Rubare sui disperati

Rubare sulla pelle dei disperati è ripugnante. Toglie il respiro, rischia di precipitarci nello sconforto più nero. Ma è proprio senza freni e senza pudore questa corruzione. Perché si è arrivati a questo punto? A rubare, come è successo a Roma, e non solo, sui rifugiati, sui migranti in fuga dalle bombe e dai proiettili, dalle prigioni e dalla fame?

Esseri umani che hanno attraversato deserti e mari e rischiato la vita per trovare la loro piccola terra promessa. Un pezzetto di terra, un tetto, dei volti cari, delle mani tese.

Sopravvissuti ai naufragi (3.400 morti lo scorso anno nel Mediterraneo! Ottocento in un solo spaventoso naufragio quest’anno!), alla ferocia e all’ingiustizia, che cercano umanità e giustizia e che spesso trovano ostilità e inimicizia.

 

Resistere

 

Ma che possono addirittura trovare la finta amicizia di sciacalli che rubano sull’accoglienza, che infangano questa sacra parola. Una parola così grande e così difficile, che può trasformare la disperazione in speranza. Ora offesa dalla corruzione senza pudore.

Bisogna resistere anche a questo.

Quelli che si mettono, come volontari o come operatori, al servizio dei poveri e dei deboli devono resistere. Ma non in difesa, all’attacco. All’attacco non solo dei corrotti, implacabilmente, ma anche delle possibili degenerazioni cui le stesse organizzazioni al servizio dei poveri e dei deboli e le stesse persone che ne fanno parte possono andare incontro.

 

Servire i poveri non può essere un affare

 

Servire i poveri non può mai essere un affare. Una cooperativa sociale non può mai cercare il profitto. Non può guadagnare sui poveri e sui deboli. Ha il dovere di spendere ogni soldo – pubblico o privato che sia – con un di più di rigore e di efficienza. Ma anche con un di più di disinteresse. Con l’unico obiettivo che i soldi siano spesi bene per le persone che si servono. Non per se stessi o per le proprie organizzazioni.

Ecco: servire. Servire i poveri, servire i deboli. Anche se si è dipendenti, professionisti, non solo se si è volontari.

Abbiamo il dovere di alzare la bandiera dell’ideale di servire i poveri, di servire i deboli (rifugiati, malati, anziani, senza dimora, carcerati, disabili, tossici…), sia che lo si faccia come professione sia che lo si faccia come volontariato puro.

 

Gli ideali muovono la storia, non solo il profitto

 

I grandi ideali sono un potentissimo motore della storia, non lo è solo il profitto. Il profitto muove un pezzo della storia umana. Ma le persone non sono tutte qui. L’essere umano non vive di solo profitto.

Gli esseri umani sono capaci di spendersi per gli altri con totale disinteresse e insieme con grande efficienza.

In questi anni spesso anche nel mondo del sociale è prevalsa la tecnica, quasi che i buoni e grandi ideali fossero d’intralcio alla professionalità. Quasi che lo spirito di servizio («servizi sociali» si chiamano ancora!) dovesse coincidere con i contratti.

Bisogna tornare a credere che lo spirito autentico di servizio è il primo motore di una cooperativa sociale, di un ente di assistenza, di una associazione che si propone di aiutare i più deboli. È il primo indicatore di qualità. Al di là di tutte le certificazioni oggi di moda: spesso maschere dietro le quali c’è il nulla. C’è il vuoto. Ed è in questo vuoto che poi nascono gli affaristi e gli sciacalli.

 

Pubblicato sul quotidiano “l’Adige” l’8 giugno 2015