando io li rimproverai per la codardia che avevano dimostrato non compiendo il loro dovere, essi impudentemente si appellarono alla dottrina della non-violenza. Io denuncia pubblicamente la loro condotta e affermai che la mia non-violenza giustificava pienamente la violenza usata da coloro che credevano nella non-violenza e che erano chiamati a difendere l’onore delle loro donne e dei loro bambini.

La non-violenza non è una giustificazione per il codardo, ma è la suprema virtù del coraggioso. La pratica della non-violenza richiede molto più coraggio della pratica delle armi. La codardia è assolutamente incompatibile con la non-violenza.» (“Young India”, 12 agosto 1926)

 

Chi non è in grado o non può praticare la non-violenza

« E poiché all’ahimsa [non-violenza] soggiace l’unità di tutto il creato, l’errore di uno non può non contagiare tutti, e dunque l’uomo non può essere completamente libero dall’himsa [violenza]. Finché egli rimane un essere sociale, non può fare a meno di essere partecipe dell’himsa [violenza] che l’esistenza della società implica. Quando due nazioni si combattono, il dovere di un seguace dell’ahimsa [non-violenza] è di far cessare la guerra. Chi non è in grado di assolvere questo dovere, chi non ha la forza necessaria per resistere alla guerra, chi non ha il potere di resistere alla guerra, può prendere parte alla guerra e tuttavia tentare con tutte le sue forze di liberare se stesso, il proprio paese e il mondo dalla guerra. » (Autobiography, p. 257 – ed. it. La mia vita per la libertà. L’autobiografia del profeta della non-violenza, a cura di Bianca Vittoria Franco, Newton Compton, Roma 2021, p. 261)

 

Il falso seguace della non-violenza

« Un falso seguace della non-violenza non rimane in un villaggio che viene assalito ogni giorno da un leopardo. Se ne va e, quando qualcuno ha ucciso il leopardo, ritorna a prendere possesso dei suoi averi e della sua casa. Questa non è non-violenza. È la violenza del codardo. L’uomo che ha ucciso il leopardo almeno ha dato prova di un qualche coraggio. L’uomo che trae vantaggio da tale uccisione è un codardo. Egli non potrà mai conoscere la vera non-violenza.

Nella vita è impossibile eliminare completamente la violenza. Si pone il problema di dove deve essere tracciata la linea di demarcazione tra violenza e non-violenza. Tale linea non può essere la stessa per tutti. » (“Harijan”, 9 giugno 1946)

 

Limitare il più possibile la violenza

« A rigor di termini, nessuna attività e nessuna occupazione è possibile senza un certo grado, per quanto limitato, di violenza. La stessa vita è impossibile senza un certo grado di violenza. Ciò che dobbiamo fare è limitare questa violenza quanto più possibile. In effetti la stessa espressione “non-violenza”, un’espressione negativa, sta ad indicare uno sforzo diretto ad eliminare la violenza che è inevitabile nella vita. » (“Harijan”, 1 settembre 1940)

 

Vi possono essere delle differenze di opinione

Io non faccio distinzioni, dal punto di vista dell’ahimsa [non-violenza], tra combattenti e non combattenti. Chi si pone volontariamente al servizio di una banda di briganti facendo loro da portatore, facendo loro da sentinella mentre compiono le loro imprese, o curandoli quando sono feriti, è colpevole quanto i briganti. Allo stesso modo chi si limita a curare i feriti di una battaglia non può essere assolto dalla colpa di partecipare alla guerra.

Avevo prospettato a me stesso l’intera questione prima di ricevere il telegramma di Polak, e subito dopo averlo ricevuto discussi il mio punto di vista con numerosi amici, giungendo alla conclusione che era mio dovere partecipare alla guerra. Ancora oggi non credo che la mia posizione fosse errata, né rimpiango la mia scelta, dal momento che allora ero convinto della necessità di mantenere i legami con gli inglesi.

So che anche allora non riuscii a convincere tutti i miei amici della correttezza della mia posizione. Il problema è complesso. Vi possono essere delle differenze di opinione, e dunque io ho esposto la mia posizione nel modo più chiaro possibile a coloro che credono nell’ahimsa [non-violenza] e che stanno compiendo seri sforzi per praticarlo in tutti i campi della vita. Un seguace della verità non deve far nulla in omaggio alle convenzioni. Deve essere sempre pronto a correggersi, ogniqualvolta si rende conto di essere in torto deve confessarlo senza pensare alle conseguenze e fare ammenda. » (Autobiography, p. 258 – ed. it. La mia vita per la libertà. L’autobiografia del profeta della non-violenza, a cura di Bianca Vittoria Franco, Newton Compton, Roma 2021, p. 262)

 

 Parte II

Brani tratti da M. K. Gandhi, Il mio credo, il mio pensiero, Newton Compton, Roma 1995.

