L’Ira chiude

L’Ira depone le armi. Chiude. E un sospiro di sollievo attraversa l’Europa e l’America, spaventate e insanguinate dal nuovo terrorismo mondiale dei fondamentalisti islamici.

Almeno il terrorismo irlandese chiude. Almeno i cristiani la smettono di ammazzarsi tra di loro.

L’Ira – Irish Republican Army -, il movimento clandestino nordirlandese di matrice cattolica, ma anche marxista e laica, ha annunciato il 28 luglio scorso (2005) che abbandona la lotta armata come strumento per ottenere l’indipendenza dell’Ulster dal Regno Unito e la sua aggregazione alla Repubblica d’Irlanda.

 

L’annuncio arriva tardi e male

L’annuncio arriva tardi rispetto alla storia irlandese, ormai da tempo incamminata verso una soluzione politica della questione dell’Ulster. Sono tutti stanchi di violenza. Esausti, sfiniti. Tutti: la gente comune, la politica, l’economia, la chiesa cattolica come quella protestante che hanno da tempo preso drasticamente le distanze dal terrorismo (gli storici, d’altronde, ci ricordano che l’Ira non ha mai avuto un vasto supporto dalla comunità cattolica).

Arriva tardi rispetto all’accordo di pace del 1998, incrinato in questi anni dalla sopravvivenza dell’Ira, utilizzata dalla minoranza estremista protestante per continuare ad opporsi all’accordo stesso e a tenere in vita anche i propri movimenti terroristici.

L’annuncio arriva tardi rispetto anche alla crescente deriva dell’Ira, così come degli altri gruppi terroristici, nella criminalità comune, le rapine, i pestaggi, il traffico di droga, ma anche nelle cruente faide interne. Deriva che ha fatto perdere credibilità, anche se non voti, al suo braccio politico, il Sinn Féin di Gerry Adams e Martin McGuinness.

 

Belfast, Falls Road, sede-shop del Sinn Féin. (foto V. Passerini)

 

Senza pietà

E arriva male. Non v’è traccia di pietà nel comunicato con cui l’Ira dichiara di deporre le armi. Solo un glaciale “siamo consapevoli che molte persone hanno sofferto nel conflitto”. Troppo poco per tutto il sangue anche innocente versato.

Troppo poco per chi è stato responsabile di 1.781 dei 3.703 morti che i Troubles, i “disordini”, hanno causato dal 1969 al 2003 (un dato che comprende anche i tre uccisi nel 1966).

Tra le vittime ci sono bambini, ragazze, giovani, madri, padri, anziani che non c’entravano nulla. All’Ira è imputata la morte di 644 di questi inermi civili. Non erano nemici in armi. Non meritavano, almeno questi innocenti, una parola di pietà, di rammarico, di scusa?

 

Belfast, marzo 1972, bomba dell’Ira provoca sette morti e 150 feriti. (Foto Archivio del “Belfast Telegraph” pubblicata nel libro “Lost Lives”, più avanti citato).

 

Vite perdute

Cinque studiosi guidati da David McKittrick, giornalista e storico di Belfast di riconosciuta competenza e obiettività (premiato nel 2000 con 1’Orwell Prize, il massimo riconoscimento britannico per il giornalismo), sono gli autori di una eccezionale e amarissima “enciclopedia” del terrorismo nordirlandese, frutto di otto anni di lavoro e che è giunta in pochi anni alla quinta edizione dopo essere stata rifiutata da molti editori.

In un volume di 1.679 fitte pagine su due colonne, intitolato Lost Lives (Vite perdute; vedi bibliografia), e dal quale abbiamo tratto molte informazioni e tutti i dati qui riportati, raccontano la storia di ciascuna delle 3.703 vittime. Chi erano, le circostanze e i dettagli dell’uccisione, i moventi quando c’erano, i responsabili individuati e le eventuali sentenze, talvolta anche i ricordi dei familiari o le parole pronunciate ai funerali. Un’opera commovente, per quanto ispirata al freddo rigore della ricerca e della documentazione, perché toglie dal numero ciascuna vittima, restituisce a ciascuno dei morti il proprio nome e cognome, la propria storia, la propria unicità. In ciò compiendo l’esatto opposto di chi ha voluto cancellare quella unicità.

