Il profumo di un caffè. Una storia di Natale

La colonna di sette rossi automezzi incrocia poche macchine in questa grigia domenica di dicembre.

Alle nove di mattina anche in Umbria tanti ancora dormono.

Il dolce paesaggio veste dimesso, ora, ma i tratti eleganti di una indiscutibile nobiltà affiorano dalla nebbiolina coi nomi importanti e cari di città e borgate.

Scivola silenziosa e discreta la colonna. Ma per quanto cerchi di non farsi notare, stupisce i rari passanti, sorprende i pochi automobilisti. Che ci fanno, penseranno, da queste parti e a quest’ora i vigili del fuoco volontari trentini? Se lo sapessero si stupirebbero ancor di più. Ma forse non lo sapranno mai.

 

Montefalco

La colonna lascia Santa Maria degli Angeli, ai piedi di Assisi. Va a Montefalco, trenta chilometri più a Sud, dalle clarisse, ospitate nel convento di San Fortunato da quando il terremoto di tre anni fa le costrinse ad abbandonare il loro monastero di Foligno.

È il primo dei tre monasteri di clarisse (le Sorelle Povere, l’ordine di rigida clausura e povertà fondato da S. Chiara e S. Francesco) che i quindici uomini trentini in tuta arancione visiteranno in questa mattinata domenicale grigia e fredda che un tiepido sole verrà poi a riscaldare.

Come le case, anche i conventi, qui, sono sempre in cima a una salitella. La colonna la guadagna alla trentina, con giudiziosa spavalderia, e si ferma davanti all’alto muro che circonda il convento di S. Fortunato.

Poco dopo una suora viene ad aprire il grande cancello del giardino. I sette automezzi entrano e si fermano sotto gli olivi che ombreggiano l’ingresso posteriore. Una decina di suore ci accolgono festanti. Ci conoscono, e lo scambio di saluti è affettuoso e caloroso, e sorprende chi le incontra per la prima volta ancor carico di un rispetto che sconfina nella diffidenza.

Invasi come siamo dalla volgarità di raggelanti sorrisi di cartapesta, i volti delle clarisse, freschi o segnati dal tempo, appaiono come un miracolo di gioia vera che ci riconcilia con il mondo e la vita. Curioso che ad esserne capaci siano proprio loro, le recluse, le separate dal mondo e dalla vita, le povere per eccellenza. Quasi reperti di una umanità perduta, simili a certi endemismi, pianticelle insignificanti e appartate, ma rarissime e preziose, sopravvissute alle glaciazioni.

Le Sorelle Povere conoscono bene i vigili del fuoco volontari del Trentino da quando, dopo il terremoto , le clarisse di Assisi che erano state affidate all’assistenza dei trentini, impegnati nei soccorsi al vicino comune di Valtopina, fecero loro presenti le necessità delle sorelle di Foligno. “Andate anche da loro, se potete”.

I trentini andarono, e da quel momento non le hanno più abbandonate. Hanno messo al sicuro gli antichi mobili e libri del disastrato monastero di Foligno che rischiavano la rovina e il furto. Hanno aiutato le suore a risolvere problemi elettrici, idraulici, logistici.

Ogni tanto una o più squadre scendono dal Trentino, nei fine settimana, la benzina a carico del Corpo dei pompieri, il vitto e l’alloggio a carico di ciascun volontario. Tra loro anche giovani, stavolta pure una ragazza.

Sono trasferte impegnative, ma sono in tanti a voler venire e così si alternano. Danno una mano, fanno i lavori pesanti, ma portano anche casse di alimentari. Qui la povertà trionfa, come scelta non come maledizione. Scelta di libertà, di dedizione totale a qualcosa che conta di più.

Ciascuno ha le sue libertà e le sue schiavitù. Basta guardarsi attorno in questi giorni che precedono il Natale.

“Avete scelto di vivere corporalmente rinchiuse e di dedicarvi al Signore in povertà somma, per poter servire a Lui con animo libero”, scriveva papa Innocenzo IV nella bolla con cui otto secoli fa approvava la regola monastica delle figlie spirituali di Francesco e Chiara.

La povertà è dunque loro cara amica, ma il terremoto le ha private di tutto, anche di quel che serve per sopravvivere.

