Trent’anni di carcere per la strage di Pizzolungo

Carlo Palermo

La verità sulla strage di Pizzolungo, vicino a Trapani, del 2 aprile 1985 , in cui doveva morire il giudice Carlo Palermo, ben noto ai trentini, e in cui morirono invece una madre e i suoi due figli, ha fatto un altro passo in avanti.

Dopo 35 anni.

 

L’altro ieri il gup di Caltanissetta Valentina Balbo, nel corso del quarto processo sulla strage, ha accolto le richieste dei pm e ha condannato a trent’anni di carcere quale mandante (uno dei mandanti) della strage Vincenzo Galatolo, già in carcere col 41 bis e condannato per l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Quel 2 aprile l’auto blindata sulla quale viaggiava Palermo sorpassò l’automobile su cui viaggiava Barbara Rizzo Asta coi suoi due gemellini di 6 anni, Giuseppe e Salvatore, proprio nel punto in cui le due macchine affiancavano un’autobomba ferma che esplose in quel momento.

Per Barbara Rizzo e i suoi bambini non ci fu scampo. L’auto della donna fece da scudo a quella di Palermo che rimase ferito.

Il magistrato fu per tale motivo l’unico a sopravvivere a un attentato di questo tipo. Un’autobomba aveva ucciso a Palermo due anni prima il giudice Rocco Chinnici, primo ideatore del pool antimafia, e un’autobomba avrebbe  ucciso nel 1992 Giovanni Falcone e poco dopo Paolo Borsellino.

 

Nel libro, pubblicato da Publiprint nel 1992, Carlo Palermo ricostruisce le sue inchieste e l’attentato di Pizzolungo che provocò la strage. La verità ha fatto un altro passo in avanti. Dopo 35 anni.

 

Dalle ferite, soprattutto interiori, Carlo Palermo non riuscì più a guarire. Quelle tre vittime innocenti non riuscì più a “perdonarsele”.

Quante volte, nei tanti incontri pubblici insieme a lui, affollatissimi, in Trentino, nei primi anni ’90, ai tempi della Rete, riemerse quel lancinante dolore che gli spegneva la voce in gola. Un dolore attenuato soltanto dall’enorme stima e affetto che tanta gente aveva per lui.

Per quella strage sono stati condannati nei precedenti processi, in via definitiva, Totò Riina, Vincenzo Virga, Nino Madonia, Balduccio Di Maggio.

Era così pericoloso per la mafia il giudice Palermo?

Era arrivato a Trapani neanche due mesi prima dell’attentato dopo aver lasciato la Procura di Trento dove era da 10 anni.

E a Trento, a partire dal novembre del 1980, aveva portato avanti un’inchiesta che aveva avuto una vastissima eco e che lo aveva portato a scontrarsi perfino col capo del governo Craxi.

L’inchiesta era partita da un ritrovamento di droga a Mattarello, borgata alla periferia di Trento. Con un impressionante lavoro, l’indagine di Carlo Palermo portò al traffico internazionale di armi, ai legami tra mafia, massoneria, servizi, poteri occulti, politica. Quell’inquietante marasma, solo in parte decifrato, in cui era precipitata l’Italia.

Certo, Palermo, in quella mastodontica indagine,  commise anche errori che non gli furono perdonati. Ma si avvicinò anche a molte e pericolose verità, e nemmeno questo gli fu perdonato . L’attentato del 2 aprile lo dimostrò. Bisognava fermarlo quel giudice.

Arrivato a Trapani per sua volontà, Palermo  nelle indagine appena cominciate ritrovò nomi emersi nel corso delle indagini a Trento.

Certo è che se fossero stati tutti fantasmi quelli che aveva per la testa, come i suoi nemici dissero, che bisogno c’era di farlo saltare in aria?

Il 18 marzo una telefonata anonima arrivò alla Base Nato dove Palermo alloggiava: “Dite al giudice che il regalo sta per essergli recapitato”.

A Trapani la mafia non esisteva, dicevano le autorità. Bastava non vederla.

Quindici giorni dopo, l’attentato.

Vincenzo Galatolo è stato condannato l’altro ieri come uno dei mandanti grazie alle parole di sua figlia, Giovanna, collaboratore di giustizia. Una delle grandi storie di ribellione dei figli nei confronti dei padri mafiosi. Come fu per Peppino Impastato. L’Italia del coraggio che si ribella all’omertà, al silenzio, agli affetti assassini.

In tempi in cui la Procura di Trento, che fu di Carlo Palermo, scopre legami con inquisiti per ‘ndrangheta di politici e imprenditori trentini, ma anche di un magistrato, un generale, di finanzieri e carabinieri, dobbiamo avere sempre davanti l’esempio di Carlo Palermo, Falcone e Borsellino, di Dalla Chiesa e Cassarà, di Chinnici e Livatino, di Giovanna Galatolo e Peppino Impastato per continuare a fare anche noi la nostra parte per un Italia e un Trentino onesti e giusti.

 

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 15 novembre 2020