Il coraggioso silenzio di De Marzi

Mamma e bimbo trovati, l’altro giorno, abbracciati nella barca in fondo al mare di Lampedusa.

I bambini del mare hanno gli occhi di conchiglia, / le scarpine di pezza cucite dalla mamma / prima di partire, prima di morire. / I bambini del mare sono un’ombra sulla riva, / i capelli di sole baciati dalla mamma / prima di partire, prima di morire.

Nei versi di uno degli ultimi canti di Bepi De Marzi, l’autore di “Signore delle cime”, e del suo coro, i Crodaioli, c’è tutto lo strazio della strage degli innocenti che continua a compiersi sotto i nostri occhi.

Occhi di ghiaccio, gelidi, senza lacrime. Occhi infastiditi e non più feriti dal dolore innocente. Occhi perfino inferociti. “Prego perché il Signore affondi quei barconi”, ha detto una buona vecchina. A tanto arriva la ferocia del nostro tempo, coltivata da una politica che osa dirsi cristiana. E che ha fatto una legge che vieta di soccorrere i naufraghi.

Politica feroce anche in questa nostra terra. Il leghismo al potere dispiega  razzismo ed egoismo. Un potere cui si vendono tante coscienze.

Bepi De Marzi è di un’altra pasta, è “un suono limpido della coscienza”, come diceva di lui Mario Rigoni Stern. Il compositore di Arzignano, cittadina del vicentino, si è lasciato ferire nel profondo dal dolore innocente, come sempre, e tre anni fa, con “I bambini del mare”, gli ha dato poesia e melodia. Dolore offeso dalla dilagante disumanità.

Ed è proprio questa disumanità uno dei principali motivi che hanno spinto Bepi De Marzi a chiudere e ad annullare 15 concerti in programma fino a Natale. A dire addio ai Crodaioli da lui fondati nel 1958. I quali hanno di conseguenza dichiarato di cessare l’attività.

Una notizia clamorosa, data il 5 settembre scorso dal “Giornale di Vicenza”, che ha colto tutti di sorpresa. E che ha avuto poca eco in questa nostra provincia dove i canti di De Marzi sono amatissimi (Cles, ad esempio, gli ha conferito tre anni fa la cittadinanza onoraria) e figurano da decenni nei repertori di tanti cori di montagna. Con l’immortale “Signore delle cime”, che De Marzi compose 61 anni fa, a 23 anni, in memoria di un amico, basti ricordare “Joska la rossa”, “La contrà de l’acqua ciara”, “Benia Calastoria”.

De Marzi, pur differenziandosi marcatamente, è sempre stato un grande estimatore (meglio, “debitore”) del coro della Sat e del suo storico maestro, Silvio Pedrotti.

La motivazione delle prime ore del clamoroso addio appare ancora sul sito ufficiale dei Crodaioli: “I Crodaioli hanno sospeso l’attività concertistica per ragioni molto delicate dipendenti dalla situazione auditiva di Bepi De Marzi dovuta all’incidente dello scorso maggio”. Motivazione smentita già il 6 settembre, sempre sul “Giornale di Vicenza”, dallo stesso maestro intervistato da Matteo Pieropan: “Forse la voglia di cantare mi è passata”.

Altre dichiarazioni  a questo e ad altri giornali hanno ulteriormente spiegato le ragioni dell’addio. “Le chiese sono sempre più vuote, e allora, a cosa serve mettere in musica la poesia della fede? Non c’è più la comunità orante, si è dispersa in questa società che a sua volta ha disperso valori”, ha detto a Paolo Coltro del “Corriere del Veneto” (15 ottobre).

E a Giampaolo Visetti di “Repubblica” ( 9 ottobre), già direttore del “Trentino”:

Scelgo il silenzio perché l’Italia non sa più ascoltare, la sua storia e quella degli altri. Il permesso concesso al dilagare della cultura leghista, al sovranismo localista e al neofascismo di Casa Pound sono una vergogna collettiva”.

Poco distante da Arzignano c’è un paese, aggiunge, dove

nel 1944 i nazisti bruciarono le case e la chiesa con dentro il parroco. Oggi governa un sindaco di Fratelli d’Italia che si ispira a Mussolini.

Quindi

per questa nazione irriconoscibile che confonde l’autonomia con l’autarchia e sostituisce la solidarietà con l’egoismo i Crodaioli non cantano più.

Speriamo ci ripensi, ma che lezione da Bepi De Marzi.

Le manine di sabbia cercavano cieli sereni / e giochi e sorrisi di amici nelle città senza muri e soldati

(I bambini del mare).

 

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 17 ottobre 2019