Sono trenta le clarisse in questo convento e hanno pochissimi mezzi. Qualche modesta pensione, o i proventi dei loro lavori a mano, qualche gesto generoso da fuori. Loro non chiedono nulla: “Ci basta quello che abbiamo e di quello che non abbiamo facciamo a meno”. Ma come è possibile lasciarle in quelle condizioni?

Anche oggi i vigili volontari scaricano imperterriti dai sette rossi automezzi patate e mele, formaggio e farina, zucchero e arance, latte e carne.

Sono doni della Val di Non, del distretto di Cles in particolare da cui provengono i pompieri di questa spedizione, ma anche di Torcegno e della Valsugana, di Trento città, di associazioni, degli amici del Forum trentino per la pace, di aziende, gruppi, persone, famiglie.

C’è anche un albero di Natale. E suor Angela, la giovane e spigliata superiora, stavolta fa un salto dalla gioia.

Suor Angela e la suora vicaria ci fanno entrare e sedere attorno a un tavolo e ci offrono caffè e biscotti.

Con me ci sono l’ispettore Fauri, il comandante del gruppo di Coredo, Vittorio Leonardelli, il presidente dell’Associazione Usi Civici di Livo, Tullio Conter, il maresciallo dei carabinieri di Rumo, felice anche lui di essere stato coinvolto in questa strana ed emozionante vicenda.

 

 

Le suore ci raccontano dello stato dei lavori di ristrutturazione del loro monastero di Foligno che ha un grande valore storico e artistico. Il dormitorio, il refettorio e la cucina sono pronti. Ma non l’infermeria, per le suore malate e anziane, e la chiesa. Non possono farne a meno e quindi non possono ancora rientrare.

Ci parlano delle difficoltà burocratiche, dei problemi fiscali, della complessità di certi lavori di restauro che nessuno sa più fare, del rischio di furti e della sorveglianza da garantire. Sono contente anche soltanto di poterne parlare con noi, di trovare attenzione, ascolto, ci dice suor Angela.

Ma vengono a chiamarci perché dobbiamo partire. Ci aspettano le clarisse di Spello, e poi quelle di Assisi. Suor Angela ci chiede di attendere un attimo. Va e ritorna con un piccolo dono di Natale: un centrino rosso e inamidato con un Gesù Bambino in terracotta e una candela.

E un biglietto:

Sono tante le cose che vorrei dire a ciascuno dei nostri amici trentini… Ieri sera pensandovi, mi è venuto questo pensiero: la nostra scelta di povertà ci ha rese bisognose. Lo vediamo sempre, ma soprattutto quando un evento come il terremoto ha sconvolto la nostra vita. Ma il nostro bisogno ha allargato gli spazi del vostro cuore per accoglierci. Questo è stato per noi un dono così grande che ci fa sentire ricche, e meno sole nell’affrontare le gravi difficoltà della ricostruzione. Non mancano i momenti in cui prevale l’incertezza per il futuro… ma abbiamo la certezza di una mano amica. Grazie.

 

Spello

Spello. “Si allunga su uno sperone del Subasio, alto sulla Valle Umbra, e più di ogni altro luogo della valle serba memorie romane. Nella sua antica immagine, case in calcare del Subasio su strette vie, orti retrostanti affacciati al panorama, androni in ombra, cavalcavia sui vicoli. I Baglioni, che l’ebbero per un periodo, si fecero affrescare sontuosamente una cappella dal Pinturicchio”. Così recita la guida.

Il trecentesco monastero delle clarisse di Santa Maria di Vallegloria, il secondo fondato da S. Chiara dopo quello di Assisi, è proprio alla sommità di questa incantevole borgata che nella giusta stagione i turisti assalgono a frotte aggiungendosi agli ottomila abitanti.

Ma i pensieri dei trentini che salgono con la rossa colonna di automezzi e la consueta giudiziosa baldanza non inclinano alla poesia, anche se è difficile ignorare il fascino del luogo.

Ieri sono stati qui e hanno scaricato sotto il porticato del convento venti quintali di legna della Val di Non. Le suore avranno di che riscaldarsi, anche oltre il Natale. Oggi si porta dell’altro.

Attendiamo un po’ prima di entrare. Si sente il canto dolcissimo delle clarisse che provano per la messa delle undici. Chi direbbe sentendo questo canto che dentro è così freddo e la vita così difficile?