Basta leggere un po’ di queste storie per archiviare per sempre ogni illusione romantica riguardo al terrorismo nordirlandese.

Torna in mente ciò che disse Simone Weil a proposito della Guerra civile spagnola, nella quale aveva brevemente militato tra le file anarchiche e dalla quale era fuggita disgustata e delusa:

Non ho mai visto nessuno […] nemmeno in confidenza esprimere repulsione, disgusto o solo disapprovazione per il sangue inutilmente versato […] Si parte come volontari, con idee di sacrificio, e si va a finire in una guerra che somiglia a una guerra di mercenari; con molta più crudeltà e un minore senso del rispetto dovuto al nemico.

(Lettera a Georges Bernanos, 1938, ora in Sulla guerra; vedi bibliografia).

 

“Lost lives”: una dolente e implacabile “enciclopedia” di tutte le vittime dei “Troubles”. Troppo sangue innocente versato.

 

Da Bobby Sands a Omagh

La guerra civile nordirlandese non è diversa. Anche se ha avuto i suoi connotati romantici ed eroici, come nel caso di Bobby Sands, morto in carcere nel 1981 dopo 66 giorni di sciopero della fame in un’azione di protesta tesa a ottenere per i repubblicani lo status di prigionieri politici.

Il ventiseienne Sands morì con accanto il crocifisso portatogli dall’inviato del Papa che era andato a visitarlo pochi giorni prima.

Una morte che sconvolse ed emozionò il mondo, rovesciò indignazione e rabbia sull’inflessibile Margaret Thatcher e diede l’esempio ad altri nove prigionieri repubblicani che proseguirono nella stessa azione di protesta e fecero la stessa fine.

La gigantesca e sorridente icona di Bobby Sands che domina i murales del quartiere di Falls Road, cuore della Belfast cattolica più popolare e intransigente, non basta a coprire la miseria umana dei terroristi. Emersa infine, inesorabilmente, in tutto il suo squallore e la sua disumanità nell’attentato di Omagh, il 15 agosto del 1998, quando un’autobomba collocata in un sabato pomeriggio nell’affollato centro commerciale della cittadina nordirlandese da terroristi della Real Ira, frazione dissidente che si opponeva all’accordo di pace, uccise 29 persone. Bambini, giovani, madri, padri, vecchi. Cattolici e protestanti. Maura Monaghan di 18 mesi, Breda Devine di 20 mesi, Oran Doherty di 8 anni, Fernando Blasco Baselga, spagnolo, di 12 anni, Alan Radford di 16 anni, Julia Hughes di 21 anni, Philomena Skelton di 49 anni, madre di quattro figli, Mary Grimes di 66 anni, madre di 12 figli…

 

Belfast, Falls Road, murale con Bobby Sands “rivoluzionario, poeta, cultore della lingua gaelica (gaeilgeoir), visionario”, è scritto. Il murale campeggia sull’edificio dove ha sede il partito repubblicano indipendentista Sinn Féin nelle cui file Bobby Sands fu eletto parlamentare mentre era in prigione. Ai lati dell’immagine due citazioni di Sands: “Ognuno, repubblicano o no, deve fare la propia parte”; “La nostra vendetta sarà la risata dei nostri figli”. Sands morì il 5 maggio 1981 dopo 66 giorni di sciopero della fame per ottenere lo status di prigioniero politico. (Foto V. Passerini)

 

Per conoscere Bobby Sands: S. Calamati, L. McKeown, D. O’Hearn, “Il diario di Bobby Sands. Storia di un ragazzo irlandese”, Castelvecchi, Roma 2010.

 

Bloody Sunday

Non che gli avversari dell’Ira abbiano mostrato qualità diverse. E non solo i terroristi del fronte protestante, identici in tutto fuorché nei fini perseguiti. Ma anche l’esercito inglese e la polizia nordirlandese, responsabili di repressioni e massacri indiscriminati, come quello del Bloody Sunday, la domenica di sangue del 30 gennaio 1972, quando 14 inermi civili cattolici furono uccisi a Londonderry (oggi Derry) dalle forze militari durante una pcifica dimostrazione.

Una strage che gettò per reazione centinaia di giovani cattolici nelle braccia dell’Ira.

