Violenti e immorali. Albanesi di oggi? No, trentini di ieri (emigranti in Vorarlberg)

Voglio cominciare questo mio intervento leggendo un testo che ho trovato sulla rivista “Trentini nel mondo” (numero di febbraio del 1999), che è il mensile dei nostri emigranti.

 

 

 

Vincenzo Passerini

presidente del Forum Trentino per la Pace

 

Relazione introduttiva

al convegno

Immigrazione in Trentino, progettare la cittadinanza

promosso dal Forum trentino per la pace, Trento, 6-7 maggio 2000.

 

 

Voglio cominciare questo mio intervento leggendo un testo che ho trovato sulla rivista “Trentini nel mondo” (numero di febbraio del 1999), che è il mensile dei nostri emigranti.

 

Il tuo Cristo è ebreo.

La tua macchina è giapponese.

La tua pizza è italiana.

La tua democrazia è greca.

Il tuo caffè è brasiliano.

Le tue vacanze sono turche.

I tuoi numeri sono arabi.

La tua scrittura è latina.

E tu rimproveri

al tuo vicino’

di essere

uno straniero.

 

L’intolleranza vista dai giovani emigranti trentini

L’ho scelto, questo testo, non solo perché è molto bello, molto vero, perché con poche parole apre i nostri occhi che spesso guardano ma non vedono; l’ho scelto anche per il luogo dove l’ho trovato, cioè la rivista degli emigranti trentini.

In particolare, il testo era inserito in un dossier di quattro pagine sull’intolleranza, elaborato dai giovani emigranti trentini in occasione dell’annuale incontro europeo.

Un dossier interessante, perché i giovani emigranti trentini l’intolleranza non solo la studiano, ma la subiscono. E ancor di più l’hanno subita i loro padri e i loro nonni. Perché loro sono gli stranieri, loro sono i diversi, loro sono quelli che vengono da altri Paesi, che hanno un’altra lingua, hanno altri costumi e tradizioni, loro hanno avuto bisogno del lavoro e del rispetto altrui.

 

Emigranti coraggiosi, immigrati invadenti

Vedete: noi non possiamo parlare di immigrazione senza ricordarci che siamo stati – e lo siamo ancora in parte – un popolo di emigranti.

Cioè siamo stati e siamo anche noi un popolo di immigrati per i Paesi che ci hanno accolto (quante volte l’Antico Testamento ripete: onora il povero, l’orfano, la vedova, lo straniero perché anche voi foste stranieri nella terra d’Egitto!).

Siamo stati anche noi emigranti, cioè immigrati.

“Emigranti” è una parola in qualche modo nobile. Evoca coraggio, tenacia, capacità di rompere con il proprio mondo per cercarne un altro, a costo di andare incontro a tante difficoltà, a tante incomprensioni, anche a, tante umiliazioni.

Ma di andarci fieri di se stessi, fieri della propria storia, per quanto umile possa essere. E ostinati a realizzarsi, a poter esprimere quanto più possibile ciò che si ha dentro, a rivendicare il proprio diritto a un di più di felicità, a un di più di benessere per sé e per la propria famiglia, a un di più di cultura, a un di più di libertà.

“Immigrati” non é invece una parole altrettanto nobile. Evoca disturbo, fastidio, occupazione di spazio altrui. Evoca invadenza, rumore, confusione. Evoca anche di peggio nel1’immaginario collettivo dei nostri giorni.

Non é forse vero?

Eppure, ambedue queste parole, l’una nobile l’altra meno nobile, indicano la stessa cosa, la stessa realtà.

Cambia soltanto il punto di vista, il punto di osservazione. Noi ci vediamo e ci raccontiamo come emigranti (con tutto quel che di nobile questo evoca). Gli altri (gli svizzeri, i germanici, i francesi, i belgi, gli americani, gli australiani) ci raccontano come immigrati (con tutto quello che di poco nobile questo evoca).

Dopo tutto, se i nostri libri di storia parlano di invasioni barbariche, quelli dei nostri vicini tedeschi parlano di migrazioni dei popoli. Siamo sempre lì. Cambia i1 punto di osservazione. Emigranti o barbari?

Quando impareremo, allora, a spostarci un po’ dal nostro punto di osservazione? Forse capiremmo meglio il mondo, gli altri, noi stessi.

 

Emigranti trentini in Vorarlberg

Ma restiamo su questo terreno, perché è quello più decisivo secondo me.