Suor Giacinta, l’anziana superiora, viene ad aprirci e ci accoglie con altre cinque suore. Entusiaste e affettuose come sempre.

Un caffè, i biscotti. I lavori? Proseguono, ma il convento è grande, i danni del terremoto ingenti, i problemi tantissimi.

Qui vivono ventisette clarisse, alcune, quasi abusivamente, nell’edificio ancora disastrato, altre nel container in giardino. Mentre facciamo il punto della situazione, i pompieri scaricano viveri.

Con le carriole portano dentro, sotto le antichissime volte, forme di grana trentino, sacchi di patate, casse di arance, pacchi di latte e farina, bottiglie di acqua minerale. Le suore, bardate delle loro vesti francescane e di qualche sciarpa, guardano stupite.

Anche i pompieri guardano stupiti, ancora una volta. Le suore felici per la farina? per le patate? per l’acqua? Felici di questo nel cuore della civiltà, della cristianità, della cultura, dell’arte, del turismo, del consumo, dello spreco? Guardano attoniti questa povertà, e questa dignità ancora più grande.

Anche per le clarisse di Spello c’è un albero di Natale. “Che meraviglia! Non lo abbiamo mai avuto!”, esclama una giovane suora. Suor Giacinta è commossa: senza di voi che ne sarebbe di noi?

Se siamo qui è perché Guido Lenzi, usciere del Consiglio provinciale del Trentino, vigile del fuoco volontario, amministratore comunale, all’inizio di quest’anno, proprio il giorno dell’Epifania, raccolse a Telepace l’appello discreto ma inequivocabile di queste suore che chiedevano aiuto.

Se le clarisse chiedono aiuto devono essere proprio in situazioni disperate. E così era.

Con il comandante provinciale Sergio Cappelletti, e con Giorgio Pedrotti, Guido era già tra i principali animatori dei soccorsi alle suore di Assisi e Foligno. Non ascoltò soltanto l’appello, visto che quelli che dall’Italia vi risposero si contarono su una mano (ma la comunità cristiana, vicina e lontana, la comunità civile, i movimenti, le associazioni, sanno, vedono, sentono, si parlano, si aiutano? e poi, non è forse questo un esempio mirabile di svelamento della truffa della comunicazione che ci assale? sappiamo quante volte al giorno vanno in bagno quelli dei Grande Fratello e non sappiamo queste cose…).

Guido si mosse subito, coinvolse chi poteva, e due settimane dopo era a Spello coi volontari di Torcegno e Fornace per portare cibo e vestiario alle suore. A febbraio si fece un altro viaggio, con altre persone e altri aiuti.

Le Sorelle Povere non chiedono mai nulla, ma lui ha il dono segreto di captare i bisogni anche inespressi. A un anno di distanza le guance delle suore sono meno incavate. Ma la dispensa è ancora quasi sempre vuota. E solo qualche stanza è riscaldata. Se c’è legna.

Non c’è tempo per raccogliere tutti i sorrisi e i ringraziamenti delle clarisse, alcune delle quali molto giovani e anche belle. Non vi abbandoneremo, non preoccupatevi, dicono loro i trentini. “Pregheremo per voi!”, rispondono col consueto volto illuminato.

 

Assisi

Si parte, Assisi ci attende.

Là, altri quindici vigili del fuoco volontari trentini con un camion e due automezzi stanno da ieri aiutando le clarisse a traslocare. Tornano a casa.

Il monastero di S. Chiara ad Assisi, cuore di una delle più alte vicende della spiritualità occidentale, vive le ultime ore di apertura al mondo esterno.

Tra due giorni, le suore rientreranno definitivamente da Monteripido dove sono state ospitate in questi tre anni dopo il terremoto.

Le porte si chiuderanno per sempre. La rigida clausura impedirà ogni contatto con loro.

Ma adesso, sul mezzogiorno di questa singolare domenica prenatalizia, ora non più fredda e grigia, l’antichissimo monastero rimesso a nuovo da un imponente restauro è percorso in lungo e in largo dagli uomini arancione trentini. Portano pacchi, oggetti, mobiIi.

Sei suore si muovono rapide e radiose con loro. Si caricano di pesi, dirigono il traffico di tavoli, casse, cassapanche, scatoloni.