Una commissione di inchiesta del governo inglese, che ha concluso recentemente i suoi lavori, non ha portato a nessuna individuazione di responsabilità. Conclusione inaudita, perché la verità ha da tempo un’evidenza inconfutabile. Né ha suggerito parole di scusa e condanna.

Parole di scusa che almeno nel caso delle famiglie cattoliche Conlon e Maguire, la cui triste storia è stata raccontata nel bel film Nel nome del padre di Jim Sheridan, Blair ha saputo finalmente pronunciare nel febbraio di quest’anno. Le due famiglie finirono per anni in carcere e 1’anziano Giuseppe Conlon vi morì, imputati di una strage, avvenuta nel ‘74 in un pub di Londra, di cui non erano colpevoli. La polizia inglese occultò per anni le prove della loro innocenza.

L’annuncio dell’Ira, per quanto tardi e male, è però alla fine arrivato. Il governo inglese, memore delle occasioni perdute in passato, ha prontamente colto la palla al balzo e lunedì, primo di agosto, ha annunciato una drastica riduzione delle proprie truppe nell’Ulster, dove stanziano ancora 10.000 soldati britannici, più di quanti ve ne siano in tutte le zone di guerra nel mondo, Iraq compreso.

Riduzione criticata dagli estremisti protestanti di Ian Paisley, il pastore presbiteriano (si è creato una propria chiesa) che da quarant’anni domina la scena politica in Irlanda del Nord e rifiuta ogni accordo con i cattolici.

Ma anche i fondamentalisti protestanti si stanno adeguando, seppur a fatica. I gruppi terroristici dell’estremismo protestante, in particolare l’Uvf (Ulster Volunteer Force) e l’Uda (Ulster Defence Association), sono ancora forti e secondo la Commissione internazionale che tiene sotto osservazione l’attività terroristica in Irlanda del Nord sono stati proprio questi i gruppi più attivi e pericolosi negli ultimi anni.

 

Belfast, murale dell’Uda. il gruppo terrorista protestante. (Foto V. Passerini)

 

Se i morti sono drasticamente diminuiti (dai 497 nel 1972 ai 91 nel 1992 ai 10 nel 2003), si registrano una media di quattro assalti e pestaggi ogni settimana. Un livello molto alto di violenza quotidiana che colpisce cattolici e protestanti, ma sempre di più gli immigrati stranieri. Le nuove vittime innocenti.

 

Cuori di tenebra

Forse questa è davvero la fine della più lunga guerra di religione e della più lunga guerra coloniale in Europa. Guerre che affondano le radici nel Medioevo e poi nell’età della Riforma protestante e della Controriforma cattolica, tra il Cinquecento e il Seicento.

Il fascino sinistro della tragedia irlandese sta proprio nell’aver tenuta viva questa parte sepolta, rimossa ma anche superata, per fortuna, delle guerre religioso-politiche che insanguinarono a lungo l’Europa, che ne determinarono anche la sua attuale configurazione e che ebbero poi enormi riflessi nell’imponente emigrazione verso l’America e nella nascita degli Stati Uniti.

Per questo la secolare tragedia della piccola isola d’Irlanda è sempre stata un caso europeo, ma anche americano. Tutti vi ritrovano una parte profonda di sé.

E tutti imparano, se lo vogliono, guardandola senza infingimenti, che la civiltà europea è una grande cosa, ma ha anche il suo cuore di tenebra. I suoi cuori di tenebra. Si chiamino guerre di religione o coloniali, schiavismo o imperialismo, shoah nazista o terrore comunista, fascismo o razzismo,vterrorismo nero o brigatista. Destre e sinistre, atei e credenti, reazionari e rivoluzionari, statalisti e anarchici, realisti e idealisti.

Ciascuno ha di che riflettere sui propri cuori di tenebra con cui ha disegnato linee di demarcazione tra le vite umane che valgono e quelle che non valgono e che possono essere distrutte. Anche questa è la civiltà europea che ostentiamo con troppa presunzione, sempre pronti a dare lezioni al mondo.

E se uno si prende il tempo di saperne di più sulla vicenda irlandese, potrà fare un utile viaggio dentro questa civiltà europea, uno dei tanti possibili viaggi, ma certamente quello che più di altri unisce il passato lontano con il presente più vivo.