Perché noi – dico noi trentini, ma anche noi italiani in generale – possiamo affrontare adeguatamente la questione dell’immigrazione solo se facciamo i conti fino in fondo con la nostra storia di immigrati.

Perché è solo così che comprendiamo quanto siamo parziali nelle nostre vedute, quanto siamo smemorati, quanto crediamo di essere originali e moderni nei giudizi che rifiliamo agli stranieri senza sapere che sono stati gli stessi che gli altri rifilavano a noi.

Suggerisco a questo proposito la lettura, o almeno la consultazione, del volume Dal Trentino al Vorarlberg. Storia di una corrente migratoria tra Ottocento e Novecento, un magnifico volumone di 735 pagine che raccoglie ricerche e studi di autori austriaci, e di due trentini, sull’emigrazione trentina nel Vorarlberg, che è uno dei Länder che formano la Repubblica federale austriaca, tra la fine dell’Ottocento e gli anni che precedettero la prima guerra mondiale.

Il volume è stato tradotto (anche se in un italiano a volte piuttosto zoppicante) e meritoriamente pubblicato a cura della Provincia autonoma di Trento nell’agosto del 1998.

 

L’edizione italiana dell’ampia ricerca realizzata da studiosi austriaci, con l’aggiunta di due studiosi trentini, Casimira Grandi e Renzo M. Grosselli, pubblicata dalla Provincia autonoma di Trento con la cura di Casimira Grandi (1998). Nella prefazione il presidente del Land Vorarlberg, Herbert Sausgruber, scrive che “almeno il 20 per cento degli abitanti del Vorarlberg conta un trentino tra i propri antenati. Io sono uno di questi”.  Ricorda, tra l’altro, che migliaia di trentini  lavorarono alla costruzione della ferrovia dell’Arlberg, “una delle opere più importanti del secolo scorso”. Le immagini qui pubblicate sono tratte da questo volume.

 

Da segnalare anche il libro dello studioso austriaco Reinhard Johler, Mir parlen italiano. La costruzione sociale del pregiudizio etnico: storia dei trentini nel Vorarlberg (Trento, pp. 213) uscito in Austria nel 1987 e pubblicato in italiano nel 1996 dal Museo Storico in Trento con una introduzione di Renato Monteleone.

 

L’immagine offensiva dello straniero (trentino)

Tra la ventina di studi pubblicati ce n’è uno che colpisce in modo particolare.

È intitolato “Lo scontro tra due mondi: la strumentalizzazione politica della contrapposizione fra l’identità. dei vorarlberghesi e l’immagine dello straniero”. Autrice è Monika Volaucnik-Defrancesco.

Leggendolo, un trentino rimane esterrefatto, stupito, scandalizzato, offeso. Non per le cose dell’ottima autrice scrive. Ma per le verità storiche che rivela.

Ma possibile – ci viene da dire – che i nostri vicini austriaci, allora nostri connazionali perché uniti a noi dentro l’unico Stato imperiale austriaco, possibile che ci vedessero così male?

Ma noi – ci viene spontaneo reagire – non siamo come ci dipingevano loro.

Ma che paura potevano avere di noi trentini?

Quali minacce potevano mai portare loro i nostri bisnonni, i nostri nonni che andavano là soltanto perché trovavano lavoro in abbondanza?

 

 

Immigrati impegnati nella costruzione delle ferrovie in Vorarlberg (foto tratta dal libro “Dal Trentino al Vorarlberg”). Per le imponenti opere pubbliche realizzate in Vorarlberg erano indispensabili i lavoratori stranieri, molti dei quali italiani e trentini (il Trentino allora appartenevea all’Austria).

 

“Rozzi, aggressivi, pericolosi”

Inoltriamoci un po’ nel testo della Volaucnik-Defrancesco che ha analizzato l’atteggiamento della stampa, dei partiti politici, ma anche i testi delle canzoni popolari.

Facciamo un piccolo bagno di immigrazione, più che un vero e proprio bagno, che non ne abbiamo il tempo (si tratta di uno scritto di cinquanta fitte pagine), magari soltanto qualche spruzzatina, giusto per assaggiare un po’ il mondo visto dall’altra parte.

Leggendo, ci sembra di ritrovare discorsi a noi familiari, però riferiti ad altri.

