Chi disprezza il povero e poi fa la carità

 

La sofferenza degli altri ci interroga. Tanti fanno finta di niente, tanti invece rispondono e si muovono. Decidono di fare la loro parte. Sabato scorso c’è stata la Colletta alimentare in Trentino-Alto Adige e in tutta Italia.

In 13 mila supermercati italiani (530 in regione) sono state raccolte 8 mila tonnellate di cibo (273 in regione) che i clienti hanno donato ai volontari (4.500 in regione) del Banco Alimentare che poi le metterà a disposizione delle 7.500 strutture caritative che in Italia aiutano 1 milione e mezzo di persone (come riferisce il quotidiano “Avvenire”).

Numeri impressionanti: di persone povere e di persone generose . Generosità di chi dona, generosità dei volontari impegnati nella raccolta, generosità delle tante persone e organizzazioni che ogni giorno stanno accanto ai poveri.

La sofferenza degli altri ci interroga . La fame, la sete, la mancanza di un letto, di una casa, di un lavoro, di salute, di affetti mettono in crisi le nostre sicurezze e il nostro stare bene. E decidiamo di rispondere. Ma i poveri e i sofferenti ci pongono anche un’altra domanda: una domanda di riconoscimento . Anche questa domanda attende da noi una risposta.

Gli esseri umani hanno fame non solo di cibo, ma di riconoscimento.

Chiedono di essere riconosciuti nella loro dignità di persone. Di persone come noi. Chiedono di essere rispettati, stimati, ascoltati . Come noi desideriamo essere rispettati, stimati, ascoltati. Guardati negli occhi.

Il razzismo nega il riconoscimento all’altro. Possiamo darle cibo e vestiti, ma è meglio che ce li teniamo se neghiamo alla persona che ci sta di fronte quel riconoscimento che noi chiediamo per noi stessi. Anche il disprezzo per il povero nega ogni valore alla carità che gli facciamo. La ridicolizza. Teniamocela, è meglio.

Anche l’odio per il rifugiato, per il migrante, per lo straniero nega il riconoscimento dell’altro. È meglio che ce li teniamo i nostri vestiti e il nostro cibo che diamo loro se non sono accompagnati dal rispetto, dalla stima, dalla volontà di ascolto .

Le persone hanno fame di farsi ascoltare, di dire la loro, di comunicare quello che hanno dentro, che sperano, che desiderano. Tutte le persone, noi stessi in primo luogo.

Noi siamo i primi a dire agli altri: senti, del tuo aiuto non me ne faccio nulla (neanche della tua visita a me che sono malato o anziano) se tu non mi riconosci nella mia dignità. Non sei tu che mi dai o mi togli la dignità, tu la devi soltanto riconoscere, perché io ce l’ho, come te, come ogni essere umano.

Si sono visti anche dei politici impegnati nella raccolta di cibo per i poveri. Mi domando: che cosa hanno fatto per combattere i vergognosi decreti “sicurezza” che hanno buttato in strada decine di migliaia di persone , prima accolte nelle strutture di accoglienza? Buttiamo in strada le persone e poi facciamo loro la carità. Giustizia ci vuole, giustizia prima di tutto.

La carità ipocrita è un’offesa. Ci vuole una politica che non produca poveri , innanzitutto. Che riconosca la dignità di ogni essere umano, con le leggi, con le decisioni quotidiane. Con l’economia, con la finanza.

La sofferenza degli altri ci interroga.

Lunedì 2 dicembre è morto a 91 anni Johann Baptist Metz , uno dei più grandi teologi e filosofi del nostro tempo.

Nato in Baviera, docente all’università di Münster, Metz, sempre in dialogo col pensiero protestante (Moltmann) e laico (la Scuola di Francoforte) ha cercato di pensare Dio e l’uomo, la chiesa e la politica, e il loro rapporto, partendo, soprattutto nella seconda fase del suo pensiero, dall’ “autorità”, dal primato di coloro che soffrono ingiustamente.

La sofferenza dell’innocente pone domande cui la ragione non sa dare una risposta. E anche la fede balbetta e può solo gettarsi nella folle speranza del ritorno finale di Cristo. Ma questa sofferenza, a partire da Auschwitz, giudica l’agire della politica, della religione, dei partiti, delle chiese.

È la sofferenza degli altri l’unico credibile pilastro della politica . Essa smonta, distrugge gli idoli della razza, dello Stato, del partito, della classe, del gruppo che sono state macchine di totalitarismo e di morte.

La sofferenza degli altri, ci ricorda Metz, ci libera dai vecchi e sciagurati idoli, e dopo Auschwitz è la sola autorevole . È come se il grande professore, dopo aver tutto pensato e tutto vagliato, avesse scoperto che la filosofia e la teologia servono soprattutto a demolire i falsi idoli.

È come se il grande pensatore avesse scoperto la verità di partenza, quella semplice del Vangelo. Non sarete giudicati per i vostri pensieri, né per il vostro credo, ma su questo : avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero malato, ero in prigione e mi avete visitato, ero forestiero e mi avete accolto. Soffrivo e mi siete stati accanto.

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 5 dicembre 2019.