 

Irlandesi “barbari”…

Potrà partire dal Medioevo, diciamo dal dodicesimo secolo, quando i civilissimi inglesi giustificavano il loro protettorato sull’isola con il fatto che gli irlandesi erano barbari, immorali e superstiziosi (noi sappiamo invece, fra l’altro, che gli, irlandesi, durante i secoli più bui del Medioevo, produssero autentici tesori di cultura e spiritualità di cui si avvalse abbondantemente la più inaridita Europa continentale).

Questa teoria dello scontro fra barbarie e civiltà assunse una connotazione particolare nell’età della Riforma, quando i re inglesi, diventati anglicani con lo scisma di Enrico VIII, imposero militarmente all’Irlanda la nuova fede.

Ma i cattolici irlandesi non si convertirono mai alla nuova chiesa d’Inghilterra, anche se ne avrebbero guadagnato una vita più dignitosa, e continuarono a professare la loro religione in clandestinità e resistendo a tutte le persecuzioni.

Ed essendo l’Ulster, come ricorda lo storico inglese Norman Davies (vedi bibliografia) , “la più irlandese, gaelica, cattolica e tradizionalista provincia d’Irlanda» lì vi fu, a partire dall’inizio del Seicento, la colonizzazione più spietata, con una intensa immissione di coloni presbiteriani dalla Scozia che, insediati nelle terre espropriate ai cattolici, attuarono fin dall’inizio “un sistema di apartheid sociale e culturale”. Fu la prima colonia britannica, ma anche, afferma Davies, “la tragica fonte di un conflitto senza fine e senza soluzione” (p. 469).

 

Belfast, murales indipendentisti e internazionalisti. (Foto V. Passerini)

 

La democrazia nasce escludendo

Poi, alla metà del Seicento, arrivarono anche gli orrendi massacri attuati dal repubblicano Oliver Cromwell, conclamato padre del moderno parlamentarismo, giustificati sempre col dovere di estirpare dall’Irlanda la barbarie superstiziosa dei papisti.

E così la nascente democrazia inglese, faro indubitabile della nostra civiltà, considerando i cattolici irlandesi una specie sub-umana, li escluse dalla democrazia, come era accaduto per gli schiavi ad Atene, e come accadde per i neri negli Stati Uniti d’America.

Tolse loro il diritto di voto, 1’accesso alle professioni pubbliche, il diritto di acquistare terra, di portare armi, il diritto alla propria lingua e alla propria religione, e ne limitò fortemente i diritti di eredità (lo stesso, va detto, accadeva in altri luoghi d’Europa da parte dei cattolici nei confronti dei protestanti: l’intolleranza fu reciproca).

La democrazia moderna, come quella antica, nacque escludendo una parte di cittadini, tracciando anch’essa una linea di demarcazione tra le vite umane che valevano molto e quelle che valevano molto poco.

Questa esclusione dai diritti civili e politici fu poi attenuata, corretta, ma nell’Irlanda del Nord perdurò per tutto il Novecento.

Le case popolari, le nuove scuole, le nuove industrie continuarono a essere insediate nelle aree protestanti. Gli operai cattolici erano sempre gli ultimi a essere assunti e i primi a essere licenziati. Polizia, magistratura e amministrazione pubblica rimasero precluse ai cattolici. I neri d’Irlanda. L’Ulster, proclamava la classe dominante, era “un Paese protestante e per i protestanti”.

Malgrado le spinte al cambiamento dei governi laburisti di Londra e dei protestanti irlandesi più aperti la discriminazione perdurò.

 

Belfast, murale degli indipendentisti cattolici: “La storia è scritta dai vincitori”. Fino alla metà dell’800 gli inglesi hanno impedito che ci fosse un’università cattolica in Irlanda. I cattolici irlandesi che volevano studiare all’università dovevano andare all’estero.(Foto V. Passerini)

 

I neri dell’Ulster

Nel 1968-69 in Irlanda del Nord le grandi manifestazioni dei cattolici per i diritti civili non chiedevano un mondo nuovo, come il ‘68 di Parigi, Berkeley o Trento, ma un mondo “vecchio”, vecchissimo, quello dei più elementari diritti che gli altri godevano da molto tempo.

