Mazzolari, quell’incredibile cristiano tenuto in esilio

La maggior parte dei redattori del “Margine” cominciava ad articolare le prime frasi quando don Primo Mazzolari si spegneva in una clinica di Cremona il 12 aprile del 1959.

Eppure, 25 anni dopo, nei giorni di un forse vano ma ugualmente irrinunciabile anniversario, essi sentono quanto quel parroco di campagna di un’Italia così lontana abbia segnato, direttamente o indirettamente, la loro formazione.

 

 

 

Anticipazione e incompiutezza

 

L’anno scorso ricordavamo proprio in questi giorni don Lorenzo Milani. È destino, è proprio destino che quei due preti si rincorrano, in una quasi inevitabile associazione di idee, dentro 1’animo di più generazioni, per quanto diversi siano i tempi e per quanto diversi siano stati don Milani e don Mazzolari.

Chi la sa lunga potrebbe perfino dire che ci ha messo un provvidenziale zampino anche la lingua, come con Maritain-Mounier. Poco importa. Sta di fatto che Mazzolari, come don Milani, resta vivo nella memoria religiosa e civile del nostro Paese per quel misto di anticipazione dei tempi e di perdurante incompiutezza che c’è nella sua lezione.

 

Amarezza?

 

Così, la riconoscenza, con tutto quel che di gratuito, di perfettamente inutile e perciò stesso di assolutamente necessario c’è in questo sentimento, si mescola, nel ricordo, all’amarezza per quanto di quella lezione è stato solamente consumato, guardato, citato, dimenticato, onorato, superato e mai compiuto.

 

Bel profilo spirituale e intellettuale di Mazzolari scritto da Giorgio Campanini e pubblicato da Morcelliana (2009, pp. 192).

Ma chi lo sa. Forse si sbaglia a pensare cosi. Anzi, si sbaglia sicuramente. L’amarezza é del tutto ingiustificata, lo sappiamo bene. C’è un tempo per la semina e uno per il raccolto. Strani fili cementano in un’assurda logica i rapporti tra queste due stagioni. In questa logica non c’é posto per 1’amarezza.

All’indomani della morte, don Primo Mazzolari fu ricordato dai suoi amici con parole spesso amare.

Purtroppo gran parte dei suo lavoro è un seme che è caduto ma non ha preso e nessuno più di lui ne era cosciente. Quando decise di dar vita a un foglio di battaglia, “Adesso”, obbediva proprio a questo sentimento di tristezza, a una forma umana di scoraggiamento, ma subito dopo era di nuovo pronto per credere che battaglie di questo genere si vincono subito, nel momento, adesso.

 

 

 

Non si vince “adesso”

 

E invece non era vero, né per don Mazzolari né per Carlo Bo che scriveva quelle parole. Le battaglie di quel genere si devono fare ma non si vincono “nel momento”, adesso. Solo sette anni dopo lo stesso Carlo Bo avrebbe scritto che

forse non ci sarebbe stato Giovanni XXIII se prima non fosse venuto a predicare, per noi e per tutti gli uomini di buona volontà, questo incredibile cristiano che avevano tenuto in esilio in una delle più desolate parrocchie d’Italia.

Il consumarsi di Mazzolari nell’adesso, quel suo seminare nelle cose quotidiane solo apparentemente si era perso coi giorni. Quella sua fedeltà assoluta era destinata a durare più delle cose a cui era legata. Così come la fedeltà assoluta di don Milani a un gruppetto di ragazzi di montagna era traboccata oltre i bordi di Barbiana allargandosi a milioni di uomini.

Non è detto che nel 2073, sopravvivendo il mondo, qualcuno, sfogliando una datata pagina di Mazzolari, o di qualche altro santo autentico e misterioso di questi anni, non finisca per inventare 1’ennesima sorpresa della storia.

 

Non possiamo rinunciare alla pace: le parole di don Mazzolari

 

Edizione completa e accurata dei molti scritti di don Mazzolari sulla pace e sulla guerra, a cura degli storici Guido Formigoni e Massimo De Giuseppe (Edizioni Dehoniane Bologna, 2009, pp. 752).

Molti soffrono di non potersi associare al Movimento della pace per un insieme di motivi non del tutto preconcetti, i quali, a lungo andare, hanno finito per togliergli credito ed ecumenicità. Troppe parole dure, troppe incaute polemiche, troppe presenze sospette intorno all’iniziativa, perché la causa della pace non ne soffrisse! Più santa è la causa e più pulite devono essere le mani che la portano, più monde le labbra che la predicano.