Era dilagante la convinzione – scrive l’autrice – che i trentini (e gli italiani in generale) fossero rozzi e non di rado aggressivi; peculiarità alle quali ne venivano associate altre, per lo più negative …

L’accusa di atteggiamento aggressivo emerge anche nei Trentinerlieder (canti popolari riferiti ai trentini), sempre in relazione ai tafferugli che si sviluppavano il più delle volte nelle locande …

Il “Vorarlberger Volksblatt” riportava con la massima convinzione che i lavoratori trentini (riferendosi nello specifico agli operai di fabbrica di Frastanz) quando riscuotevano lo stipendio lo utilizzavano innanzi tutto per “placare la loro sete di acquavite.

Ma anche:

Nelle sale delle osterie gridavano come indemoniati durante i loro giochi nazionali” …

Fra l’altro, veniva attribuito alla popolazione trentina il frequente uso del coltello come arma; alcuni episodi erano stati riportati pure dai quotidiani locali, e anche per questo motivo si consideravano i trentini – in parte – come persone molto pericolose.

 

 

I trentini chiamavano “Eisenponeri” gli emigranti che andavano a lavorare in Vorarlberg nella costruzione delle ferrovie: dal tedesco “Eisenbahn”, ferrovia. (foto tratta dal libro “Dal Trentino al Vorarlberg”).

 

Si evidenziavano i comportamenti incivili

La cortese autrice si precipita ad aggiungere, come sovente in analoghe occasioni:

Non è obiettivamente credibile, comunque, che questi immigrati siano stati realmente pericolosi sino a tal punto.

Grazie: ne avevamo proprio bisogno – ci viene da dire – rischiavamo di precipitare in una crisi di identità: noi, trentini, pericolosi?

Proseguiamo. Scrive l’autrice:

Passavano inosservati gli individui tranquilli, mentre erano posti in evidenza i comportamenti di coloro che deviavano dal comune civismo …

Veniva rimproverato agli uomini (e alle donne) del Trentino la “ricerca, dell’eleganza”, più precisamente una particolare ostentazione e una esagerata cura nell’abbellimento della persona. Questo tipo di biasimo aveva probabilmente una origine più profonda, si supponeva infatti che i trentini conducessero una vita immorale, non soltanto gli uomini bensì anche le donne. Veniva addirittura sostenuta la tesi secondo cui l’immoralità sarebbe stata portata nel Vorarlberg dalle donne trentine.

Generosa come sempre, l’autrice, si distende subito in una serie di correttivi, attenuanti, precisazioni.

 

Donne trentine immigrate in Vorarlberg (foto tratta dal libro “Dal Trentino al Vorarlberg”).

 

“Noi buoni e tranquilli, loro (i trentini) sporchi e violenti”

In un romanzo dell’epoca, prosegue, si scrive:

L’incremento e l’ampliamento delle fabbriche ha portato qui da noi nel Paese gente straniera, latina, provocando in tal modo l’aumento eccessivo dei poveri, che vivono alla giornata e che prima o poi graveranno sulla comunità …

La famiglia dei lavoratori trentini, immigrata assieme al capofamiglia, ben presto fu considerata, e non di rado, un elemento di disturbo.

Si scriveva su un giornale:

Bludenz e Feldkirch erano due cittadine agiate; da quando sono arrivati loro si sono trasformate dei veri e propri covi di mendicanti.

Isolare i cattivi stranieri italiani-trentini era anche un modo per rafforzare la propria identità, ovviamente buona, come sempre (e Heider non c’era ancora).

Scrive l’autrice:

Le virtù ufficiali della gente vorarlberghese, intese come carattere generale, erano costantemente in contrapposizione con i “vizi” dei trentini; tanto questi ultimi erano considerati rumorosi, sporchi, scialacquatori, immorali, passionali, violenti e spesso ubriachi, quanto i locali si consideravano tranquilli, puliti, parsimoniosi, moralmente integri, probi, assennati …

L’isolamento nei confronti degli immigrati trentini venne raggiunto attraverso un’interpretazione negativa degli stessi …

Diversi articoli apparsi su alcuni quotidiani dimostrano come fosse un luogo comune rimproverare agli italiani, in generale, il fatto di trattenersi a lungo.

 

Gli immigrati erano necessari anche nella costruzione di strade e ponti (foto tratta dal libro “Dal Trentino al Vorarlberg”).

 

Buoni quando morivano sul lavoro

E giudizi positivi ce n’erano?

Qualche volta, dice l’autrice.