Chiedevano, come quelle dei neri d’America cui si ispiravano, eguaglianza di diritti nell’accesso alla casa, all’istruzione, al lavoro. A Belfast, ad esempio, con un quarto di popolazione cattolica, i protestanti avevano i1 97,5% dei posti di impiegato comunale.

Chiedevano “una testa, un voto”. Cioè che alle elezioni un cittadino cattolico contasse quanto uno protestante.

Nelle elezioni locali, di contea o comunali, si votava ancora per censo. Bisognava avere un certo patrimonio, un certo livello di ricchezza.

I poveri non votavano, ed essendo questi per lo più cattolici se ne avvantaggiava la rappresentanza protestante. Anche perché chi aveva molte rendite da immobili poteva accumulare più voti, anche fino a sei.

Quindi, c’era chi votava sei volte e chi nessuna. Ma non nell’Ottocento, dov’era norma diffusa in Europa, ma in pieno Novecento.

 

Truffe elettorali legalizzate

Non basta. Le circoscrizioni elettorali venivano disegnate in modo truffaldino per impedire che i cattolici assumessero il potere politico anche là dove erano maggioranza come contribuenti-votanti.

Siccome le circoscrizioni esprimevano un dato numero di eletti che non era proporzionato agli elettori, bastava che molti elettori cattolici fossero inseriti in poche circoscrizioni perché avessero pochi eletti. Allora ai confini delle circoscrizioni si facevano fare dei percorsi ridicolmente tortuosi perché potessero “catturare” al proprio interno molti o pochi votanti, a seconda delle convenienze.

E così, nel 1966, alla vigilia delle grandi manifestazioni per i diritti civili, a Londonderry, oggi Derry, seconda città dell’Ulster e a larga maggioranza cattolica, i cattolici avevano 8 seggi consiliari con 14.429 contribuenti-votanti, mentre i protestanti avevano 12 seggi consiliari con 8.781 contribuenti votanti.

Dal canto suo la contea di Fermanagh, ancora nel 1972, con il 53% di cattolici, aveva 17 consiglieri cattolici e 33 protestanti. Le amministrazioni locali decidevano poi, ad esempio, dove costruire le case popolari.

C’è un termine inglese che definisce questa manipolazione dei collegi elettorali per avvantaggiare un partito, ben nota anche negli Stati Uniti, ma non solo: gerrymandering. Un broglio legalizzato.

 

Belfast, murale degli indipendentisti cattolici. (Foto V. Passerini)

 

L’Ira resuscitata

Alle pacifiche e imponenti manifestazioni per i più elementari diritti civili si rispose, invece che con le riforme, con brutali e sconsiderate repressioni che culminarono nel Bloody Sunday, la domenica di sangue di Londonderry, 30 gennaio 1972, come abbiamo ricordato più spra.

L’Ira, da vent’anni pochissimo attiva e quasi moribonda, ormai più propensa a spendersi in politica che non nella lotta armata, vide così emergere e affermarsi la propria ala più combattiva che, dopo aver provocato una scissione, dandosi il nome di Provisional Ira, prese il dominio del campo e diventò ben presto l’unica Ira, fortemente attrattiva per tanti giovani.

Un movimento non solo terrorista, secondo la vecchia tradizione indipendentista, ma anche rivoluzionario, nel segno della nuova sinistra politica più radicale.

L’Ira fu resuscitata e ingigantita dai suoi avversari, dalla loro ottusità politica, dalla loro ostinata, anche violenta, difesa di secolari privilegi.

Poi ci pensò la mitologia della violenza politica che negli anni Settanta aveva contagiato mezzo mondo a fare il resto.

Ci sono tanti cuori di tenebra, non solo quello delle guerre di religione, dietro la storia dell’Ira che, seppur tardi e male, finalmente finisce.

 

Pubblicato sul quotidiano “l’Adige” il 7 agosto 2005 e, in una seconda stesura, nel libro “Bloomsday. Cronache irlandesi” (2011).

 

Note di aggiornamento (aprile 2011)

Ci sono novità importanti e in gran parte positive sulla tenuta dell’accordo di pace in Irlanda del Nord.

