L’Afghanistan nelle parole di Gino Strada vent’anni fa: un dramma infinito nell’infinito gioco delle grandi potenze

Gino Strada accanto a uno dei moltissimi bambini che ha assistito e curato in tanti Paesi di guerra.

Gino Strada, chirurgo di guerra e fondatore di Emergency, ci ha lasciato il 13 agosto 2021 dopo aver dedicato tutta la vita alle vittime di guerra e alla battaglia contro ogni guerra.

L’Afghanistan è stato uno dei primi Paesi ai quali Gino Strada ha dedicato tutto se stesso, la sua professione, la sua generosità, la sua grande umanità.

Un dramma infinito nell’infinito gioco delle grandi potenze

In queste settimane e in questi giorni l’Afghanistan è tornato a riempire le cronache di vittime innocenti, distruzioni, profughi.

Ricordiamo Gino Strada riproponendo una parte della sua introduzione al libro di Giulietto Chiesa e Vauro Afghanistan anno zero, pubblicato da Guerini e Associati nel 2001.

Attenzione: il libro è andato in stampa  prima dello spaventoso attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e la data dell’Introduzione di Gino Strada è il 3 settembre 2001.

Il cuore dell’Introduzione di Strada è: gli americani e i loro alleati hanno armato e addestrato i mujaheddin, combattenti della Jihad, la guerra santa dell’Islam, in funzione antisovietica. E poi questi si sono diffusi in altri Paesi e si sono rivoltati contro gli americani stessi e contro l’Occidente.

Quello che è successo dopo:  l’attentato dell’11 settembre,  i bombardamenti americani sull’Afghanistan, la guerra dell’Occidente contro i talebani, la sconfitta dell’Occidente sono una tragica conferma dell’analisi di Gino Strada.

 

Dall’ Introduzione di Gino Strada

“Da sempre l’Afghanistan è stato un crocevia fondamentale tra la Cina, l’India, l’Asia centrale e l’Europa. Attraverso la ‘Via della Seta’ e le sue diramazioni sono passati oro e argento, tessuti e lapislazzuli, cotone e spezie, ambre e coralli, lana e pellicce.

E, fin da allora, anche armi e droghe …

Dall’inizio del diciannovesimo secolo, la Russia zarista, gli eserciti della corona britannica, persino Napoleone Bonaparte, hanno a lungo inseguito il miraggio di impossessarsi delle ricchezze dell’India.

Ignorando, quasi sempre a loro spese, che per afferrare la preda bisognava fare i conti con l’Afghanistan. E’ stato il Great Game [Grande gioco] dell’Asia centrale, durato più di un secolo, che si è in realtà rivelato una grande carneficina …

L’Afghanistan è stata la scacchiera sulla quale si è dovuto – o meglio voluto – giocare partite sempre più difficili e rischiose, e soprattutto devastanti per la popolazione.

 

Il libro di Giulietto Chiesa e Vauro, “Afghanistan anno zero”, con l’introduzione di Gino Strada, Guerini e Associati, Milano 2001.

 

Ma le lezioni della storia, sembra proprio vero, sono le più difficili da imparare.

Così ci hanno provato in molti, dai sovietici agli Stati Uniti, al Pakistan, per citare solo i protagonisti più recenti.

 

Gli americani armano e addestrano i fondamentalisti islamici in funzione antisovietica

“Il presidente ha firmato una direttiva per fornire aiuti clandestini ai nemici del regime filosovietico di Kabul” ebbe a dichiarare Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale Usa.

Il presidente era il democratico Carter e la data della firma il 3 luglio 1979.

Già sei mesi prima dell’invasione sovietica dell’Afghanistan.

“Ho scritto una nota al Presidente spiegandogli che, a mio avviso, questa decisioni avrebbe avuto come conseguenza un intervento militare sovietico”: stiamo sempre citando Brzezinski, che conclude con candore: “Non abbiamo spinto i sovietici a intervenire, abbiamo solo consapevolmente aumentato le probabilità che lo facessero…cadendo nella trappola afghana”.

