Profughi e migranti: le tre grandi questioni

L’esodo drammatico dei profughi e dei migranti che stiamo vivendo da molti mesi, e da molti anni, con intensità crescente e con conseguenze così tragiche da scuotere anche le coscienze e le istituzioni più fredde se non ostili (come l’immagine atroce del corpicino del bimbo siriano, Aylan, adagiato sulla spiaggia turca), pone alla nostra attenzione almeno tre grandi questioni: la questione umanitaria; la questione demografica, che comincia a farsi largo nel dibattito pubblico; la questione delle guerre e delle ingiustizie internazionali di cui si parla pochissimo, ma che è alla radice dell’imponente fuga di popolazioni.

 

La questione umanitaria: non possiamo rinunciare a salvare vite umane

 

Questione umanitaria. Tutti devono fare la propria parte. Salvare vite umane in pericolo, soccorrere chi ha perso tutto, accogliere chi ha bisogno di tutto: sono valori che stanno alla base di quella che ci piace chiamare civiltà europea, o magari civiltà cristiana. O magari semplicemente civiltà umana.

Qualcosa dovremmo aver imparato dalle vergogne del nostro passato anche recente. La memoria dei profughi delle guerre mondiali causate dall’Europa e delle persecuzioni politiche, razziali e religiose perpetrate dai totalitarismi europei del Novecento, fascismo italiano compreso, è troppo viva. La Germania ne è consapevole, anche a livello di opinione pubblica. L’Italia fa più fatica.

Gli ebrei in fuga dallo sterminio, a volte venivano accolti, a volte respinti.

Oggi ci vergogniamo di coloro che li respingevano, non solo di coloro che li volevano sterminare (con la collaborazione anche degli italiani, che già nel Corno d’Africa avevano messo in atto orrende operazioni di colonialismo razziale).

Nel piccolo museo ebraico di Dublino è esposta una lettera della fine del 1938 nella quale il governo irlandese rifiutava di accogliere sette profughi ebrei in fuga dallo sterminio. Non c’era posto, si scriveva. Esposta a perenne vergogna (esempio di tanti altri vergognosi e anche più consistenti respingimenti). A noi non pare vero che possa essere accaduto.

Magari ai nostri discendenti non parrà vero che anche piccoli gruppi di profughi in fuga dalla guerra e dalla povertà siano stati respinti ai nostri giorni dai nostri civilissimi paesi.

Accanto ai rifiuti ci sono però moltissime storie di accoglienza positiva.

Là dove i prefetti si muovono con intelligenza in stretta collaborazione con gli enti locali e le associazioni di volontariato l’accoglienza dei profughi funziona.

Distribuiti in piccoli gruppi (e non «ammucchiati» di punto in bianco in condomini nel cuore delle città o in enormi campi-lager come quello siciliano di Mineo), accompagnati da progetti di integrazione e di attività di servizio civile (non si possono tenere per mesi giovani di vent’anni senza far nulla, abbandonati a se stessi!), inseriti con attenzione e umana partecipazione nei quartieri e nei paesi (parrocchie, associazioni, singoli cittadini possono creare belle occasioni di incontro tra la popolazione e i profughi, smontando paure e facendo invece crescere le comunità): se così ci si muove, i profughi cessano di essere visti come portatori di malattie e di pericoli e «tornano» a essere visti come persone.

Persone come noi, solo più infelici di noi.

In Italia lo scorso anno sono arrivati 170 mila profughi. Centomila se ne sono poi andati nel Nord Europa.

Quest’anno sono 110 mila alla fine di agosto. Una buona parte di loro se ne andrà. Quelli che restano possiamo e dobbiamo accoglierli bene. E in tante parti d’Italia lo si sta facendo.

Anche in Trentino ci sono belle esperienze di accoglienza. Il Trentino, poi, è in grado di offrire cinquecentomila posti letto ai turisti: non si può certo spaventare di fronte a un migliaio di profughi. Se così fosse, poveri noi.

 

La questione demografica: pochi nati nei paesi ricchi, molti nei paesi poveri

 

La questione demografica. In Italia nel 2014 ci sono state soltanto 509 mila nascite. Mai così poche dall’Unità, dice l’Istat. Il saldo tra nascite e decessi in Italia è negativo dal 1991. E tra il 1991 e il 2011, ci ricorda lo studioso di migrazioni Corrado Bonifazi, la popolazione nazionale in età lavorativa è diminuita di 3,2 milioni di unità, mentre nello stesso periodo gli ultraottantenni sono passati da 1,9 a 3,6 milioni. E siccome, da che mondo è mondo, calo demografico e immigrazione sono correlati, nello stesso ventennio gli stranieri nel nostro Paese sono passati da 356 mila a 4 milioni: una crescita senza paragoni per rapidità.

Il Rapporto 2015 dell’Onu sugli sviluppi della popolazione mondiale ci dice che la popolazione europea sta invecchiando a una velocità impressionante, e nel 2050 il 34% dei suoi abitanti avrà più di sessant’anni di età.

Germania, Giappone e Italia sono i Paesi che più invecchiano.

Nello stesso periodo, metà dei nuovi nati saranno in Africa, e un’altra fetta consistente in India, Cina, Pakistan, Usa e Indonesia.

Commentando i dati Onu, l’inviato de «La Stampa» a New York, Paolo Mastrolilli, ha scritto che «gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione». E per fortuna che ci sono i nati degli immigrati, altrimenti, ancora una volta, poveri noi.

I figli degli immigrati stanno salvando demograficamente il nostro Paese. Ma non abbastanza. Perché sono in calo anche loro, anche se gli sprovveduti parlano di «invasione».