 

Mai strisciare come un verme agli ordini di un prepotente

« Ho ripetuto infinite volte che chi non sappia proteggere se stesso o i propri vicini e cari o il loro onore, affrontando in modo non-violento la morte, può e dovrebbe farlo affrontando con violenza l’oppressore. Chi non sappia fare né una cosa né l’altra è un peso. Non è degno di essere il capo di una famiglia. Dovrebbe o nascondersi o accontentarsi di vivere in perpetua impotenza, pronto a strisciare come un verme agli ordini di un prepotente.» (“Young India”, 11 ottobre 1928)

 

Un codardo non può ripararsi dietro la non-violenza

«Non si può insegnare la non-violenza a una persona che abbia paura di morire e che non sia capace di resistenza. Un topo inerme non è non-violento perché si lascia sempre mangiare dal gatto. Mangerebbe volentieri il suo assassino, se potesse, ma cerca sempre di scappare da lui. E non lo definiamo un vile, perché per natura non potrebbe comportarsi meglio di come fa.

Ma un uomo che, di fronte al pericolo, si comporti come un topo, può essere giustamente definito un codardo. Egli alberga violenza e odio nel suo cuore e, se potesse, ucciderebbe il suo nemico senza nuocere a se stesso. È estraneo alla non-violenza. Ogni ragionamento sulla non-violenza sarebbe tempo perso con lui. Il coraggio è estraneo alla sua natura. Prima che possa capire la non-violenza, occorrerebbe insegnargli a resistere e anche a sopportare la morte, nel tentativo di difendere se stesso contro l’aggressore che minaccia, appunto, di schiacciarlo. Agire altrimenti sarebbe consolidarlo nella sua viltà e allontanarlo ulteriormente dalla non-violenza.

Mentre non posso, di fatto, aiutare nessuno a vendicarsi, non devo permettere che un codardo cerchi riparo dietro una presunta non-violenza. Non conoscendo la stoffa di cui è fatta la non-violenza, molti hanno onestamente creduto che fuggire regolarmente dal pericolo, anziché opporre resistenza, fosse una virtù, specialmente in caso di serio rischio della propria vita. Come maestro della non-violenza devo mettere in guardia, per quanto mi è possibile, contro una tale convinzione indegna di un uomo.» (“Harijan”, 20 luglio 1935).

 

 Bancarotta di fede

«Scappare dal pericolo, invece di affrontarlo, è negare la propria fede nell’uomo e in Dio, e perfino in se stessi. È preferibile morire annegati piuttosto che vivere per dichiarare una tale bancarotta di fede. » (“Harijan”, 24 novembre 1946)

 

La non-violenza è una forza estremamente attiva

« Il mio credo nella non-violenza è una forza estremamente attiva. Non lascia spazio alla viltà e nemmeno alla debolezza. Un violento può sempre sperare di diventare, un giorno, non-violento, un vile no. Ho detto, perciò, più di una volta… che, se non sappiamo difendere noi stessi, le nostre donne e i nostri luoghi di adorazione con la forza della sopportazione, cioè della non-violenza, dobbiamo essere almeno in grado di difenderli tutti combattendo.» (“Young India”, 16 giugno 1927)

 

La via della violenza minore

« Il mondo non è governato interamente dalla logica. La vita stessa implica una qualche sorta di violenza e a noi non resta che scegliere la via della violenza minore. » (“Harijan”, 28 settembre 1934)

 

Mai piegarsi alla violenza dell’aggressore

«Il vero significato della non-violenza è stato spesso travisato o addirittura distorto. Non implica mai che il non-violento debba piegarsi alla violenza di un aggressore. Mentre non risponde alla violenza di quest’ultimo con la violenza, egli dovrebbe rifiutarsi di sottostare alle sue pretese illegittime, anche a costo di morire. Questo è il vero significato della non-violenza… » (“Harijan”, 30 marzo 1947)

 

Il non-violento si schiera con l’aggredito e offre la sua vita per salvarlo

« Se ogni forma di violenza è negativa e va condannata in astratto, chi crede nell’ahimsa [non-violenza] è autorizzato, addirittura tenuto, a distinguere tra aggressore e aggredito. Dopo di che, egli si schiererà a fianco di chi si difende in maniera non-violenta, offrendo la sua vita per salvarlo. È probabile che il suo intervento acceleri la fine del duello, e possa addirittura sfociare nella pace tra i contendenti.» (“Harijan”, 21 ottobre 1939)

 

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