E gli aiuti? Ricordo ancora le colonne di camion color arancio, accuratamente sigillati, che da Quetta, Pakistan, percorrevano le strade polverose che portano a Spin Boldak, Afghanistan.

Sulla fiancata, una grande scritta nera, NLC, National Logistic Cell, una compagnia di trasporti di proprietà del servizio segreto pakistano.

Dentro i camion armi, naturalmente, di ogni tipo.

Molte erano armi “russe”, o meglio copie esatte di armi sovietiche prodotte in una fabbrica messa in piedi dalla Cia non lontano dal Cairo e poi spedite dall’Egitto al Pakistan.

Non si sa mai, meglio non trovare armi Usa in mano a tipi poco raccomandabili, e soprattutto che nessuno possa puntare il dito contro i campioni della libertà per aver fornito armi al Pakistan …

 

La guerra per procura: farla fare agli altri

Per anni Stati Uniti e Arabia Saudita hanno praticato la tecnica del “making funds” – se tu ci metti un dollaro, o un miliardo di dollari, io ce ne metto altrettanti – per finanziare il reclutamento, l’armamento, l’addestramento dei combattenti della Jihad, della guerra santa.

E il Pakistan ha aperto le porte ai “fratelli” musulmani desiderosi di raggiungere l’Afghanistan per battersi in nome dell’Islam. Egiziani, sudanesi, palestinesi, algerini, iracheni, yemeniti, magrebini, persino filippini hanno raccolto l’appello, oltre beninteso a un gran numero di pakistani.

Per anni, bastava presentarsi a una ambasciata del Pakistan e dichiararsi volontari della Jihad per ottenere un biglietto aereo e un documento di viaggio: destinazione Peshawar, nel nord est pakistano.

Ad attendere i volontari a Peshawar, prima di essere smistati nei vari campi di addestramento alle tecniche della guerriglia e del terrorismo, c’era, tra gli altri un certo Osama Bin Laden…

Così, quando la notte di Natale del 1979 le truppe sovietiche attraversano l’Amu Darya, il mitico fiume Oxus che allora segnava il confine con l’Urss, la trappola è pronta.

Il Great Game può continuare, la guerra fredda diventa guerra per procura, per commissione. Facciamo fare ad altri quello che vorremmo fare noi, così evitiamo guai e accuse nel caso l’operazione fallisca: è stata la dottrina di Henry Kissinger.

 

Osama Bin Laden da amico diventa nemico dell’Occidente

E il grande massacro, con una posta in palio diversa, continua tuttora …

Il risultato è che i sovietici se ne sono andati, sconfitti dalla guerra per procura, mentre i vincitori – i mujaheddin [partigiani islamici, combattenti della guerra santa] – la guerra non l’hanno ancora smessa dodici anni dopo la ritirata sovietica.

Anzi, molti di loro l’hanno anche importata, al loro rientro, nei Paesi d’origine.

Già, è successo anche questo, che dall’Algeria alle Filippine, dalla Cecenia al Sudan – per citare solo alcuni casi – i veterani della Jihad afghana si sono messi a organizzare la loro Jihad casereccia.

E quel tale Osama, prima in buoni rapporti con la Cia, ha finito col dichiarare apertamente guerra …agli Stati Uniti!

 

I morti, i mutilati, i profughi

E l’Afghanistan, in tutto questo? E gli afghani? Che cosa è successo a quel popolo di poco meno di venti milioni di persone?

1.5000.000 morti, 1.000.000 di mutilati, 4.000.000 di profughi.

E’ un paese distrutto, Kabul che assomiglia a Coventry dopo i bombardamenti, 8.000.000 di mine antiuomo ancora lì, pronte a uccidere nei prossimi decenni …

Aspettando che la guerra finisca, che la fame finisca, che si possa studiare, che arrivi un po’ di libertà, che si intraveda qualche bagliore di diritti umani.

Tra spie e terroristi, fanatici e fondamentalisti di ogni specie, trafficanti di droga e di armi. Gli afghani aspettano, aspettano.”

3 settembre 2001