Ma se non ci sono bambini e giovani le società sono destinate a morire. E poi, chi pagherà le pensioni? E l’assistenza a tutta quella popolazione anziana?

La Germania sta facendo una forte e seria politica di accoglienza anche perché sa che con la sua bassa natalità non può andare lontano.

Cosa vuol dire seria politica di accoglienza?

Vuol dire progetti ben organizzati e pensati di integrazione, inclusione, interazione – chiamiamoli come vogliamo. Se ne fanno anche in certe aree del nostro Paese, ma in tante altre si vive alla giornata.

E in Trentino? Il calo demografico è anche da noi impressionante.

Nel 2014 sono nati 4.862 bambini, 251 in meno rispetto al 2013, 291 in meno rispetto al 2012. I nati continuano a calare, anno dopo anno. E per fortuna che ci sono gli 833 nati da genitori stranieri, altrimenti saremmo di fronte a una catastrofe demografica.

Ma gli stranieri fanno anch’essi sempre meno figli (nel 2013 erano stati 900), e poi diminuiscono: gli stranieri residenti in Trentino nel 2014 sono diminuiti dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Altro che invasione. Comunque sono decisivi nel mantenere per ora un equilibrio tra nati e morti che progressivamente va saltando.

E così le scuole che in questi giorni stanno riaprendo vedono tanti figli di immigrati. Sono intorno al 15% della popolazione scolastica, figli arrivati qui o nati qui. Questi ultimi sono trentini e italiani a tutti gli effetti, anche se la legge non li riconosce subito.

Tutti questi bambini riempiono non solo le culle ma anche i banchi lasciati vuoti dai figli dei trentini.

E, va anche detto, tengono in piedi classi, scuole, posti di insegnante (almeno 800, secondo una mia stima: portano lavoro!); tengono in piedi, in ogni caso, il futuro. Allora, investiamo sulla scuola, sui mediatori culturali, sui progetti di inclusione. Dobbiamo voler bene ai nuovi trentini, e valorizzare al meglio le loro potenzialità.

 

La questione delle guerre e ingiustizie internazionali (e delle catastrofi ambientali): le nostre colpe

 

La questione delle guerre e delle ingiustizie internazionali. Esse sono la causa dei 60 milioni di sfollati e profughi che l’Onu ha contato nel 2014. Insieme alle crisi e alle catastrofi ambientali.

Ma non c’è nessuna mobilitazione internazionale per fermare le guerre, nessuna seria volontà di guardare alla radice del fenomeno drammatico dei profughi (nel 2014 i primi dieci Paesi da dove sono fuggiti i profughi sono stati Siria, Afghanistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Repubblica Centrafricana, Iraq, Eritrea: tutti Paesi dilaniati da guerre e feroci dittature).

Il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha finalmente convocato per il 30 settembre prossimo un vertice sulle migrazioni.

Però gli stessi Paesi che domineranno questo vertice hanno in mano i destini delle guerre nel Vicino Oriente e in Africa che sono all’origine dell’esodo di così tanti profughi. Sono loro che armano e sostengono i Paesi che si fanno la guerra, così come le fazioni delle tante guerre e guerriglie interne.

Non è questione di impotenza, ma di interessi contrastanti che impediscono di affrontare seriamente il problema.

Su 20 milioni di abitanti, l’infelice Siria conta dopo quattro anni di guerra 7 milioni di sfollati e 4 milioni di profughi. Eppure, come ha ricordato ripetutamente Romano Prodi, Stati Uniti e Russia se si mettessero d’accordo potrebbero avviare una soluzione della guerra in Siria.

Lo stesso vale per tanti Paesi africani tormentati da guerre civili: gli interessi contrastanti di Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Cina impediscono che molti conflitti abbiano fine. Lì si consumano poi enormi quantità di armi prodotte dai Paesi ricchi. Le aziende del settore sono sempre in positivo, anche in Italia, malgrado la lunga crisi.

Le catastrofi e le crisi ambientali sono poi all’origine di 20 di quei 60 milioni di sfollati e profughi: desertificazioni, siccità, rovina di piccoli produttori, spopolamento delle campagne, costruzione di gigantesche dighe che svuotano città e villaggi, inquinamenti.

Anche qui i Paesi ricchi e le loro aziende hanno la loro parte di responsabilità. Se ne parlerà a Parigi al prossimo vertice mondiale Onu sul clima?

E le ingiustizie, gli squilibri, le disuguaglianze?

Il festival dell’economia di Trento del maggio scorso aveva la parola «disuguaglianze» in tredici titoli delle sue conferenze. Mai si è parlato così tanto di disuguaglianze mondiali.

Ma quando i potenti della terra parlano di profughi non parlano del mondo intollerabilmente ingiusto.

Costruire pace e giustizia: questa dovrebbe essere la risposta della politica accanto all’azione umanitaria.

Le persone da sempre fuggono dalla miseria e dalla povertà e vanno a cercare futuro dove sperano di trovarlo. La gente lascia i Paesi poveri e va verso quelli ricchi. Nessun muro, nessuna legge riuscirà mai a fermare le persone che fuggono dalla guerra e dalla povertà. Dalla mancanza di futuro.

Come recitava il Canto degli emigranti di fine Ottocento, cantato da italiani e tedeschi:

«Meglio affogare nell’oceano che essere strangolati dalla miseria. Meglio morire a modo nostro che essere peggio delle bestie».

 

Pubblicato sul quotidiano «l’Adige» il 7 settembre 2015