Il convento è grande, i corridoi lunghi, le scale tante. Le suore che vi abiteranno quarantatré. Ciascuna ha sistemato le sue cose in scatole di cartone. Sopra c’è il nome scritto a pennarello.

Gli uomini arancione portano gli scatoloni davanti alla porta della cella, ancor vuota, della suora. O dentro, se così si chiede loro.

Questo è di suor Isabella, dove va? Questo è di suor Vestiaria, questo di suor Elisabetta, questo di suor Viridiana,… anche qui un altro pacco di suor Elisabetta,… questo è di suor Lucia. Suor Lucia è la madre badessa, ma oggi è a Monteripido, con il grosso della comunità. Portano le sue cose impacchettate nella sua cella. Uguale alle altre: un letto, un lavandino, un armadio, un inginocchiatoio.

Intanto, quattro vigili del fuoco lavorano attorno a un grande Cristo in legno deposto su un muretto, mentre altri portano dentro le solite casse di mele della Val di Non, le preziose patate, l’adorata farina, il latte e il grana trentino, attesissimi, lo zucchero. Si può stare senza zucchero? E un albero di Natale.

II tempo corre, bisogna andare a mangiare e poi prendere la via del ritorno. Suor Daniela, la vicaria, vivacissima, dolce e guizzante, non sa più come ringraziare.

Ma il commiato da lei e dalle altre Sorelle Povere di Assisi non è soltanto affettuoso. Questo è l’ultimo incontro. Tra poco la comunità potrà finalmente ricostituirsi, qui dove la vollero Francesco e Chiara, dopo la ferita dolorosa e sconvolgente del terremoto. E il monastero riprenderà la sua vita normale.

Ma quando vi passeremo accanto, d’ora in poi, lo guarderemo con altri occhi. E quando nella chiesa di S. Chiara sentiremo il canto delle clarisse inondarci da un luogo nascosto, ricorderemo nomi, volti, sorrisi, strette di mano, abbracci, pensieri, preoccupazioni, gioie vere, e il profumo di un caffè.

Gli uomini arancione tornano a casa sull’imbrunire. Stanchi, emozionati, contenti, stupiti.

Scivolano sparsi e silenziosi coi loro rossi automezzi tra le strette vie di Assisi affollate di turisti e grondanti luminarie. Sfiorano i negozi traboccanti.

Guido, però, nel corso della giornata, non aveva disattivato le sue speciali antenne con le quali riesce misteriosamente a captare certi segnali, e sul rosso furgone di Coredo che ci riporta a Trento dice: “Ho sentito che a Spello c’è un altro convento di suore in una triste situazione, e ancor peggio uno a Nocera Umbra. Pare stiano proprio male. Che si fa?”.

 

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Notizia

Il testo qui pubblicato é uscito per la prima volta sul quotidiano trentino “l’Adige” il 23 dicembre 2000. La giornata di cui si parla è quella del 16 dicembre. Nei mesi successivi, e per tutto l’anno, i Vigili del fuoco volontari del Trentino hanno continuato ad aiutare le clarisse. Con le mele, il formaggio, l’acqua, la manodopera, e tutto il resto.

Anche con l’amicizia. Come nello splendido giorno, l’11 agosto 2001, della piena restituzione al culto e ai visitatori della basilica di S. Chiara, completamente restaurata dopo il terremoto. O come a Spello, l’8 luglio 2001, in occasione dell’emozionante liturgia di iniziazione, professione temporanea e professione perpetua di sei sorelle. Segni di rinascita dopo i giorni neri. Inizi di nuove storie nella miracolosa storia delle Sorelle Povere.

Tuttavia le comunità di Spello e Foligno patiscono ancora, e non poco, le conseguenze del terremoto. I volontari trentini sono sempre accanto a loro, è vero. Ma altri aiuti dovrebbero aggiungersi, perché le necessità sono tante anche se le clarisse cercano di nasconderle, maestre come sono nell’arte dell’occultamento.

Se passate da quelle parti bussate alla loro porta, lasciate qualcosa, come fanno di solito i volontari trentini. Riceverete molto. (2001)

 

Pubblicato sul giornale “l’Adige” il 23 dicembre 2000 e ristampato in opuscolo in occasione del Natale 2001.