Per la pace, più che parteggiare, direi che bisogna ”agonizzare”, poiché essa è un bene uno e indivisibile come la carità. E se uno la vuole per sé, deve domandarla per tutti: anche per quelli che non la vogliono, anche per quelli che ne sono indegni (…).

Parlando così non intendo riferirmi piuttosto a questo che a quel blocco in contesa (un sacerdote agonizza non parteggia), né condannare l’Oriente per assolvere l’Occidente o viceversa.

Da ambo le parti stiamo peccando da anni contro la pace, scambiandoci accuse stoltissime e con così stupide e monotone argomentazioni da degradarne l’intelligenza di questi e di quelli, rischiando nel contempo di compromettere irrimediabilmente la causa della pace, rendendo impossibile il camminare insieme di coloro – e non sono molti fuori del campo della povera gente – che la vogliono con cuore puro e retto intendimento (…)

La novità che anche in nome degli amici di “Adesso” cordialmente auguro e fiduciosamente attendo dal Congresso di Sheffield è appunto questo ineffabile aprirsi della parola e dei cuori (non ancora visto né a Parigi né a Stoccolma) a quell’ecumene umano e cristiano che per essere efficace e senza limiti, ha bisogno di riconoscere la pace religiosa premessa e fondamento di ogni altra pace.

 

 

Manifesto del congresso di Sheffield.

È una parte del messaggio che Mazzolari, insieme ad altri cattolici, aveva inviato ad uno dei congressi dei “partigiani della pace” un movimento voluto e diretto dal Cominform di Stalin nell’ambito della più vasta “lotta per la pace” che tra il 1949 e il 1951 costituì uno dei massimi momenti di mobilitazione internazionale promossi da Mosca e che coinvolse anche intellettuali e personalità non comuniste. Erano anni di violentissime contrapposizioni.

Ma don Mazzolari non rinuncia per questo al dialogo pur rinunciando a partecipare a quei congressi per gli evidenti limiti, diciamo così, di quelle iniziative pacifiste e invia un messaggio che insieme alle critiche, esplicite, al movimento della pace contiene l’invito a non rinunciare al perseguimento dell’autentica pace.

Frainteso, strumentalizzato, attaccato, Mazzolari, rispondendo alle critiche dell’amico Vittorio Chesi, direttore de “Il Popolo” di Milano, ribadisce la verità del suo messaggio aggiungendo, poi, tra l’altro:

 

Io non sono andato a Varsavia e ne ho detto con caritativa franchezza le ragioni; ma io non mi sento più, caro Vittorio, di continuare a respingere pregiudizialmente gli sforzi e le voci che da qualsiasi parte del mondo mirano alla pace.

Essa è un bene troppo grande e troppo minacciato per rifiutare un solo sospiro, per chiudere la porta in faccia a milioni di povere creature che possono essersi sbagliate nell’affidare la loro angoscia e la loro speranza, ma che non si sbagliano nel soffrire e nello sperare.

Nell’ora tragica che viviamo, non mi sento autorizzato a “spezzare la canna fessa o a spegnere il lucignolo fumigante”.

Il libro di don Primo Mazzolari, “Cattolici e comunisti” fu pubblicato, come tanti altri del parroco di Bozzolo, dalla piccola e coraggiosa casa editrice La Locusta creata a Vicenza da Rienzo Colla.

Tra troppi politici, troppi diplomatici, troppi sapienti, mi rifugio una volta ancora, ilarmente, all’ombra della stoltezza evangelica, e invece di archiviare l’invito, ho risposto, a costo di incappare in guai e censure anche da parte degli amici più cari.

Il cristianesimo della poltrona nega il cristianesimo del rischio, e tra due strade egualmente in regola con la coscienza, mi sono appigliato alla più dura. Tra lo stare asserragliati o l’uscire di pattuglia, tra la condanna o la derisione e il cercar di vedere da vicino cosa succede sull’altra sponda, che è pur terra cristiana e abitata da cristiani, ho scelto di uscire per vedere se è ancora possibile riavvivare il discorso.

Se non è possibile parlarci, la guerra non è solo fatale: siamo già in guerra. Dopo tante sventure, tanto sangue sparso, davanti all’angoscia del peggio, non la bomba atomica, ma la comprensione e l’amicizia possono allontanare la catastrofe.

 

(citazioni tratte da P. Mazzolari “Insieme per strade diverse”, in Cattolici e comunisti, Vicenza, La Locusta, 1978).

 

 

 

Pubblicato su “Il Margine”, n. 2, 1984.