La verità sui lager libici

Foto da peacelink

Mediterraneo blindato, soccorsi delle Ong impediti, marina militare italiana frenata, navi con naufraghi bloccate nei porti o in mare. Crollano gli arrivi dei profughi. Grandi sospiri di sollievo. Ma i nostri sospiri di sollievo sono le loro urla di dolore. Che non ci facciano dormire la notte.

Urla di profughi che annegano senza che nessuno li veda. O li soccorra. Non sapremo mai quanti.

Urla di profughi che nei centri di detenzione-lager in Libia vengono picchiati, violentati, torturati. A morte, perfino.

 

“Non rimandateci indietro!”

Urla di profughi rimandati dagli italiani in Libia, come i 150 della nave Lady Sham, il 21 gennaio scorso. Imploravano: «Non rimandateci indietro! Meglio morire! Non rimandateci indietro!».

I nostri sospiri di sollievo sono le loro urla di dolore.

Come possiamo rifiutarci di salvarli?

Come possiamo rimandarli in Libia se sappiamo che quello per loro è un inferno? E fare questo in nome della legge? Brandendo perfino il rosario e il Vangelo?

Che popolo siamo diventati?

Noi lo sappiamo che la Libia è un inferno per i profughi.

Lo hanno dimostrato i reportage di molti giornalisti coraggiosi e le denunce delle più autorevoli organizzazioni umanitarie internazionali.

 

I lager denunciati dai rapporti delle Nazioni Unite

Lo dimostrano i numerosi rapporti delle Nazioni Unite. Ne citiamo quattro dei più rilevanti degli ultimi tre anni.

L’ultimo è del 20 dicembre 2018, Desperate and dangerous, sulla situazione dei diritti umani dei rifugiati e dei migranti in Libia[1].

Il 12 febbraio 2018 c’era stato un rapporto del Consiglio di Sicurezza sulla Missione Onu in Libia[2].

Il 18 dicembre 2017 un rapporto sulla tortura[3].

Il 13 dicembre 2016 il rapporto Detained and Dehumanised sulle violazioni dei diritti umani contro i migranti in Libia[4].

 

Le verità di questi rapporti

Tre verità escono da questi rapporti.

La prima: i centri di raccolta dei migranti in Libia sono dei veri e propri lager.

La seconda: questi lager sono allestiti e gestiti con la complicità-coinvolgimento delle autorità politiche e militari della zona.

La terza: Europa e Italia finanziano e armano le autorità militari e politiche libiche perché fermino i migranti in questi lager o ve li riportino quando vengono soccorsi in mare.

 

I lager: estorsioni, violenze, torture, morte

I lager. I migranti sono trattenuti in capannoni o hangar in condizioni disumane, picchiati e torturati, le donne violentate, finché i loro familiari non pagano un riscatto.

La richiesta di riscatto avviene via telefono mentre il migrante viene picchiato a sangue o torturato in modo che i familiari sentano, e a volte vedano, in diretta cosa accade, e cosa di peggio potrebbe accadere, se non pagano.

Ad avvenuto pagamento, tramite emissari appartenenti all’organizzazione, i migranti vengono portati all’imbarco per l’Italia.

La morte o la vendita al mercato degli schiavi, dei trafficanti di esseri umani e di organi, attende chi non paga.

 

Lager libico. Foto tratta da “Avvenire”, il giornale della Cei (Conferenza episcopale italiana) che da anni è in prima fila, soprattutto con i servizi di Nello Scavo, nel denunciare con coraggio e senza timori reverenziali verso nessuno – a partire dai vari governi italiani – il dramma dei lager libici e delle responsabilità politiche nelle stragi in mare dei profughi.

 

Lager di Bani Walid: la sconvolgente sentenza del Tribunale di Milano

Accanto ai documenti delle Nazioni Unite abbiamo, sui lager libici, anche una sentenza della Corte di Assise di Milano del 10 ottobre 2017 che, in prima istanza, ha condannato all’ergastolo il somalo Matammud Osman giudicato responsabile, grazie a una decina di testimoni «assolutamente credibili», della morte di 13 profughi nel lager libico di Bani Walid che il somalo gestiva con violenza inaudita.

Osman era stato casualmente riconosciuto alla stazione di Milano da alcuni connazionali, che avevano subito le sue angherie in Libia, i quali lo avevano bloccato e poi consegnato ai carabinieri.

Le 132 pagine della sentenza sono un documento sconvolgente sulle condizioni di vita nel centro di raccolta di Bani Walid:

questo [centro] era dotato di un grandissimo hangar all’interno del quale venivano tenute recluse circa cinquecento persone. Intorno a questo capannone c’era un cortile sorvegliato da uomini libici armati di fucili, rinchiuso a sua volta da mura di cinta.

I migranti dormivano tutti insieme, uomini e donne, nel capannone ed erano così ammassati che non c’era neanche lo spazio per muoversi.

L’hangar non era areato, le condizioni igieniche erano del tutto scadenti, c’erano pidocchi ovunque, molti migranti soffrivano malattie della pelle.