Per la maggior parte si tratta di frasi che commemorano defunti, perché a causa di svariati incidenti numerosi operai perirono, specialmente quelli impiegati nei lavori ferroviari, scomparsi ancora giovani.

Per delineare compiutamente l’immagine dello straniero nel Vorarlberg è necessario affrontare ampiamente un argomento della massima importanza: la paura di perdere il posto di lavoro. Già negli anni Ottanta del secolo scorso era sorto un interrogativo, ossia: “Sarebbe stata “di qualche utilità” una nuova fabbrica alle persone native di queste zone?”.

Non si voleva ammettere che l’economia locale, forse, non sarebbe decollata in assenza di quegli operai …

I trentini erano ritenuti la causa del peggioramento delle condizioni del ceto artigiano e rurale nonché, in maniera piuttosto indiretta, pure della disoccupazione degli operai e operaie delle fabbriche tessili, della conseguente emigrazione in America e della frequente presenza di vagabondi …

Molti abitanti del Vorarlberg temevano non soltanto l’espansione dell’industria e le sue conseguenze, ma anche un insediamento eccessivo di stranieri, la perdita della propria identità.

… Non esisteva nient’altro che spaventasse maggiormente la popolazione del Vorarlberg dell’idea che gli italiani potessero aggregarsi fino a raggiungere la superiorità numerica …

A questo tipo di timore va ricollegata l’immagine metaforica di un’ “invasione di italiani”, che pure rappresentavano solo il 5% a livello regionale.

Venivano diffuse notizie di tipo al1armistico.

Si scriveva, con evidenti accuse alle istituzioni:

E naturalmente il bonario popolo del Vorarlberg tiene la bocca chiusa e, col suo silenzio, incoraggia le varie autorità a proseguire nel loro ben riuscito primo tentativo di far passare il Vorarlberg come una regione multilingue …

Noi tedeschi non possiamo fare nella loro patria quanto gli immigrati trentini possono fare qui da noi.

E l’atteggiamento dei cittadini nei riguardi degli immigrati trentini?

L’ostilità nei loro confronti era un dato inconfutabile.

 

“Eisenponeri”. Molti lavoratori immigrati rimasero feriti o morirono in incidenti sul lavoro durante la costruzione delle opere pubbliche. Lo studioso Friedrich Schön scrive, nel libro “Dal Trentino al Vorarlberg”, che durante i lavori per la ferrovia dell’Arlberg, che collega l’Austria e la Svizzera e che è lunga 135,7 chilometri, morirono per cause di lavoro ben 76 operai e ne rimasero feriti 1175 , di cui 76 in modo grave. Questo dato è riferito al solo Vorarlberg, non tiene conto degli incidenti nella parte svizzera. Gran parte di loro erano lavoratori immigrati, tra cui anche dei trentini.

 

Capire il fenomeno

Leggendo questi passi ciascuno di noi ha risentito frasi familiari, molto simili ai discorsi dei nostri giorni. Rivolti questa volta non più ai trentini, ma agli altri da parte, magari, di trentini.

Non sto negando che l’emigrazione porti con sé aspetti negativi. Un fenomeno sociale di tale portata, che stravolge la vita delle persone, di chi arriva e di chi risiede, ha spesso anche pesanti conseguenze in termini sociali, culturali, di sicurezza, di conflitto.

Non dimentichiamo che alla fine dell’Ottocento le carceri francesi erano piene di emigranti italiani e così lo sono state anche quelle svizzere nel secondo dopoguerra.

L’emigrazione si porta dietro anche disperazione, solitudine, emarginazione.

Ieri come oggi.

Ma una cosa è conoscere e affrontare le degenerazioni del fenomeno, un’altra cosa è affrontare il fenomeno nel suo insieme.

La storia della nostra emigrazione deve aiutarci ad affrontare meglio l’emigrazione degli altri.

Perché anche noi non finiamo per parlare bene degli immigrati soltanto quando qualcuno di loro muore giovane sul posto di lavoro.

 

***

La relazione è stata pubblicata in “Questotrentino”, anno XXI, n. 10, 13 maggio 2000.

È stata quindi pubblicata nel libro Ricordati che sei stato straniero anche tu.

 

Questa pagina è tratta dal volumetto “Il Forum trentino per la Pace 1999-2003″, pubblicato dal Consiglio della Provincia Autonoma di Trento nel 2003 (vedi sotto la copertina).