Nel 2007 è accaduto l’inimmaginabile. Grazie alla vittoria alle elezioni, Ian Paisley, l’anziano reverendo presbiteriano da quarant’anni capofila degli estremisti protestanti ostinatamente contrari a ogni accordo con i cattolici, é diventato primo ministro del governo autonomo dell’Irlanda del Nord, mentre Martin McGuinness, già dirigente dell’Ira e numero due del partito indipendentista Sinn Féin, confermatosi come il partito più forte dello schieramento cattolico, ne è diventato i1 vice.

Due acerrimi nemici, rappresentanti i fronti estremi ed opposti dello schieramento politico, sono stati costretti dalle regole del trattato di pace a legittimarsi reciprocamente e a convivere nella guida del governo locale. Ruolo che alla fine hanno assunto e gestito con più disinvoltura di quanto ci si potesse aspettare. Una sanzione definitiva del passaggio dal confronto armato a quello politico.

Nel 2008 Paisley, ottantunenne, ha lasciato il posto di primo ministro al più giovane Peter Robinson. Il quale, nei mesi scorsi, ha dichiarato che intende partecipare prossimamente a una messa cattolica, dando un altro forte segnale di distensione.

Nel frattempo, dopo l’Ira, anche i gruppi terroristici protestanti hanno deposto le armi. Ma frazioni dissidenti in entrambi i fronti provocano ancora aggressioni e attentati, alcuni dei quali mortali.

Come quello recentissimo (2 aprile 2011) a Ronan Kerr, poliziotto cattolico di venticinque anni, ucciso a Omagh da una bomba collocata sotto la sua auto. L’attentato è stato attribuito ai gruppi dissidenti dell’Ira che vogliono colpire 1a nuova polizia nata dall’accordo di pace.

Le reazioni all’assassinio sono state durissime in ambedue le comunità, cattolica e protestante. Gli attentatori sono isolati. Sono ormai pochi quelli che in Irlanda del Nord vogliono tornare indietro, ai tempi dei Troubles.

 

Il 15 giugno 2010 il primo ministro inglese David Cameron, presentando in Parlamento le conclusioni della commissione d’inchiesta istituita da Blair dodici anni prima, si è scusato per il massacro del Bloody Sunday, affermando che il comportamento dell’esercito britannico quel 30 gennaio 1972 a Londonderry (oggi Derry) fu “ingiustificato e ingiustificabile”.

Cameron ha finalmente ammesso quella verità che gli osservatori più obiettivi e i familiari dei 14 manifestanti cattolici uccisi dai soldati britannici hanno sempre proclamato: gli uccisi non erano armati, non erano terroristi, non erano provocatori pericolosi. I soldati hanno sparato sulla folla inerme, per primi e senza avvertire. Cameron ha dovuto ammettere che

i militari hanno perso la testa e il governo è responsabile di ciò che è accaduto.

I familiari delle vittime hanno potuto esultare tra le lacrime. Giustizia era stata fatta.

Certo è che se questa verità fosse stata ammessa dal governo inglese all’indomani della strage, forse il corso, tragico, della storia nord-irlandese sarebbe stato diverso. Che terribile responsabilità ha il governo inglese.

Mentre questo volumetto va in stampa, Dublino si appresta ad accogliere Elisabetta II, regina del Regno Unito, nella prima visita dopo cento anni di un sovrano inglese nella capitale della Repubblica d’Irlanda.

II processo di pace in Irlanda del Nord sta aprendo un nuovo capitolo nella lunga e tormentata storia tra i due Paesi.

 

Bibliografia

Norman Davies, Isole. Storia dell’Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell’Irlanda, Bruno Mondadori, Milano 2004.

Robert Kee, Storia d’Irlanda. Un’eredità rischiosa, Bompiani, Milano 2006 (7^ ediz.)

David McKittrick and David McVea, Macking sense of the Troubles, Penguin Books, London 2001.

D. McKittrick, S. Kelters, B. Feerney, C. Thornton and D. McVea, Lost Lives. The stories of the men, women and children who died as a result of the Northern Ireland Troubles, Mainstream Publishing, Edimburgh ana London 2004.

Simone Weil, Sulla guerra, trad. it. e cura di Donatella Zazzi, Pratiche Editrice, Milano 1998.