Non potevano lavarsi, il cibo fornito era scarso.

La notte il capannone veniva chiuso dall’esterno con un lucchetto e da quel momento veniva negato anche l’accesso ai due bagni che si trovavano subito fuori dal capannone, ma sempre all’interno delle mura.

Fuori dal capannone vi erano anche alcune piccole costruzioni: una stanza detta Amalia o anche stanza delle torture … [5]

Il somalo aguzzino che gestiva il campo diceva ai migranti: «Da qui possono uscire solo due persone: una persona che ha pagato i soldi e una persona che è morta». In ogni momento entrava nel capannone e portava via le ragazze che voleva.

 

Il libro è curato dall’Asgi-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Un’associazione impegnata con rigore giuridico e con passione umana e civile a difesa dei diritti dei migranti e dei profughi e che è un punto di riferimento insostituibile per quanti hanno a cuore la difesa e la promozione dei diritti umani.

 

Funzionari ministeriali coninvolti nel traffico di essere umani

Seconda verità. La Libia non ha uno Stato, ma due governi e innumerevoli milizie e bande di criminali che si spartiscono e contendono il potere.

Le Nazioni Unite dichiarano nel Rapporto del 20 dicembre 2018, sopra citato, di essere in possesso di «credibili informazioni sulla complicità di ufficiali dello Stato, rappresentanti del Ministero degli Interni e della Difesa nel traffico di migranti e rifugiati».

Non esistono carcerieri, aguzzini, trafficanti e scafisti che non agiscano con la complicità o il coinvolgimento delle autorità politiche e militari libiche.

 

I responsabili libici finanziati da Europa e Italia

Terza verità. Europa e Italia hanno costruito a partire dal 2016 (governo Gentiloni, ministro Minniti) la Guardia costiera libica, con finanziamenti, dotazioni di motovedette e armi, formazione di personale.

Ci sono relazioni molto strette tra Guardia costiera libica e milizie locali che gestiscono il traffico dei migranti.

L’Onu documenta l’uso di armi da fuoco, la violenza fisica e comportamenti razzisti da parte della Guardia costiera libica nei confronti dei migranti.

Non riconsegnateci a loro!

urlano i migranti. I nostri sospiri di sollievo sono le loro urla di dolore.

 

 

Gli affari d’oro di Eni, industria dello Stato italiano, in Libia

Questo l’inferno libico dove sono rinchiusi o ricacciati i migranti. Con la nostra collaborazione. Mentre in Libia facciamo affari d’oro.

Perché la Libia è per noi un paradiso.

Per l’Eni, ad esempio, che è controllato dal nostro Ministero dell’economia e delle finanze.

La Libia oggi produce quasi un milione di barili al giorno di petrolio (953.000), che fanno gola a molti, e punta al raddoppio in due-tre anni, come ha dichiarato recentemente a Bengasi il presidente della compagnia statale Mustafa Sanallah.

L’Eni di questo milione di barili ne produce 400 mila.

Il petrolio libico è parte consistente dell’«ottimo 2018», come ha dichiarato il 15 febbraio scorso a «Il Sole 24 ore» Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni.

Descalzi proporrà al consiglio di amministrazione del prossimo 15 marzo il pagamento di un dividendo di 0,83 euro per azione.

Sospiri più che di sollievo da parte dei 249.689 azionisti italiani (sul totale di 257.006).

Le mani dell’Eni saranno anche pulite, ma quante mani insanguinate hanno dovuto stringere nell’inferno libico per farne un paradiso di affari?

Poveri migranti. Che le vostre urla di dolore non ci facciano dormire la notte.

 

Pubblicato sul quotidiano «Trentino» il 23 febbraio 2019 e poi nel libro “Tempi feroci. Vittime, carnefici, samaritani”.

 

Note

[1] Desperate and Dangerous: Report on the Human Rights Situation of Migrants and Refugees in Libya, United Nations Support Mission in Lybia, Office of the High Commissioner for Human Rights, 20 December 2018;

[2] Report of the Secretary-General on the United Nations Support Mission in Libya, United Nations, Security Council, 12 February 2018;

[3] Report on the Special Rapporteur on Torture and other Cruel, Inhuman, Degrading Treatment or Punishment, United Nations, Human Rigths Council, 28 Februray 2018;

[4] Detained and Dehumanised: Report on Human Rights Abuses Against Migrants in Libya, United Nations Support Mission in Lybia, Office of the High Commissioner for Human Rights, 13 December 2016.

[5] Il testo della sentenza, accompagnato da autorevoli commenti, si può trovare sul fascicolo 2, luglio 2018 della rivista online «Diritto, Immigrazione e Cittadinanza» (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it); da segnalare anche il libro L’attualità del male. La Libia dei Lager è verità processuale, a cura di M. Veglio, prefazione di D. Quirico, Edizioni SEB27, Torino 2018, con testi a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che si è costituita parte civile nel processo a carico di Matammud Osman.