Italiani, brava gente? (I libri scomodi di Angelo del Boca – 2)

“Angelo del Boca esamina, in questo libro, gli episodi più efferati, quelli che costituiscono senza dubbio le pagine più buie della nostra storia nazionale.”

 Angelo del Boca

Italiani, brava gente?

Un mito duro a morire

“Dedico questo libro al mondo del volontariato. In particolare, ai ragazzi che, per tre volte, con le loro ambulanze, mi hanno portato d’urgenza in ospedale. Essi rappresentanto l’Italia migliore, così diversa da quella che racconto in queste pagine. Grazie di cuore”. (Angelo Del Boca)

 

“Angelo Del Boca esamina, in questo libro, gli episodi più efferati, quelli che costituiscono senza dubbio le pagine più buie della nostra storia nazionale: i massacri di intere popolazioni del meridione d’Italia durante la cosiddetta ‘guerra del brigantaggio‘; l’edificazione nell’isola di Nocra, in Eritrea, di un sistema carcerario tra i più mostruosi; le rapine e gli eccidi compiuti in Cina nel corso della lotta ai boxers; le deportazioni in Italia di migliaia di libici dopo la ‘sanguinosa giornata’ di Sciara Sciat; lo schiavismo applicato in Somalia lungo le rive dei grandi fiumi; la creazione nella Sirtica di quindici lager mortiferi per debellare la resistenza di Omar el-Mukhtar in Cirenaica; l’impiego in Etiopia dell’iprite e di altre armi chimiche proibite per accelerare la resa delle armate del Negus; lo sterminio di duemila monaci e diaconi nella città conventuale di Debre Libanos; la consegna ai nazisti, da parte delle autorità fasciste di Salò, di migliaia di ebrei, votati a sicura morte.

Crimini che smentiscono il mito degli ‘italiani brava gente’, eccidi commessi da uomini che non hanno diritto ad alcuna clemenza, tantomeno all’autoassoluzione“. (Dalla quarta di copertina)

 

Dal capitolo

“Soluch come Auschwitz”

(I lager in Libia, 1929)

 

“Irritato per l’insuccesso di Graziani nel Fayed, Badoglio gli inviava il 20 giugno una lunga lettera con la quale criticava duramente il suo operato e gli impartiva queste nuove terrificanti direttive:

‘Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale lungo e ben preciso tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento, che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica.’

Cinque giorni dopo aver scritto questa lettera, che avrebbe provocato la deportazione dal Gebel Achdar e dalla Marmarica di 100.000 libici, Badoglio si incontrava con Graziani e insieme concertavano le modalità per effettuare l’operazione, che non ha precedenti nella storia dell’Africa moderna.

Lo sgombro totale dell’altipiano cirenaico aveva inizio il 27 giugno e si protraeva per alcune settimane. Ma per i Marmarici e per gli Abeidat, che dovevano compiere una marcia di mille chilometri, il viaggio durava alcuni mesi.

Il materiale documentario sulle deportazioni delle popolazioni della Cirenaica è assai scarso, e quel poco che è conservato negli archivi di Stato è generalmente reticente.

Pertanto disponiamo soltanto di un’ampia e dettagliata relazione sull’esodo degli Aughir. Si trattava di alcune migliaia di persone, in grande maggioranza donne, bambini e vecchi.

Sin dai primi giorni di marcia, i più anziani e i più deboli tendevano a staccarsi dalla colonna. Ma gli ordini erano severissimi. Si legge nella relazione:

‘Non furono ammessi ritardi durante le tappe. Chi indugiava veniva immediatamente passato per le armi. Un provvedimento così draconiano fu preso per necessità di cose, restie come erano le popolazioni ad abbandonare le loro terre ed i loro beni…’

Le varie colonne venivano poi avviate ai campi di concentramento, che si trovavano tutti nel sud bengasiano e nella Sirtica, ossia nei luoghi più torridi e malsani della Libia.

Secondo una relazione di Graziani del 2 maggio 1931, cioè a trasferimento ultimato, il lager più vasto era quello di Marsa Brega, che accoglieva 21.117 fra Abeidat e Marmarici.

Seguivano:

Soluch, con 20.123 Auaghir, Abid, Orfa, Fuacher e Mogàrba;

Sidi Ahmed el Magrun, con 13.050 tra Braasa e Dorsa;

el Agheila, con 10.900 fra Mogàrba, Marmarici e parenti di ribelli in armi;

Agedabia, con 10.000 persone, di cui non si specifica la tribù;

El Abiar, con 3123 Auaghir.

Complessivamente, dunque, questi sei lager accoglievano 78.313 cirenaici. A questi andavano aggiunti i 12.448 confinati nei campi  minori di Derna, Apollonia, Barce, Driana, Sidi Chalifa, Suani el Teira, en-Nufilia, Bengasi, Coefia e Guarscia, che portavano il totale generale a 90.761 reclusi.

Bisognava inoltre tener conto delle persone abbattute durante le marce di trasferimeno e dei morti nei lager, per denutrizione, malattia e tentativi di fuga nei primi mesi di prigionia. La cifra totale dei deportati saliva così a non meno di 100.000.

Questa cifra rappresentava esattamente la metà degli abitanti della Cirenaica, se teniamo per buono il censimento turco del 1911, che dava una popolazione di 198.300 anime.

Quando le autorità italiane avrebbero compiuto, il 21 aprile 1931, il primo vero censimento con tecniche moderne, si sarebbe scoperto che gli indigeni erano soltanto 142.000.

In altre parole, la popolazione della Cirenaica era diminuita in vent’anni di circa 60.000 unità: 20.000 per l’esodo verso l’Egitto, 40.000 per i rigori della guerra, della deportazione e della prigionia nei lager

Uno dei rarissimi funzionari che cercò di contenere la furia devastatrice di Graziani fu il commissario Giuseppe Daodiace

Scriveva Daodiace a Giuseppe Brusasca il 7 gennaio 1951:

‘Che io non li approvassi risulta dalle tante e ripetute mie proteste, scritte ed orali, per il fatto che non si facevano mai prigionieri in occasione di scontri fra le nostre truppe e i ribelli e si fucilavano anche donne e bambini…’

‘Ogni giorno uscivano da el Agheila cinquanta cadaveri’ raccontava Salem Omran Abu Shabur. ‘Venivano sepolti in fosse comuni. Cinquanta cadaveri al giorno, tutti i giorni. Li contavamo sempre. Gente che veniva uccisa. Gente impiccata o fucilata. O persone che morivano di fame e di malattia’.

La reclusione nei campi durava mediamente tre anni. Gli ultimi lager sarebbero stati smantellati nel settembre 1933.

Dei 100.000 libici che erano partiti dal Gebel Achdar e dalla Marmarica, ne sarebbero tornati a casa 60.000. Forse di meno.”

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Da Angelo Del Boca, Italiani, brava gente? Un mito duro a morire, Beat, 2016 (1^ edizione Neri Pozza 2005), pp. 183-187.