Lager libici: l’Italia finge di non sapere

Nulla è cambiato per i migranti detenuti nei lager libici. Ricatti, violenze, torture, morte continuano. L’ha ribadito nei giorni scorsi Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite nel suo periodico rapporto (datato 15 gennaio) al Consiglio di sicurezza sulla situazione in Libia. Ma l’Europa e l’Italia, che finanziano quei lager, fanno finta di nulla.

La politica è sempre in campagna elettorale e degli esseri umani torturati e uccisi se ne infischia. Anzi, meglio non parlarne. A destra come a sinistra.

Quegli infelici torturati e uccisi danno fastidio.

E così il 2 febbraio si rinnova automaticamente l’accordo Italia-Libia firmato tre anni fa da Paolo Gentiloni, capo del governo italiano di centrosinistra, e  Fayez Mustafa Serraj, capo del governo libico di riconciliazione nazionale.

Il Memorandum d’intesa tra i due Paesi prevede che l’Italia finanzi la costruzione dei “campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico”.

Ha scritto il Segretario dell’Onu  nel suo rapporto:

“Migranti e rifugiati rimangono sistematicamente soggetti a detenzioni arbitrarie e torture in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali. Violenza sessuale, sequestro per riscatto, estorsione, lavoro forzato e uccisioni illegali sono pure diffusi. Gli esecutori delle violazioni comprendono funzionari governativi, membri di gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e membri di bande criminali.”

Questi sono lager, non campi di accoglienza come li definisce il Memorandum italo-libico. E responsabili dei crimini sono anche funzionari dello stesso governo che ha firmato il Memorandum con l’Italia.

L’Italia è corresponsabile di questi crimini. I lager sono finanziati dai soldi dei contribuenti italiani ed europei.

L’Unione Europea ha destinato alla Libia tra il 2014 e il 2020 ben 506 milioni di euro per fermare a qualsiasi costo i migranti.

Questa è la sostanza, come ricorda una inchiesta di Medici senza frontiere (sul loro sito il documento in inglese,“Trading in suffering: detention, exploitation and abuse in Libya” del 23 dicembre scorso), una organizzazione che conosce bene la situazione perché è molto impegnata nell’assistenza ai migranti in Libia, nei pochissimi posti dove le è consentito di agire, e nel soccorso ai torturati fuggiti o reduci dai lager.

Quando ci sarà una rivolta morale e politica in Italia per fermare questi crimini che si compiono con la nostra complicità?

L’indecente Memorandum italo-libico prevede il finanziamento degli apparati di sicurezza e militari libici e la fornitura di supporto tecnico e tecnologico alla Guardia costiera libica.

Scrive il Segretario generale dell’Onu nel suo rapporto:

Vi sono serie preoccupazioni riguardo al trasferimento di migranti intercettati in mare dalla Guardia costiera  libica in centri di detenzione ufficiali e non ufficiali.

La Guardia costiera libica che noi finanziamo è perciò pienamente corresponsabile delle gravi violazioni dei diritti umani che si compiono nei centri di detenzione.Anche in quelli non ufficiali. Cioè in mano alle bande criminali. Il confine tra illegale e legale non c’è in Libia.

Ma noi facciamo accordi di Stato con questa gente. E gli diamo una montagna di soldi perché fermino in tutti i modi i migranti.

E poi facciamo le lezioncine di legalità ai rifugiati o a Carola Rackete che li salva in mare invece di lasciarli morire o di consegnarli alla Guardia costiera libica. Guardia costiera duramente messa sotto accusa dal Segretario generale delle Nazioni Unite che ha ripetuto: La Libia non è un porto sicuro.

Ha scritto Piotr M.A. Cywínski, dal 2006 direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau:

Oggi coloro che visitano Auschwitz provano a capire come si è arrivati a quest’inferno in terra, questo anus mundi. Maledicono chiunque non sia riuscito a fare tutto il possibile per impedire che accadesse, per opporsi. ..A volte piangono…E poi tornano a casa.

Qualche settimana più tardi, a cena, nel calore e nella sicurezza della loro casa, vedranno immagini in diretta di un genocidio in Africa o di una guerra civile in Sud America, di attacchi razzisti o di slogan antisemiti in uno stadio di calcio in Europa, e continueranno a cenare. Non è affar loro. Non è il loro mondo. Non li riguarda…

È nella mancanza di reazione nelle nostre case che vediamo la vera tragedia. Qui arriviamo al massimo grado di vicinanza a ciò che rese la Shoah possibile, a ciò che la rese fattibile. Qui tocchiamo l’autorizzazione diretta all’assassinio.

Gli esecutori concreti dell’assassinio sono altri, ma gli omicidi possono essere compiuti solo se non c’è una vera opposizione…Non sto paragonando tra loro i genocidi. Non misuro le sventure e non metto sullo stesso piano tragedie umane differenti. Ma paragono spietatamente il silenzio dei testimoni…

E oggi il nostro silenzio è decisamente peggiore, molto più incriminante. Perché viviamo in un mondo in cui abbiamo accesso a informazioni aggiornate…

(P. M. A. Cywínski, Non c’è una fine. Trasmettere la memoria di Auschwitz , Bollati Boringhieri, 2017, pp. 124-126).

Noi sappiamo tutto sui lager libici. Non stiamo fermi. Chiediamo a coloro che comandano, ai nostri rappresentanti politici, a chi può parlare e scrivere, a noi stessi di non tacere. Di non voltarci dall’altra parte.

Questo crimine va fermato, non finanziato coi nostri soldi!

Basta con la complicità! Basta col silenzio!

 

Pubblicato sul quotidiano “Trentino” il 30 gennaio 2020